2022-01-29
Sequestrata la fattoria delle cosche. Il tesoro nelle cassette di sicurezza
La campagna di San Galgano a Chiusdina. Nel riquadro il boss Grande Aracri (Ansa-Istock)
Indagati il referente delle famiglie di Cutro e il mediatore del business. Il giudice: al venditore consegnati un milione e mezzo in contanti. Il pentito: il boss Grande Aracri teneva i conti degli investimenti immobiliari.Le indagini sui calabresi che in passato hanno fatto affari con Pier Luigi Boschi, dopo anni di accuse non confermate e di archiviazioni, sono arrivate a una svolta. Il gip di Firenze, Angelo Antonio Pezzutti, ha disposto il decreto di sequestro preventivo di un vasto complesso agricolo, 350 ettari, dotato di alcuni vecchi fabbricati e annessi rurali, per un valore complessivo di oltre 5 milioni di euro. Il fondo «San Galgano» si trova nel Comune di Chiusdino (Siena). Sotto la lente degli inquirenti, che contestano il riciclaggio con l’aggravante mafiosa, sono finiti due imprenditori calabresi: Edo Commisso, 57 anni originario di Marcedusa (Catanzaro), ma da tempo residente in Toscana, e Francesco Saporito, settantanovenne di Petilia Policastro (Crotone). L’indagine della Dda fiorentina ruota intorno alla compravendita del fondo avvenuta nell’agosto 2007. Secondo le toghe «almeno 1,5 milioni di euro» utilizzati per concludere l’affare sono «riconducibili alla cosca Grande Aracri di Cutro (Kr) e alla “locale” di Petilia Policastro ad essa affiliata». La ricostruzione dei pm fiorentini delinea ruoli specifici per entrambi gli indagati: «Commisso per conto della cosca aveva individuato e intermediato l’investimento da effettuare in Toscana», invece «Saporito impiegava in prima persona il denaro di provenienza delittuosa, divenendo referente e garante del buon esito dell’affare». Concluso l’affare, inoltre, Commisso, nonostante i frequenti litigi, sarebbe «divenuto stretto collaboratore» di Saporito. È il 30 agosto 2007 quando viene firmato il rogito con cui la «Società cooperativa agricola San Galgano srl, rappresentata da Angela Petrucci, vende (il fondo, ndr) a Francesco Saporito per 3.980.000 euro». Sull’entità totale della somma, però, gli inquirenti hanno voluto fare ulteriori approfondimenti, incaricando un consulente. A tal proposito nel decreto del gip si legge: «Il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita del complesso San Galgano di 3.980.000 euro non è veritiero. Esso è notevolmente più basso rispetto ai valori minimi di mercato dell’epoca in cui avvenne la vendita, così da far concretamente ipotizzare che il prezzo effettivamente corrisposto da Francesco Saporito alla parte venditrice […] sia stato superiore rispetto a quello dichiarato e che la parte eccedente sia stata versata in nero». Queste somme «in nero non possono derivare da attività lecite del gruppo familiare Saporito in quanto sono stati tracciati i flussi economici, patrimoniali e finanziari del medesimo e tali flussi escludono la possibilità che costui avesse a disposizione, al momento dell’acquisto, un capitale liquido importante da versare al venditore in modo occulto». Infatti dalle dichiarazioni dei redditi i protagonisti risultano praticamente nulla tenenti.I controlli incrociati Per arrivare a queste conclusioni i finanzieri e la Direzione investigativa antimafia nel settembre del 2019 avevano chiesto alle Fiamme gialle di Arezzo i vecchi accertamenti bancari effettuati nei confronti di Saporito ai tempi dell’inchiesta che coinvolgeva Boschi.Dunque a quanto è stato effettivamente venduto il complesso agricolo? In una conversazione del 28 gennaio 2021 tra il figlio di Saporito, Mario, e Commisso, l’uomo che avrebbe scovato l’ampia tenuta, quest’ultimo spiega con un pizzico di orgoglio: «Sì, 6 e 7 l’ha pagata… e, e gliel’ho fatta comprare io, eh!». All’improvviso a Saporito junior sembra tornata la memoria al punto da ricordare a Commisso: «E lo so che gliel’hai fatta comprare tu, non ti sei preso la particella? Che ti pensi, che mi sono dimenticato?». E tra le prove dell’utilizzo di denaro in nero (suppostamente di origine mafiosa) per l’acquisto di Chiusdino c’è una telefonata (considerata di «grande rilievo» dagli inquirenti) dello stesso Commisso con il vicedirettore della Verità