2018-08-27
Se vuoi essere te stesso devi vestirti bene
Un abbigliamento consono da sempre esprime il senso di appartenenza a un gruppo. I segni di riconoscimento sono scomparsi ma non il nostro bisogno di identità: ecco perché rincorriamo le mode. Alcune delle quali potenzialmente dannose per la salute.Per diventare infrangibile, vestiti decentemente. La mente servile usa canottiera e ciabatte, e resta incastrata nel servile. L'abito fa il monaco. È la nostra più potente forma di comunicazione dopo il linguaggio verbale. Gli abiti esprimono l'identità e la comunicano anche a noi stessi, oppure, come in questo momento, con la loro eccessiva cacofonia, segnalano la mancanza di un'identità definita. L'abito testimonia l'affiliazione al gruppo. Tutti i gruppi, Amish, Mormoni, Maori, hanno sempre espresso l'appartenenza al gruppo mediante vestiario o altro (tatuaggi, perline). Chi non si uniformava al vestiario si dichiarava come quello a cui, di far parte del gruppo, non gliene importava un fico e ne veniva immediatamente estromesso, anche se questo non sarebbe stato compatibile con la sopravvivenza. Tra i Masai le perline avevano un senso preciso. Informavano sullo stato civile, numero dei figli, discendenza, ascendenza, possesso o meno di vacche. Chi si metteva le perline sbagliate veniva buttato fuori dal villaggio e se ne andava nella savana, solo, di notte, a discutere con leoni e scorpioni, sciacalli e avvoltoi i significati reconditi dell'esistenza e i parallelismi tra l'oroscopo occidentale e quello cinese.All'interno di un gruppo un vestiario consono esprime il desiderio di far parte del gruppo, un vestiario dissonante esprime estraneità. Il gruppo è un insieme di persone all'interno del quale vige un patto di non aggressione reciproca. Quando mi trovo di fronte a un estraneo al gruppo (e il vestiario dissonante o le perline non a norma dichiarano estraneità al gruppo) il mio rischio di aggressione aumenta. Quindi a questo punto possiamo stabilire una definizione di norma. La norma esiste? Certo che esiste: non è un valore universale, e si modifica a seconda del luogo e del tempo, ma esiste. La norma si modifica a seconda del gruppo, ma esiste. La norma all'interno di un gruppo è il comportamento che non causa picchi di adrenalina a nessun appartenente del gruppo. Se mi trovo di fronte un uomo nudo mentre passeggio in via Roma, il mio tasso di adrenalina aumenta: la nudità è anormale, e quindi provocatoria. Poi posso anche fare lo sforzo di fingere che tutto sia normale e comportarmi normalmente, ma il picco di adrenalina c'è. In altri tempi l'uomo nudo in via Roma sarebbe stato ucciso o imprigionato; oggi è tollerato, e questo è molto bello, ma ha un prezzo, perché in cambio di un aumento di libertà abbiamo rinunciato ai segni di riconoscimento di appartenenza al gruppo, e alla punizione contro chi non li manifesti, e quindi ci siamo condannati a una costante crisi di identità. Noi siamo l'unica società dove la sopravvivenza e l'uso dei mezzi pubblici e dei pubblici uffici sono permessi anche a chi non porta i segni di affiliazione al gruppo. In questa maniera è però aumentata anche l'ansia: i segni di affiliazione al gruppo sono rassicuranti.Diminuito il senso di identità, abbiamo moltiplicato all'infinito la ricerca di segni alternativi di gruppi minoritari, la firma sull'abito, i lineamenti spianati e resi simili dal trucco o dalla chirurgia estetica, fino ai contrassegni tribali, come il tatuaggio o il piercing. Tatuaggi e piercing dimostrano come la causa della moda e dei suoi vertiginosi cambiamenti (per cui tutto è contemporaneamente di moda e fuori moda) è la perdita di identità, non del vertiginoso giro di quattrini che c'è dietro la moda.La perdita di identità causa l'amore per la moda, ultimo e unico segno distintivo di affiliazione la