2025-08-24
Se ci arrendiamo ai barbari woke vinceranno la loro guerra al passato
Nel suo ultimo libro Frank Furedi analizza la crociata in corso contro l’Occidente. E i danni che ha causato, a partire dalla vergogna che le persone provano per le proprie radici. Donald Trump reagisce a suo modo, gli altri dormono.Da quando Donald Trump ha dichiarato guerra alla cosiddetta cultura woke viene accusato di essere un censore e un liberticida, un tiranno che intimidisce gli intellettuali in disaccordo con la sua linea politica. In realtà, il presidente americano ha intuito, ancora prima di essere eletto, che è in corso un conflitto temibile, la più pericolosa fra tutte quelle che nei Paesi anglofoni vengono chiamate culture wars: è la guerra contro il passato di cui parla Frank Furedi nel suo nuovo libro (La guerra contro il passato, in uscita per l’editore Fazi con una preziosa prefazione di Andrea Zhok). Una guerra che si combatte cambiando il racconto della Storia, rintracciando razzismo, patriarcato e oppressione ovunque, indicando l’Occidente come responsabile di tutto il male del globo. E non c’è solo la lotta diciamo teorica, ma pure quella portata avanti sul campo abbattendo le statue, «cancellando» autori famosi, riscrivendo e censurando i romanzi, offrendo fantasiose ricostruzioni del passato in film e serie tv.Si potrebbe anche pensare che questo saggio potente sia in ritardo sui tempi visto che il wokismo arretra a livello globale, però attenti: non solo il woke non è morto (come si evince da quanto accade quotidianamente nel Regno Unito, dove governano i progressisti), ma anche se lo fosse avrebbe comunque causato danni pesanti che è il caso di indagare, perché produrranno conseguenze nefaste.Secondo Furedi, «il motore principale delle guerre culturali è una guerra non dichiarata contro il passato. Talvolta i sostenitori di queste guerre culturali contro la civiltà occidentale», spiega lo studioso, «agiscono come se questo territorio pericoloso continuasse a rappresentare una minaccia per il mondo contemporaneo. Il loro costante bersagliare l’eredità del passato - i suoi simboli materiali, i suoi valori e le sue conquiste - somiglia a una frenetica crociata morale il cui scopo è far sì che le persone provino vergogna delle loro origini e delle loro identità. In effetti, i guerrieri della cultura hanno aperto un secondo fronte per ottenere il controllo di come viene visto il passato».Ma quale è l’obiettivo finale di questa guerra? Facile e drammatico: quello di «cancellare l’eredità della civiltà occidentale». Ed è «perseguito attraverso la riorganizzazione della memoria storica della società e la contestazione e delegittimazione dei suoi ideali e risultati. Per raggiungere lo scopo, gli attivisti cercano di eliminare la distinzione temporale tra presente e passato. Finora non erano mai state spese tante energie per riadattare il passato e per mettere in discussione e criticare figure e istituzioni storiche. A volte sembra che il confine tra presente e passato sia scomparso, perché gli attivisti lo attraversano con disinvoltura e cercano di risolvere i problemi contemporanei riadattando ciò che è già accaduto».In effetti, nota Furedi, la guerra ha avuto successo, almeno finora: «La crociata contro il passato si è dimostrata molto efficace nell’alienare la società dalla sua storia. Le istituzioni pubbliche e private dipingono senza sosta il passato delle loro comunità con le tinte più fosche. Non è più necessario sollecitare le istituzioni educative e culturali a scusarsi di quasi tutti gli eventi passati. [...] Le istituzioni pubbliche e private hanno abbracciato in maniera acritica la causa della decolonizzazione e sembrano quasi compiacersi nel riscoprire il proprio passato “vergognoso”. L’adesione alla decolonizzazione è ormai diventata una dimostrazione di virtù, un rituale obbligato per ogni istituzione che voglia mostrarsi al passo con i tempi. Alla crociata contro il passato manca solo l’aggiunta della parola “santa”».Il risultato è che siamo immersi in quello che Furedi chiama «presentismo», una sorta di eterno presente che non solo giudica