La fotografia dell'Istat fa paura. Malgrado il blocco dei licenziamenti, in un anno bruciati centinaia di migliaia di posti. Calato pure in modo drammatico il livello delle retribuzioni. E la situazione è destinata a peggiorare Intere categorie avvertono: restrizioni e ristori insufficienti condannano alla chiusura. Protestano anche i medici: «Sbalorditi per i pochi fondi alla sanità».
La fotografia dell'Istat fa paura. Malgrado il blocco dei licenziamenti, in un anno bruciati centinaia di migliaia di posti. Calato pure in modo drammatico il livello delle retribuzioni. E la situazione è destinata a peggiorare Intere categorie avvertono: restrizioni e ristori insufficienti condannano alla chiusura. Protestano anche i medici: «Sbalorditi per i pochi fondi alla sanità». A metà maggio le cronache del Covid segnavano la fine della fase 1 e l'avvio della 2. A quel tempo l'era dei Dpcm non era ancora all'apice, ma il ministro dell'Economia si mostrava forte delle sue certezze e pronto a rassicurare gli italiani. «È evidente che le legittime preoccupazioni di una situazione senza precedenti possano generare anche rabbia. Lo capiamo», diceva in Aula Roberto Gualtieri, «e per questo il governo è impegnato a sostenere imprese e famiglie, a evitare un aumento delle diseguaglianze, ad aiutare i più deboli». Terminava garantendo: «Non lasceremo indietro nessuno». Sette mesi dopo, e circa 100 miliardi in più di deficit usati per i bonus, compreso quello per monopattini, la situazione del mondo del lavoro fotografata ieri dall'Istat imporrebbe alla politica un atto di coscienza e un cambio di passo. Se infatti Gualtieri con «non lasceremo indietro nessuno» intendeva garantire i posti di lavoro, allora il piano ha un buco e non da poco. Nel terzo trimestre di quest'anno, rispetto allo stesso periodo del 2019, ben 622.000 lavoratori hanno perso l'impiego. Circa 450.000 erano assunti a tempo determinato e non sono stati rinnovati. Altri 218.000 sono autonomi o piccoli imprenditori che sono rimasti senza attività da mandare avanti. I rimanenti erano assunti a tempo pieno e hanno perso il lavoro perché l'azienda ha chiuso. Bisogna infatti ricordare che tale strage avviene nonostante la droga del divieto di licenziamento. Una scelta rinnovata dal governo ed estesa fino a fine marzo, per richiesta dei sindacati che non capiscono che quando finirà il divieto sarà peggio. Un'azienda impossibilitata a riorganizzarsi perde valore e produttività. Se a settembre sarebbero bastati due licenziamenti, ad aprile del 2021 ce ne vorranno forse quattro per tenere in piedi il conto economico. Il panorama che abbiamo di fronte non lascia così grandi prospettive. Lo si capisce anche da altri numeri. Sempre nel terzo trimestre, altre 220.000 persone si sono aggiunte alla liste di chi cerca un impiego, portando il numero dei disoccupati ben sopra quota 2,5 milioni. Purtroppo altri 265.000 si sono aggiunti alla schiera di chi non ha nemmeno speranza di avere un introito, gli inattivi. Con il risultato che l'esercito di chi non ha reddito da lavoro si è ingrossato enormemente. Anche considerando che circa 100.000 nuovi disoccupati, sui 220.000 registrati nel terzo trimestre, possano essere recenti e quindi inclusi in chi (622.000) ha perso il lavoro nello stesso lasso di tempo, si arriva a una cifra che si aggira sul milione di unità. Poco meno di una città come Milano. Eppure ieri Gualtieri non ha ritenuto di commentare i dati. Si è concentrato sul futuro dell'Ilva dove il governo ha infilato 400 milioni di euro giusto per evitare nuovi esuberi. Si è concentrato sul Recovery fund descrivendolo come la panacea di tutti i mali economici. Come hanno fatto i suoi colleghi, il premier Giuseppe Conte e pure Sergio Mattarella. Nessuna parola di consolazione o supporto per le donne lavoratrici. La disoccupazione rosa al Sud è arrivata al 20%. Un punto e mezzo in più rispetto all'ultima rilevazione. Ma le suffragette competenti non hanno versato nemmeno una lacrima, impegnate come sono a discutere del ruolo della donna nella task force del Recovery plan. È chiaro che i posti nei cda per la classe dirigente siano più importanti di un posto da cassiera. Ed è proprio qui che sventola la bandiera delle quote rosa. Perché anche dall'alto delle posizioni da radical chic bisogna sapere che sono le cassiere dei supermercati così come le autiste dei bus o le cuoche di un ristorante quelle che tengono in piedi il Pil. Non le manager dei grandi gruppi quotati. Non fosse altro per la statistica dei numeri. Purtroppo non è il solo silenzio che ci appare assordante. I pochi siti o le poche agenzie che si sono premurate di diffondere i numeri dell'Istat hanno riportato il dato positivo dei 56.000 occupati in più. Un numero corretto che però va contestualizzato. Nello stesso periodo preso in considerazione dal rapporto Istat, il costo del lavoro è calato del 5%. Significa che, sebbene qualcuno in più abbia trovato un impiego, la sua paga è diminuita rispetto a quella che avrebbe ricevuto nel trimestre precedente. Un grosso problema se pensiamo che al tempo stesso aumentano i contratti precari. Da anni ci viene raccontato che il mondo del lavoro cambia e bisogna evolversi. È vero che il mondo del lavoro necessita di svolte radicali verso la flessibilità. Ma non verso la povertà. Altrimenti non solo si svilisce il valore della persona, ma si uccide anche il potere di acquisto. E questa è la fotografia dalla quale il governo dovrebbe partire per migliorare il Paese. Ieri invece abbiamo assistito alle solite promesse di rilancio e di tutela della parità senza mai prendere atto del dramma che l'Italia sta vivendo. Se non si mettono sul piatto gli errori, non solo non andremo da nessuna parte, ma l'anno prossimo il milione di senza lavoro raddoppierà. Una parte dei ristoratori e dei liberi professionisti che chiedono di riaprire e di poter lavorare rischia di andare a ingrossare le fila dei disoccupati. Conte e Gualtieri insistono a spendere denaro in bonus e incentivi. I sussidi non potranno mai sostituire il lavoro. Il maxi deficit attivato in questi mesi era l'occasione per fare una riforma fiscale e tagliare le tasse. Invece, si è persa l'occasione di togliere la zavorra per far correre chi è bravo con il proprio lavoro. D'altronde un governo di base comunista sa maneggiare bene la distribuzione della ricchezza altrui. Non ha idea di come se ne crei di nuova.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.