gruppo. Quello che è di moda, proprio perché non ha nessuno base storica, ha variazioni infinite e varia in tempi infinitesimali, e quindi la moda diventa un affare. Non è il contrario. Se non avessimo una crisi di identità, della moda ce ne importerebbe molto meno, e non permetteremmo mai a un altro di mettere il suo nome su di noi: una giacca di Armani, Dolce e Gabbana, Benetton. Nei secoli passati la seta e l'oro indicavano l'appartenenza al gruppo di quelli che avevano potere e quattrini, che era il gruppo con maggiori possibilità di sopravvivenza: nessuno dei proprietari avrebbe permesso che i propri abiti fossero indicati dal nome del lavoratore che li aveva fabbricati. Il vestito di Maria Antonietta era di Maria Antonietta, non di chi lo aveva fabbricato. Non è la pubblicità la causa della moda, ma la crisi di identità. Per esempio nessuno faceva pubblicità ai jeans negli anni Cinquanta e Sessanta. Non si faceva pubblicità ai jeans come nessuno faceva pubblicità alle presine per levare le pentole dal fuoco senza bruciarsi. Le presine e i jeans erano oggetti comodi che uno comprava solo se e quando ne aveva bisogno. La moda dei jeans si impose da sola, come materializzazione di ideologie che rifiutavano la divisione dell'umanità in strati e solo dopo che la Levi's e la Wrangler si ritrovarono con un incredibile picco nella vendite, i jeans sono diventati di moda. Nessuno ha fatto la pubblicità al fatto che si portino i sandali senza calze, meno che mai i produttori di calze, eppure adesso le calze sono «vietate» con i sandali anche di inverno. Nessuno ha mai fatto pubblicità al tatuaggio e al piercing, a parte miserabili inserzioni su giornali miserabili e qualche sito internet. Non esiste nessuna multinazionale del tatuaggio che condiziona le nostra scelte. Nessuna multinazionale, nessun sarto di nome, nessuna sfilata. La nostra cronica assenza di un senso qualsiasi su quello che siamo ci ha fatto buttare, lieti come moscerini sul vino inacidito, sulla possibilità di scarnificare la nostra pelle, di ferirla, bucarla, di aumentare il rischio di infezioni, dalla suppurazione allo shock settico, nei casi dove già sussistano danni immunitari. Il tatuaggio immette sottopelle metalli pesanti se colorato, se nero impedisce la diagnosi tempestiva di un eventuale melanoma. Potevamo tenerci le calze bianche con le scarpe di vernice. Sono un'ex chirurgo, mi scuso per la rigidità di pensiero, ma sono spaventata dai piercing: nei traumi facciali diventano laceranti e penetranti e anche senza traumi facciali aumentano il rischio di ospiti indesiderati. Capisco i tatuaggi solo quando siano (molto) piccoli e (molto) carini: piccoli perché diminuiscono i rischio di essere travolti da cicatrici. La traumatologia esiste. Una frattura esposta o un'ustione deformano il tatuaggio in maniera caricaturale. Un aumento di peso importante anche. Ogni piercing può fare da ingresso e da ingrasso allo stafilococco aureus che non c'entra con l'oro, in più se è sulla lingua prima o poi danneggerà la smalto sui denti e causerà carie. L'inchiostro del tatuaggio non siamo ancora certi sia innocuo e potrebbe intralciare una risonanza magnetica.La felicità passa dall'accettazione del nostro corpo così come è, comunque esso sia. Il desiderio di modificarlo aumentando il suo livello di salute, diventare più forti, aumentare resistenza, flessibilità è positivo; il desiderio di «migliorare» il nostro corpo aumentando il suo livello di malattia, introducendo corpi estranei, con chirurgia, pericolosissime protesi o botulino, denota che c'è qualcosa che non quadra nel nostro rapporto con il corpo. La nostra identità, anziché con il corpo, manifestiamola con il vestiario. Vestiamoci bene.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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