2018-06-26
Sembra Cary Grant ma è come Zapatero: con Pedro Sánchez la Spagna è nei guai
I primi passi del premier iberico riportano indietro il Paese. Immigrazionismo e antifranchismo sono la bussola del governo.L'Ue a due facce prepara il vertice sui migranti. Per Parigi siamo «vomitevoli» anche se il ministro Gérard Collomb applica il pugno di ferro. Berlino fa lo stesso e schiera Hans Eckhard Sommer.Roberto Saviano ha tenuto una lezione a favore della legalizzazione della marijuana in un liceo. Sulle conseguenze della cannabis e sulle vittime degli stranieri però dimostra di non sapere nulla.Lo speciale contiene tre articoliQuasi non bastassero Emmanuel Macron e Angela Merkel, ora a incrementare il tasso di antipatia dei governi europei si è aggiunto pure il neopremier spagnolo Pedro Sánchez. Alla prima uscita - in margine al vertice europeo sull'immigrazione - ha subito bollato gli italiani come «antieuropei ed egoisti», sostenendo di voler creare «un esclusivo asse ispano-franco-tedesco». Perciò ha allungato grandi sorrisi a Francia e Germania (i sorrisi da rotocalco assieme alle pose etiche sono il cuore della politica socialista di Sánchez). Che il suo governo sia di minoranza (con appena 84 seggi su 350, cosa che comporterà una continua questua di voti) e che il ministro dell'Economia - Nadia Calviño - sia per curricolo una ligia creatura comunitaria, sono per lui dei trascurabili dettagli.Se dunque in Europa l'esordio è a dir poco improvvido e irreale, sul fronte interno non è da meno. La prima idea di Sánchez per una nuova Spagna consiste nel rimuovere la salma di Francisco Franco dalla Valle de los Caídos, il vasto complesso architettonico religioso in memoria della guerra civile spagnola. Sánchez vorrebbe riadattare quel luogo, quasi fosse un monolocale, per trasformarlo in un solenne monumento all'antifranchismo (storicamente sarebbe come voler adibire il Colosseo a chiesa cristiana). Ma il neopremier non si ferma qui: vuole pure l'istituzione di una commissione per «la verità sul franchismo», nonché l'introduzione nel codice penale del reato di «apologia del falangismo». Gli inciampi però, oltre ai numeri in Parlamento, sono tanti: l'area e gli edifici della Valle sono di proprietà della chiesa cattolica (con cui Sánchez, ateo e irreligioso, non fila); a voler inumare lì il Caudillo fu l'ex re Juan Carlos I; inoltre cancellare la storia del franchismo dalla Spagna, addirittura volerla incriminare, significa di fatto cancellare e incriminare mezza Spagna, corona inclusa. Non basta ramazzar via spagnolescamente un mucchietto d'ossa, facendolo sparire sotto il tappeto, come pensa Sánchez, per far i conti con il fascismo. Noi italiani lo sappiamo.Sicché quello del neopremier pare in realtà un proclama a perdere. È lo stile di Sánchez. Il nuovo bello e possibile della politica europea (Le Monde l'ha definito «il Cary Grant latino») è un gran furbastro, attento a massimizzare l'eco dei media. L'ha dimostrato appena insediato con il gesto - da sborone - con cui ha accolto la nave Aquarius, nonché poco prima varando un governo di donne (mossa astuta in tempi di Me too e femminismo coatto). Si può esser certi che in futuro Sánchez procederà allo stesso modo, cioè a colpi di trovate vistose e inconcludenti (forse la prossima sarà l'abolizione delle fiestas de toros giusto per far felici gli animalisti a dispetto di secoli di tradizione).La sua politica riparte esattamente da dove José Luis Zapatero aveva lasciato. Ve lo ricordate Zapatero? Il dolce bambi dagli occhi azzurri (i maligni però ci vedevano Mr. Bean) come finì? A furia di voler trasformare la Spagna in un'Ibiza lassista e pansessuale quasi la mandò sul lastrico peggio della Grecia.Comunque gli spagnoli d'oggi sembrano aver sviluppato qualche anticorpo in più verso questi estrosi sinistrati di sinistra. La cosa divertente infatti è che sfogliando i giornali ispanici (da Abc a La Vanguardia), intenti a riportare la dichiarazione di Matteo Salvini - il quale sui migranti aveva detto «charlatánes» a Sánchez e Macron - ebbene, pur criticandone i modi poco istituzionali, nel merito e dati alla mano, danno ragione al nostro ministro. Implicitamente riconoscono che quello del governo spagnolo con l'Aquarius, quanto a numeri d'accoglimento, è stato solo un