Giacomo Amadori che indagava su questa vicenda già nel febbraio del 2020.Il giudice riporta un’intercettazione del 13 febbraio 2020 in cui «Edo Commisso ha corretto il giornalista sul prezzo di acquisto dei beni in questione precisando che erano stati pagati 6,8 milioni di euro e non sei come invece sosteneva il secondo». Va ricordato che il prezzo dell’atto di compravendita, considerato «non veritiero» dai pm», era stato di 3.980.000 euro e la parte eccedente, di circa 2 milioni, sarebbe stata «versata in nero» alla parte venditrice.Le accuse che inchiodano i due calabresi sono quelle del pentito Salvatore Muto. «L’affare era nato perché c’era questo denaro delle cosche da investire», racconta agli inquirenti fiorentini, uno dei principali collaboratori di giustizia e figura chiave del processo Aemilia. «Francesco Saporito… aveva acquistato l’azienda agricola San Galgano almeno in parte con denaro delle cosche Grande Aracri e Manfreda di Petilia di Policastro - non aveva ancora restituito questi soldi». Ma per Muto c’è di più: «Chi aveva procurato l’affare era Edo Commisso, residente ad Arezzo, che operava con azienda agricole a Grosseto e Siena. Edo Commisso aveva trovato questo investimento, l’aveva proposto a Tommaso Ierardi (esponente della ‘ndrangheta di Petilia Policastro, secondo Muto, ndr) e questi, a sua volta, aveva coinvolto il fratello Giuseppe ed il suocero di quest’ultimo Francesco Saporito». E ancora: «Edo Commisso… si relazionava con Francesco Lamanna […]». Il quale ha un peso specifico enorme all’interno della criminalità organizzata calabrese: nel novembre 2018 la Cassazione gli ha confermato una condanna a 25 anni di reclusione (processo Aemilia) e lo ha indicato come referente della cosca e braccio destro del padrino Nicolino Grande Aracri (presunto collaboratore di giustizia, però ritenuto inattendibile dagli inquirenti). Muto parlando di Saporito è tranchant: «Devo precisare che Saporito era una persona di fiducia della cosca, intraneo alla medesima che godeva della massima fiducia del capo e quindi non si è mai nei suoi confronti posto alcun dubbio di fedeltà». Di particolare interesse il capitolo sulla supposta restituzione dei «piccioli» al sodalizio mafioso. «Per quanto a mia conoscenza Saporito di tanto in tanto restituiva somme alle cosche. Nicolino Grande Aracri volle occuparsi di tutte queste vicende di investimento della cosca per far sapere a tutti che aveva pienamente il controllo di ogni situazione. Diede così incarico a Francesco Lamanna di tenere i contatti con i referenti che avevano ricevuto soldi o aiuti dalla cosca e si erano impegnati a far fruttare l’investimento. […] Grande Aracri temeva che ci fosse qualcuno che non rispettasse gli impegni approfittando della sua carcerazione come nel recente passato era avvenuto». In che modo i soldi sarebbero rientrati in Calabria? Grazie, sempre secondo Muto, a «numerosi soggetti in grado di emettere false fatture per giustificare uscite di cassa e consentire anche a Saporito di abbattere i costi. Probabilmente anche i contributi comunitari era una liquidità che poteva servire per pagare la cosca».Due volte davanti ai pmI punti fermi per capire quanto denaro sia servito per acquisire l’azienda sono due: il rogito firmato nell’estate 2007 e le dichiarazioni fatte di fronte ai pm dalla venditrice, Angela Petrucci. La quale ha fornito agli inquirenti due diverse versioni dell’affare, visto che nel giugno 2021 ha chiesto di poter modificare parzialmente le dichiarazioni fatte in aprile. Nella seconda occasione, oltre alla precisazione che non aveva avuto il sentore che la controparte dell’affare fosse in qualche modo legata alla malavita, la donna spiega che una parte della somma «era stata pagata in contanti». Il cash che Saporito le avrebbe consegnato personalmente ammontava a 1,5 milioni di euro. «Lui (Saporito, ndr) voleva dargliene di più ma lei non aveva voluto» scrive il giudice. Nella data fissata per l’incontro tra i due, Saporito avrebbe portato con sé 2 milioni, ma «lei gli ribadì che gli accordi erano che il pagamento di questa parte non poteva superare il milione e mezzo». Arrivato dalla Calabria, custodito dalle cassette di sicurezza e «riversato» nella campagna della Toscana.