e riscrive il passato ma pretende pure di sostituire il futuro: «Il presentismo ha incoraggiato la perdita della sensibilità storica; di conseguenza, tutto quello che fa parte del passato è visto come una semplice versione iniziale del presente. Oltre a ciò, promuove un orientamento anacronistico nei confronti delle diverse fasi della storia, al punto da trattare individui vissuti migliaia di anni fa come se fossero nostri contemporanei. Una delle conseguenze più importanti dell’affermarsi del presentismo è lo sgretolamento dei confini temporali».Per altro, Furedi mette in luce un dettaglio determinante. Di solito si pensa che a combattere la battaglia contro il passato sia soltanto qualche folle attivista di sinistra o qualche professore universitario con cattive letture e troppo tempo da perdere. Il fatto però è che questa guerra non avrebbe avuto tanto successo se a combatterla non fossero state in primis le élite politiche ed economiche. «È indubbio che gli attivisti abbiano svolto un ruolo importante nel conflitto», dice Furedi. «Tuttavia, il loro notevole successo è stato reso possibile dalla complicità di alcuni settori dell’establishment politico e culturale dell’Occidente. Da quando l’establishment ha perso l’entusiasmo per la sua eredità storica, ha fatto ben poco per opporsi ai guerrieri della cultura accalcati alle porte della cittadella. Anzi, in molte istituzioni, coloro che sono formalmente incaricati della sua difesa hanno spalancato quelle porte. Proprio come quei romani che smisero di credere nel loro stile di vita e persero la voglia di combattere, le élite della società occidentale hanno fatto ben poco per sostenere e proteggere la propria eredità storica. A differenza dei romani, però, le élite non si sono limitate a rinunciare ai valori e allo stile di vita tradizionali, ma hanno cercato di negarli attivamente. Per questo sono spesso alla testa di un esercito deciso ad attaccare l’eredità culturale della società in cui vivono». Il presentismo, del resto, è la faccia più oscura del culto del progresso coltivato tanto dai manifestanti che si credono anticapitalisti quanto dal neoliberismo dominante.«Nei primi anni del XXI secolo l’atteggiamento delle élite occidentali era già completamente permeato dall’essenza del presentismo», continua Furedi. «Erano giunte alla conclusione che il ritmo del cambiamento era così rapido che quasi tutto ciò che appartiene al passato era superato e irrilevante per la loro esistenza. Inoltre, era già subentrato in loro il disincanto riguardo al valore della loro eredità storica, in particolare consideravano molti dei valori trasmessi dalle generazioni precedenti non più adeguati alla vita moderna. Non erano pronte a salvaguardare le tradizioni. Nelle istituzioni culturali ed educative il passato era spesso rappresentato come un territorio estraneo, se non ostile. Di conseguenza, decenni prima che l’attuale sostegno alla decolonizzazione della società esplodesse, le norme culturali prevalenti erano spesso in antitesi con quelle del passato. Quando questi atteggiamenti sono divenuti realtà, il distacco della società dalla sua storia è diventato suscettibile di politicizzazione. A quel punto la crociata contro il passato ha preso slancio ed è sfociata in quella che io definisco una guerra contro il passato».I frutti marci di tutto questo li abbiamo davanti agli occhi. Già oggi vediamo nuove generazioni di giovani (e meno giovani) sradicati, in crisi di identità, facilmente irretiti dalla propaganda e spesso incapaci di guardare al futuro con entusiasmo. Il presentismo li soffoca (e ci soffoca) come una gabbia chiusa a doppia mandata dal senso di colpa. Ecco perché occorre reagire, e velocemente. Può darsi che le soluzioni offerte da Trump non siano le più delicate, e di sicuro non sono le più eleganti. Ma sono la prima, inevitabile risposta a un morbo divorante. E sono di sicuro più utili dell’indifferenza rassegnata con cui i politici conservatori hanno finora accolto supinamente i barbari giunti per annientarli assieme alla loro più nobile tradizione.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)