bel gesto. Se - invece di quei quattro gatti sull'Aquarius - la Spagna iniziasse a sobbarcarsi gli arrivi sostenuti dall'Italia in qualche mese, il bel Sánchez andrebbe politicamente a gambe all'aria. Perché tale è il sentimento - di puro buon senso - di tutti i popoli europei, di là dai buonismi e dalle fantasticherie dei politici alla Sánchez. Chi non lo capisce, perde voti.Nonostante ciò (o forse in ragione di ciò), la sinistra italiana, di cui sono noti autolesionismo e pochezza di personalità, si è già innamorata di Sánchez, tanto da elevarlo a modello. A imitare lo spagnolo sta pensando il reggente Pd Maurizio Martina (il quale però, più che un Cary Grant della politica, pare Lurch il maggiordomo della famiglia Addams). Ma soprattutto ci sta pensando Matteo Renzi. Per rilanciare una carriera politica ormai allo sbando, Renzi ha accantonato l'esempio del tignoso Macron (il quale piccinamente esige il saluto militare persino dai ragazzini) per darsi a el guapo Sánchez. Dopotutto - argomenta tra sé Renzi - «guapo» in italiano si traduce anche con «bullo». È proprio vero: quando si è al lumicino ci si accontenta davvero con niente.Marco Lanterna<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sembra-cary-grant-e-come-zapatero-con-pedro-sanchez-spagna-nei-guai-2581263566.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="pure-il-tenero-macron-ha-il-suo-matteo-salvini" data-post-id="2581263566" data-published-at="1758104424" data-use-pagination="False"> Pure il «tenero» Macron ha il suo Matteo Salvini Il presidente francese Emmanuel Macron si è ormai fatto conoscere come il salvatore di naufraghi con i porti degli altri. Corsica e Sud della Francia si sono guardati bene dal far sbarcare i migranti della nave Aquarius, mentre a Ventimiglia e Bardonecchia la Gendarmerie si è resa protagonista di svariati atti di violenza nei confronti dei nordafricani (secondo Oxfam, i poliziotti tagliano le suole delle scarpe dei malcapitati, per evitare che si rimettano in marcia verso la Francia). Senza contare gli sconfinamenti in Italia dei poliziotti di frontiera. Ma se Macron, con la scusa del diritto internazionale, aspira a congelare lo status quo che scarica sul nostro Paese l'onere dei soccorsi in mare, non si può dire che il governo presieduto dal suo sodale Édouard Philippe sia immune da quella che lo stesso Monsieur le président ha definito la «lebbra» populista. Ci riferiamo al ministro dell'Interno, Gérard Collomb, esponente del Partito socialista francese e al contempo indomito manganellatore degli immigrati economici. Al suo insediamento, Le Monde sostenne che Collomb puntava a concretizzare «il desiderio di attuare una politica migratoria repressiva». Giusto un anno fa, i soprusi dei gendarmi vennero denunciati persino da Jacques Toubon, il Difensore dei diritti, una figura introdotta dalla riforma costituzionale del 2008 a garanzia di discriminazioni o abusi perpetrati dalle forze di sicurezza. È noto, d'altra parte, che i transalpini non sono andati per il sottile nella gestione dei campi in cui stazionano i migranti. A Calais, dove si ammassavano migliaia di disgraziati nella speranza di poter raggiungere il Regno Unito, a febbraio era scoppiata improvvisamente una rissa. Erano stati esplosi dei colpi d'arma da fuoco e quattro ragazzi tra i 16 e i 18 anni erano stati feriti gravemente. Mentre la situazione della cosiddetta «giungla» di Calais diventava ingestibile, il ministro Collomb non invocava né obblighi umanitari né principi di responsabilità in capo al governo francese. Al contrario, precisava come «il messaggio» da trasmettere agli immigrati fosse che «se si vuole andare in Gran Bretagna, non è qui che bisogna venire». Un approccio peraltro condivisibile, ma che presupporrebbe, da parte di Parigi, l'onestà intellettuale di non puntare il dito sull'Italia. È per lo meno singolare, effettivamente, che l'esecutivo transalpino faccia affidamento su un ministro dell'Interno che, in teoria, proviene da sinistra, è stato uno dei primi sostenitori di «En Marche!», ma alla prova dei fatti agisce come un Matteo Salvini in salsa parigina. Meno di un mese fa, ad esempio, le forze di sicurezza avevano smantellato nella capitale francese un enorme insediamento di immigrati, allestito a Porte de la