Le storture del tax credit sono un vaso di Pandora privo di fondo: nel 2023 quasi il 20% delle opere estere che hanno attinto all’aiutino di Stato è dichiarato «fantasma». Lo storico produttore De Micheli: «Ai registi interessa solo far quadrare i conti...».«Quando facevo il film, pensavo solo al fatto che lo spettatore mi premiasse. Più gente andava a vedere il film, più guadagnavo. Una volta non c’era il tax credit ma si facevano i film. E anche belli, prendevano parecchi premi noi italiani». A parlare alla Verità è il produttore Adriano De Micheli, 91 anni portati splendidamente. Profumo di donna, C’eravamo tanto amati, Il commissario Pepe, Dramma della gelosia, Telefoni bianchi, I nuovi mostri, La terrazza, Sapore di mare sono solo alcune delle pellicole che portano la sua firma. Ha lavorato gomito a gomito con grandi maestri come Dino Risi, Ettore Scola, Mario Monicelli.Appartiene a un’epoca in cui, quando si faceva un film, erano persone come lui a metterci i soldi. «Con questo aiuto dello Stato non c’è la ricerca della storia da raccontare. C’è solo la ricerca del contributo da prendere dal ministero della Cultura o dalle varie Film commission regionali. Oggi il produttore non serve, serve il commercialista». Già, senza un commercialista al proprio fianco non si dà neanche il primo ciak. Perché quello che conta, ormai, è prendere i soldi dell’aiutino di Stato, arraffare il più possibile. Poi la sceneggiatura, gli attori, il box office sono tutti dei corollari. Una volta che c’è il tax credit (l’incentivo fiscale che permette alle imprese che investono in un film di beneficiare di una riduzione fiscale da un minimo del 20% fino al 40% del budget. Il sussidio statale è stato introdotto nel 2008 e riformato nel 2016 con la legge Franceschini), c’è tutto. All’estero lo sanno bene, benissimo. Tanto è vero che non hanno esitato negli ultimi anni, proprio in vero italian-style, a presentare a raffica le richieste di agevolazioni quasi un quarto delle quali, nel solo 2023, si sono rivelate....fantasma.Proprio con questo termine, «fantasma», vengono definite le 12 opere cinematografiche straniere ammesse due anni fa nelle graduatorie ministeriali per il tax credit ma di cui non c’è alcuna «tracciabilità pubblica» nel nostro Paese secondo un report di verifica di cui è venuta in possesso La Verità. Quell’anno i progetti stranieri ammessi al sussidio erano stati 55, per un totale di oltre 356 milioni di euro stanziati. Di queste opere giudicate meritevoli di un aiuto economico, 34 sono state distribuite regolarmente nelle case cinematografiche, 9 non sono ancora uscite ma sono facilmente rintracciabili attraverso annunci ufficiali, schede di festival, comunicati dei player del settore mentre 12 sono classificate «fantasma». Certo, la legge prevede che «i soggetti beneficiari siano tenuti a comunicare tempestivamente alla direzione generale Cinema e audiovisivo l’eventuale perdita, successivamente all’accoglimento dell’istanza di agevolazione ovvero nelle more della comunicazione da parte della direzione generale Cinema e audiovisivo del credito spettante definitivo, dei requisiti di ammissibilità ai benefici previsti dal decreto citato». Ma quanti lo fanno? Praticamente nessuno. Una volta arraffato il credito, che per le produzioni estere arriva subito, i film «fantasma» finiscono (finivano?) nel dimenticatoio. Ora il governo Meloni ha varato delle strette al sistema che dovranno, però, ora scontrarsi con la pratica.«Quando un film è bello, come ritengo sia Diamanti di Ferzan Özpetek, si finanzia da solo», prosegue De Micheli, «Se si pensasse a fare ottimi film, i risultati verrebbero fuori. Una volta avevamo una dozzina di registi affermati, da Luchino Visconti a Federico Fellini, da Dino Risi a Mario Monicelli. Oggi ne abbiamo sì e no quattro perché non si cerca più il riconoscimento estero come una volta, ma si cerca solo di far quadrare i conti». Il problema, gigantesco, è che si fanno troppi film: «La legge sul tax credit è stata fatta male: uno presenta la domanda di aiuto ma ancora deve fare, magari non ha neanche il titolo in mente. Se me ne dovessi inventare uno, di titolo, e a questo allegassi un elenco del telefono, per esempio, lo Stato mi riconoscerebbe il 40% di credito fiscale per i costi di produzione che dichiaro di dover sostenere. Poi se la pellicola vede la luce o meno, non importa. Ripeto: a volte i progetti non hanno nemmeno il titolo».Già, come quello che compare nell’ultima riga di un decreto direttorale firmato dal direttore generale Cinema e audiovisivo del ministero della Cultura, Nicola Borrelli. Il testo contiene il riconoscimento dei crediti di imposta presentati nel 2021 anche se l’anno di riferimento è il 2023 e il documento è datato 30 agosto 2024. Allegato a questo documento che autorizza una serie di produzioni ad accedere alla misura del tax credit cinematografico c’è una tabella. Riporta i titoli, i codici assegnati a ogni opera, la casa di produzione e l’importo erogato. Nell’ultima riga di questa tabella c’è una pellicola senza titolo, indicata semplicemente come «Untitled Baumbach Picture», dal regista Noah Baumbach. Come produttore viene riportata la Film Production Consultants di Roma, una srl che ha sede in via Cola Di Rienzo 28, a Roma. Secondo l’ufficio camerale, nel 2023 ha fatturato 445.800 euro. Nel 2025, però, conta ben 34 dipendenti. A questo film senza titolo, prodotto da una società che non ha neanche un sito Internet, sono stati concessi 6.324.258 euro di tax credit. E senza battere ciglio. Si tratta della somma più alta erogata con quella disposizione.«Se ne fanno troppi di film, oggi», prosegue De Micheli, «Prima al ministero della Cultura controllavano un centinaio di film, adesso arrivano 450 domande l’anno e non c’è la struttura per controllare. È giusto aiutare il cinema, però bisogna sostenere le opere prime e seconde, perché sono i giovani che saranno il futuro Fellini o Risi».
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