2018-10-14
Ora il Papa fa saltare altre teste (ed è merito di Viganò)
Cadono altre teste. Dopo quella del cardinale Donald Wuerl, suo grande elettore nel conclave che lo nominò Pontefice, per placare lo scandalo delle molestie sui minori che sta scuotendo la Chiesa, papa Francesco è costretto a far rotolare anche le teste di due vescovi cileni. Si tratta di prelati ormai in pensione, che da tempo non avevano più una diocesi da amministrare. Tuttavia, la decisione di ridurli allo stato laicale, privandoli dunque non soltanto della possibilità di vivere in seminario o in parrocchia, ma anche (...)(...) di celebrare la santa messa, è la più dura che Bergoglio potesse adottare. Il che la dice lunga su quello che sta accadendo nella Chiesa negli ultimi mesi, in particolare da quando il problema dei mancati interventi contro pedofili e molestatori è stato denunciato da Carlo Maria Viganò.Già, perché se è vero che alcune delle vicende di cui si discute hanno avuto avvii giudiziari precedenti (sia lo scandalo in Pennsylvania che quello in Cile sono finiti in tribunale prima che sulle pagine dei giornali), è altrettanto vero che quello che è venuto dopo, cioè le misure del Santo Padre, seguono la pubblicazione sulla Verità del memoriale dell'ex nunzio apostolico negli Stati Uniti. Per quanto i giornali cattolici tradizionali si diano da fare per smontare le accuse dell'arcivescovo, alla fine tutte le vicende a cui stiamo assistendo in questi giorni riportano lì, ovvero ad anni di insabbiamenti degli scandali che in tutto il mondo hanno segnato profondamente la credibilità della Chiesa. Del «comportamento inappropriato» (così in Vaticano definiscono le violenze sessuali) di alcuni vescovi e cardinali si sapeva da un pezzo. Del cardinale Theodore Edgar McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, per esempio, si conoscevano le tendenze, al punto che, secondo Viganò, presso la Santa Sede esiste da anni un dossier completo sugli abusi. Nonostante questo, fino al luglio scorso McCarrick ha potuto continuare la sua opera, che secondo l'ex nunzio è consistita nella «corruzione di generazioni di seminaristi». Ora l'anziano prelato è stato destituito e, visto che in America le polemiche non accennano a placarsi, pure il cardinale Wuerl, protettore e amico dell'ex arcivescovo di Washington, è stato costretto a fare le valigie. Viganò però non puntava l'indice solo contro McCarrick e Wuerl, accusandoli di aver stretto un patto scellerato, ma tirava in ballo anche il Pontefice, al quale nel giugno del 2013 avrebbe affidato il suo giudizio su McCarrick, invitandolo a leggere il dossier esistente in Vaticano.Tuttavia ci sono voluti cinque anni e la pubblicazione sul New York Times dell'intervista a una vittima del cardinale prima che Bergoglio decidesse di togliere la berretta color porpora a McCarrick. Così come ci sono volute le polemiche del caso Viganò prima che il Papa accettasse le dimissioni di Wuerl e decidesse, dopo averli difesi dalle accuse, di destituire due vescovi, ieri ridotti allo stato laicale.Insomma, il Papa fa rotolare le teste, dimostrando dunque che le accuse dell'ex nunzio erano tutt'altro che campate per aria. E però, se da un lato Francesco fa pulizia, decidendo di rimuovere alcuni dei prelati più controversi all'interno della Chiesa, dall'altro quella trasparenza da lui stesso invocata a proposito degli abusi commessi da preti è allontanata ogni giorno. Rimuovere le persone che si sono rese responsabili di comportamenti inappropriati è senza dubbio giusto, ma forse, oltre a far cadere le teste dei molestatori, bisogna fare chiarezza anche sul sistema che per anni ha consentito che le molestie continuassero. Va bene il perdono, va bene la misericordia, va bene anche la preghiera: ma c'è anche una giustizia che impone di fare pulizia e di togliere l'incarico a chi abbia insabbiato le inchieste e agevolato i predatori sessuali. Non basta cacciare i pedofili in tonaca che si sono approfittati di bambini e adolescenti. Bisogna anche allontanare chi li ha protetti. Viganò, nel dossier pubblicato quasi due mesi fa e al quale Francesco non ha risposto, fa nomi e cognomi, illuminando un mondo dominato da una lobby gay. È su quei nomi e cognomi che Bergoglio deve una risposta. È in grado di fare pulizia? Può sottrarsi all'influenza e alle pressioni di chi ha contribuito alla sua nomina al soglio di Pietro? Le domande non sono banali. Anzi. Forse, più della coreografia che ha accompagnato i suoi prima anni da Pontefice, sono la chiave per capire il suo papato.