Villette, lungo la Senna. All'alba del 30 maggio la polizia, con alcuni drappelli giunti in barca dal fiume, aveva fatto sgomberare 1.500 persone, ufficialmente per trasferirle in centri di accoglienza situati in altre venti località della regione di Parigi e per sottoporle a controlli d'identità. Pochi giorni dopo, il 4 giugno, è stata la volta di altri due accampamenti nelle zone di Saint denis e del Canal Saint Martin: circa mille immigrati, quasi tutti afgani, sono stati allontanati dai bivacchi soltanto una settimana prima che scoppiasse la polemica sulla condotta italiana nei confronti della Aquarius, giudicata dal portavoce di «En Marche!», Gabriel Attal, «vomitevole». Certo, in patria qualche esponente politico di maggioranza si è scontrato con la linea dura del ministro Collomb. Jean Michel Clément, deputato del movimento di Macron, nel mese di aprile era stato l'unico di «En Marche!» a votare contro un disegno di legge su asilo e immigrazione promosso proprio da Collomb e che mirava ad accelerare le procedure di rimpatrio per chi non ha diritto a rimanere sul suolo francese, aumentando il periodo di permanenza nei centri di detenzione da 45 a 90 giorni. Clément aveva infine deciso di lasciare il gruppo parlamentare di «En Marche!» dopo l'inequivocabile ultimatum ricevuto dal suo capogruppo, Richard Ferrand: «Se l'astensione è un peccato veniale, votare contro un testo è un peccato mortale che merita la pena dell'esclusione». Alla faccia delle critiche di Macron alle «tattiche di respingimento», riferimento non troppo velato sia all'idea di Giuseppe Conte di realizzare degli hotspot in Africa, sia alle minacce rivolte da Horst Seehofer (che ha affidato al dobermann Hans Eckhard Sommer l'ufficio federale per la migrazione e i rifugiati) alla cancelliera tedesca Angela Merkel in merito ai rimpatri degli immigrati già registrati in altri Paesi Ue. La verità è che l'Europa ha due facce e porterà tutta la sua ambiguità al prossimo vertice del 28 e 29 giugno a Bruxelles. I francesi sono preoccupati dai movimenti secondari e per contenerne l'impatto sono pronti a impiegare gli stessi strumenti che poi condannano. Parigi contesta la pagliuzza nel Viminale altrui, ma ignora la trave del Salvini francese che occupa l'hôtel de Beauvau. Alessandro Rico <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sembra-cary-grant-e-come-zapatero-con-pedro-sanchez-spagna-nei-guai-2581263566.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-professor-saviano-sui-crimini-dei-migranti-e-proprio-un-asino" data-post-id="2581263566" data-published-at="1758104424" data-use-pagination="False"> Il professor Saviano sui crimini dei migranti è proprio un asino Avevo lasciato quattro anni fa Roberto Saviano visiting professor a Princeton e me lo ritrovo supplente in una quinta al Giordano Bruno di Maddaloni. Se qualcuno dovesse temere qualcosa, può tirare un respiro di sollievo, il ruolo di docente liceale di rimpiazzo è stato per un giorno solo e non è in programma la prosecuzione. In teoria la supplenza di Saviano avrebbe dovuto riguardare la storia, roba che ha che fare col congresso di Vienna, Cavour, Mazzini, Metternich, il Piave e l'8 settembre, ma il nostro ha preferito discettare di droga, argomento notoriamente compreso nel programma ministeriale della materia. Non so se è ancora così, ma ai miei tempi se capitava che il prof. consentisse che in classe si parlasse d'attualità, eravamo certi che per quella mattina l'avevamo scampata. La prospettiva dispensata agli studenti da Saviano è quella antiproibizionista, secondo cui se lo Stato producesse e mettesse in vendita la marijuana, ci sarebbe più controllo e la criminalità vedrebbe i propri guadagni, è il caso di dirlo, andare in fumo. Certo, quando si dice la scalogna, manco passa una settimana e l'Istituto superiore di sanità dichiara che i canapa shop dovrebbero essere chiusi. Non solo: 6 giugno 2018, rivista Journal of cardiovascular medicine: il consumo di cannabis si associa a un incremento del rischio di scompenso cardiaco e a un +24% di accidenti cerebrovascolari; 21 maggio 2018, rivista Journal trauma acute care surgery: dopo la legalizzazione della cannabis nel 2000, nelle Hawaii la positività al tetraidrocannabinolo negli incidenti stradali è triplicata; 30 marzo 