2023-02-23
Se lo scrittore diventa un robot: Amazon invasa da libri scritti dall’algoritmo
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Sempre più persone utilizzano programmi come ChatGPT per pubblicare volumi. Il che pone una serie di problemi: cosa cambia se un testo è scritto da un bot? E il copyright?Che l’intelligenza artificiale avrebbe finito per rendere obsoleto l’apporto umano in tutta una serie di lavori, era scontato. Che i primi a risentirne fossero gli scrittori – ovvero chi si dedica a una delle attività creative per eccellenza – lo era molto meno. Recentemente, una delle più autorevoli riviste di fantascienza, Clarkesworld, ha annunciato con un tweet secco e allusivo che non accetterà più testi da pubblicare. Per anni, riuscire a uscire con un proprio racconto su Clarkesworld è stato il sogno di ogni appassionato del settore. Il tweet non fa direttamente riferimento all’intelligenza artificiale, lasciando sospesa la spiegazione della decisione («non dovrebbe essere difficile capire il perché»), ma fra gli addetti ai lavori molti hanno interpretato la decisione come una ribellione ai troppi racconti arrivati in redazione composti in realtà da programmi di Ai.Un’inchiesta di Le Figaro, d’altro canto, ha svelato come anche i cataloghi di Amazon si stiano presto riempiendo di testi scritti da bot. Il quotidiano francese cita il caso di una famiglia di Saint Louis. Volendo esaudire il desiderio della sua bambina di appena tre anni di scrivere un libro su un’eroina dotata di superpoteri grazie ai suoi capelli ricci, la mamma ha buttato giù, insieme alla bambina una bozza di massima. Poi, nel giro di poche ore, ChatGPT ha scritto il testo del libro, mentre Midjourney lo ha tradotto in immagini e ne ha disegnato la copertina. Il servizio di self publishing di Amazon ha fatto il resto. Pochi giorni dopo, la versione digitale di Imara's Crazy Curl era disponibile su Amazon Kindle Store per 1,99 dollari. Nella sua versione cartacea, il libro di 35 pagine, stampato on demand, viene venduto a 9,99 dollari.Le Figaro ha censito più di 210 opere scritte tramite l’intelligenza artificiale e vendute su Amazon. Ci sono molti libri per bambini, ma anche raccolte di poesie, opere sulle criptomonete, etc. Un libro filosofico di 89 pagine sui sentimenti di una macchina, e scritto appunto da una macchina, figura tra i 100 libri più venduti nella sottocategoria «Algorithm Programming». Su Youtube, il video «How to use ChatGPT to write a book from scratch (Step-by-Step-Guide)», è stato già visto in poche settimane da 115 000 persone.La gran parte di questi testi sono co-firmati da autori che non hanno mai scritto un libro prima d’ora. Diciamo co-firmati perché tra gli autori figura anche espressamente ChatGPT, che Amazon registra come autore vero e proprio e che ha anche un suo portfolio personale. La menzione del programma non è del resto obbligatoria e c’è da scommettere che una maggioranza ben più grande abbia approfittato dell’intelligenza artificiale per scrivere testi per poi rivendicarne la paternità. La cosa, ovviamente, pone un po’ di problemi. Innanzitutto «filosofici»: cambia qualcosa, per un lettore, sapere che il libro che sta leggendo è stato scritto da un robot? Certo, se un romanzo «funziona», è coinvolgente e scritto in modo accattivante, l’identità dell’autore potrebbe essere secondaria. Esistono del resto romanzi di grande successo scritti da autori misteriosi che si celano dietro pseudonimi. Ma sapere che c’è un algoritmo dietro la composizione del libro potrebbe variare sensibilmente la percezione del lettore. La cosa crea ancora più problemi per la saggistica: teoricamente, la cogenza di un argomento non ha a che fare con chi l’ha formulato, sia esso un uomo, una donna, un Dio o un computer. Se il ragionamento fila, fila. Ma non è così semplice: quando si legge un testo si ha sempre anche in mente l’idea che ci sia qualcuno che l’ha scritto e che aveva motivazioni filosofiche, sociali o politiche per portare avanti proprio quell’argomento e non un altro. C’è poi la questione dei diritti d’autore. I bot, come sappiamo, funzionano pescando a strascico milioni di contenuti dalla rete, spesso protetti da copyright, e da quel bacino attingono per produrre materiale «nuovo». C’è una ragione se le risposte di ChatGPT risultano sempre un po’ come «già sentite», come se fosse la scimmiottatura di una conversazione vera. Questa somiglianza, però, in termini legali potrebbe configurare casi di plagio. Anche se la questione non è banale: cosa fa, infatti, un autore umano di libri se non immagazzinare un numero di testi ben inferiore a quello che può assimilare una macchina e trovare poi, nel corso di questo confronto con il proprio archivio mentale, uno stile proprio? L’idea dell’umanità dell’uomo come un quid inafferrabile e irreplicabile potrebbe essere un semplice pregiudizio antropocentrico. Sia come sia, resta il fatto che le nostre categorie, di fronte ai robot che avanzano, stanno cominciando a traballare.