2022-06-29
Se ai minori stranieri mancano dei diritti è colpa di Speranza
La sinistra spinge per lo Ius scholae: «Battaglia di civilità». Sono gli stessi che discriminavano i ragazzini col green pass. Dicono dal Pd che si tratta di una «battaglia per i diritti». E figurarsi se poteva essere qualcosa di diverso. Per loro, ogni volta, il racconto è quello di una lotta dei Buoni contro la Destra oscurantista e retriva, intenzionata a impedire - per pura cattiveria - ogni pur piccolo progresso umano e sociale. E dunque il dem Matteo Mauri ribadisce che quella sullo Ius scholae è «una battaglia di civiltà, e non lo diciamo come slogan: ci crediamo davvero». Come no. Per i cavalieri della luce piddini il primo terreno di scontro con l’esercito delle tenebre sovranista sarà la Camera dei deputati, dove oggi inizia la discussione sul testo presentato da , presidente pentastellato della Commissione affari costituzionali. La nuova legge, qualora fosse approvata, consentirebbe di presentare richiesta di cittadinanza italiana ai figli di stranieri arrivati qui prima di aver compiuto 12 anni, a patto che abbiano portato a termine un percorso scolastico della durata di cinque anni. Siamo al cospetto, in sostanza, dell’ennesimo tentativo di introduzione della cittadinanza facile dopo lo Ius soli e lo Ius culturae, entrambi miseramente naufragati negli anni passati. «La nostra è una battaglia sui diritti e sull’allargamento di questi ultimi», insiste Mauri del Pd parlando al Foglio. «Con questa legge creiamo delle opportunità in più per dei bambini che devono, se vogliono, essere italiani». Nella sua ossessiva ripetitività, l’esponente dem ha toccato i punti nodali della faccenda, che sono almeno due. Il primo riguarda il discutibile automatismo «se vuoi essere italiano allora devi diventarlo». E chi lo dice? Magari, se vuoi diventare italiano, c’è il caso che tu debba prima guadagnartelo. Certo, ci sono plotoni di italiani possessori di cittadinanza che dimostrano di non meritarla. Ma questo è un problema aggiuntivo, non la scusa per aprire ulteriormente le maglie. A prescindere da tutto ciò, resta che l’Italia è - ormai da anni - il secondo Stato europeo per nuove cittadinanze concesse ogni anno. Parliamo di centinaia di migliaia di persone che hanno ricevuto gli agognati privilegi, anche durante il caos covid. Tale evidenza ci permette di affrontare il secondo punto fondamentale della questione: non esiste, qui da noi, una «emergenza cittadinanza» o qualcosa di analogo. Ci sono, come sempre da queste parti, rallentamenti e lungaggini burocratiche per l’ottenimento dei documenti (e, sorridendo, si potrebbe addirittura ritenere che sia una strana forma di giustizia: chi vuol divenire italiano è bene che inizi a impastoiarsi da subito). In ogni caso, tutto ciò non comporta clamorose discriminazioni. Tradotto: un minorenne straniero che viva in Italia può fare esattamente tutto ciò che fanno i suoi coetanei. Può andare a scuola, curarsi, partecipare a competizioni sportive. Nessun diritto fondamentale gli viene negato. A questo punto occorre fermarsi un attimo e farsi una domanda: sapete quando ai ragazzini che si trovano sul suolo italiano sono stati effettivamente negati diritti fondamentali? La risposta è: nei mesi scorsi, quando una delirante discriminazione vaccinale ha impedito a una marea di minorenni - cittadini o meno - di frequentare la scuola, di praticare sport con i coetanei, di sedersi a mangiare una pizza con gli amici. Ricordate? A chi avesse compiuto 12 anni e fosse privo del green pass era interdetto l’ingresso al cinema e allo stadio. Se vaccinato, anche se straniero, poteva giocare al pallone con gli amichetti; in assenza di vaccino - pure se cittadino italiano - doveva restare a casa. Chi ha approvato queste regole folli? Il Pd, ovviamente. Il partito che ora dice di battersi per il bene dei bambini, fino all’altro giorno negava ottusamente a questi stessi bambini la possibilità di vivere normalmente. Adesso i cari dem s’impegnano in una «battaglia di civiltà» per far ottenere ai piccini diritti che, nei fatti, già posseggono (compreso quello di ottenere la cittadinanza: si tratta solo di aspettare qualche anno in più). Ma non si sono fatti scrupoli a cancellare questi stessi diritti quando c’era da imporre l’inoculazione di massa. Di più: non è detto che, fra pochi mesi, l’orrendo circo pandemico non ricominci esattamente come prima, razzismo sierologico annesso. Risulta piuttosto evidente, quindi, che ai simpatici progressisti dei diritti importi davvero poco: al massimo li usano per incartare i propri interessi e farli passare per necessità imprescindibili. Nel caso dello Ius scholae, l’obiettivo è duplice. In parte c’è il tentativo di ottenere nuovi elettori creandoli a tavolino, e in parte (forse soprattutto) si tratta di propagandare l’immigrazione di massa. La discussione posticcia sulla cittadinanza facile consente infatti di ridurre il problema migratorio a una faccenda di documenti, come se i guai dovuti alla mancanza di integrazione derivassero tutti dalla carenza di cittadinanze, e non dallo scontro inevitabile fra culture o dalla potenza dei flussi di irregolari. Non a caso, mentre il Parlamento si occupa dei «nuovi italiani», sulle nostre coste continuano a sbarcare migliaia di persone, per la gioia della criminalità organizzata transnazionale. E mentre i giornali discettano dello Ius scholae, nell’ombra ancora germina il temibile Ius sieri.