2018, rivista Journal of adolescent health: dopo la legalizzazione in Colorado, le visite al pronto soccorso pediatrico per uso di cannabis sono quasi triplicate; febbraio 2017, rivista Jama pediatrics: dopo la legalizzazione nello Stato di Washington, tra gli adolescenti la percezione di pericolosità della marijuana è diminuita e il divario nell'uso è aumentato di 4-5 punti percentuali rispetto agli Stati che hanno mantenuto il divieto. Vabbé, a Saviano è sfuggito di raccontare questa parte della storia, ma come si dice, a volte si deve abbozzare, mica si può rischiare di apparire antipatici contestando 'o professore. Dunque, lasciamo da parte la docenza ad interim e passiamo alla querelle immigrazione. Saviano è un grande conoscitore di criminalità mafiosa, un'industria che ancora si occupa di liquidare le persone scomode con manodopera prettamente nostrana: nel 2016 264 omicidi di tipo mafioso commessi da italiani e soltanto 4 da stranieri. Però si deve dire che nello stesso anno gli omicidi volontari di qualsiasi matrice, che hanno visto come autore una persona straniera sono stati 204, mica bruscolini. Ma com'è che di questi il professor Saviano non si sente mai parlare? Lui, un paladino della legalità che non parla mai dell'illegalità commessa da cittadini stranieri, come può essere? Eppure appena l'8,3% della popolazione residente, elevata al 9% sommando gli irregolari, si è resa responsabile lo scorso anno del 29,2% dei reati penali denunciati (fonte: Relazione al Parlamento sull'attività delle forze di polizia, sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata). Nella sua invettiva contro il ministro dell'Interno Matteo Salvini, il carismatico riferimento dei no borders ha chiarito di non volere il martirio, di non tenere a morire. Ne siamo lieti. Ma forse che le 204 vittime della mano omicida di stranieri del 2016, le 266 del 2015, le 218 del 2014, le 240 e 271 nei due anni precedenti, forse che queste 1.199 persone che molte, troppe volte, non avrebbero dovuto incontrare chi non avrebbe dovuto stare sul nostro territorio se solo il buonismo immigrazionista di cui Saviano è voce tonante non avesse imperversato al governo, forse costoro avevano chiesto di essere assassinate? Quante di loro oggi sarebbero vive se quel cattivone del capo leghista si fosse potuto sedere al Viminale in tempo utile per rispedire al mittente i carichi dei mercanti di uomini tra cui si annidava il loro assassino? Il professor Saviano dichiara urbi et orbi di tenerci alla propria pelle, ma dalla sua pagina Facebook dichiara l'obiezione di coscienza all'aborto una piaga, una rivendicazione di totale disinteresse per la vita dei suoi simili più inermi e innocenti, eliminati non con le pistole, né con le bombe, ma con la cannula e le pillole abortive. Certo, sono quegli esseri umani che non possono fuggire, né lamentarsi della propria sorte, che non possono marciare, digiunare, chiedere asilo, salire su un barcone, domandare la protezione delle convenzioni internazionali, quelli che il professore ignora essere le vittime di una soppressione seriale protetta dall'ingiustizia legale. Eppure quei 7 milioni che Saviano non prende nemmeno in considerazione sono solo una parte di quelli che mancano all'appello (6 milioni mancanti perché abortiti, più un altro milione che sarebbero oggi vivi se i loro genitori non fossero stati abortiti) e lo costringono ad ammettere che «siamo un Paese con una crisi demografica immensa» che rende necessaria l'immigrazione in atto. Eppure non era il Paleocele, ma meno di 4 anni fa quando lo stesso Saviano saliva sul pulpito del suo profilo Fb per dispensare ai suoi discepoli una lezioncina tranquillizzante: «Quando venne introdotta la pillola anticoncezionale, una parte di mondo tuonò che non si sarebbero fatti più figli e che tutto sarebbe finito in una sorta d'estinzione», scriveva allora, aggiungendo che «quando arrivò la legge sull'aborto, fu ribadita la medesima fobia». Quand'era docente a Princeton preoccuparsi per le culle vuote era una fobia da cui Saviano era immune, oggi, divenuto supplente a Maddaloni, le stesse culle vuote rendono l'invasione africana una necessità. E poi vatti a lamentare della quasi laurea della Fedeli. Renzo Puccetti
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)