2022-12-05
«Io, attore della serie tv Doc diventato famoso con i santi»
Giovanni Scifoni è uno degli interpreti più amati in televisione. Ma ha raggiunto il successo su Youtube: «Nei miei video utilizzo i temi religiosi per porre delle domande, non per convertire».Giovanni Scifoni è attore, regista e autore. È uno dei personaggi più amati di Doc - Nelle tue mani. Ha recitato in Una pallottola nel cuore, Squadra antimafia, Mio figlio, La meglio gioventù. I suoi video #Santodelgiorno sono diventati virali sui social e ha scritto Senza offendere nessuno, chi non si schiera è perduto per Mondadori. Giovanni, le dico subito che questa intervista non comincerà presentandola come un cattolico super praticante, come ho visto fare da altri colleghi. «È una definizione priva di senso che mi infastidisce moltissimo».Ah sì?«Ma certo. Non esiste la super pratica. A parte che mi fa sorridere che se uno va messa deve dire cattolico praticante, non basta cattolico, come se esistessero vari gradi. Cattolico non significa che tu vada a messa, poi c’è il cattolico praticante che va a messa ogni tanto e c’è il cattolico super praticante che va a messa tutte le domeniche. Buffo, perché invece quando dice che sei buddista devi solo dire che pratichi». Ha avuto una carriera brillante, ma la sua popolarità è esplosa sul Web. Come se lo spiega?«È nato un po’ per caso. Non è che mi sono messo lì a strutturare un programma. Ho iniziato a fare questi video sul santo del giorno e mi divertivo. All’inizio non mi si filava nessuno quando li facevo da solo, poi ho cominciato a coinvolgere mia moglie e i miei figli e sono diventato famoso».Diventare famosi parlando dei santi oggi è un paradosso. Com’è stato possibile?«Certamente ci sono degli argomenti più appetibili e argomenti meno. Se parli di politica o di temi sensibili come i diritti civili sei più appetibile, poi ci sono i temi che attraggono le persone in assoluto. Ci sono questioni cruciali che hanno a che vedere con l’essere umano da sempre e non sono contingenti alla contemporaneità e da sempre sono nell’immaginario di chiunque. Bisogna solo trovare il modo di veicolarli e renderli universali». E perché ha cominciato con questi video?«Semplicemente perché la questione mi stava a cuore. Penso che la figura del santo riesca più di altre figure a raccontare le miserie e gli splendori dell’essere umano; mi sembrava una categoria umana che potesse essere presa non a esempio ma a pretesto. Queste storie del santo che racconto sul Web non raccontano tanto la vita del santo, prendo a esempio un piccolissimo esempio di quella vita o quella predicazione per poi raccontare altro. Alla fine, racconto le dinamiche in famiglia, la miseria umana, la difficoltà nel mettere a posto casa». Non ha paura di strumentalizzare la fede?«Bisogna vedere quanto ti metti in discussione. Chi fa politica con il rosario in mano non si mette in discussione, è un meccanismo di captatio benevolentiae che è diverso. Mentre ci sono tantissimi politici che pregano nel silenzio della loro stanza senza farne una bandiera. Ne abbiamo avuti tanti come Giorgio La Pira. Perché abbiamo avuto ben chiaro che il rosario in mano ai comizi era una strumentalizzazione religiosa? Perché abbiamo visto nella persona l’utilizzo di un elemento caro a una fascia elettorale per acquistare voti». E invece i suoi video sui santi?«È un’altra cosa utilizzare i temi religiosi per interrogarsi. Semplicemente prendo questioni sacre per porre interrogativi che possono portare anche alla negazione del sacro. Da quando ho 30 anni racconto storie che hanno a che fare con il sacro, ma non per convincere qualcuno che io sia cattolico o per convertire qualcuno, ma perché secondo me il Vangelo e le storie raccontate nel Vangelo sono quelle che meglio di altre riescono, nel mio modo di comunicare, a raccontare i personaggi che ho per la testa». In che senso?«Quando racconto un personaggio per me è essenziale che si chieda se Dio esista o no. È fondamentale perché è una domanda importante, che un personaggio non può non farsi. Lo faccio anche per spirito di imitazione dei grandi del passato: Manzoni, Dostoevskij, Tolstoj, a cui faccio riferimento umilmente nel mio piccolo cercando di usare loro come maestri. Mi piacciono e loro non raccontavano, pur essendo autori credenti, un mondo dove Dio esiste, ma dove i personaggi si interrogano se Dio esista o no». Il mondo oggi è molto polarizzato. C’è ancora uno spazio libero di riflessione?«No. La polarizzazione oggi è tutto, soprattutto nei social media, che l’hanno acuita. Oggi apriamo il nostro smartphone, andiamo sui social e subito abbiamo una visione chiarissima della posizione che prendono su certi temi le persone che seguiamo. L’algoritmo aiuta gli utenti dei social a individuare chi la pensa come te e questo, come si dice, tante volte ha aumentato il fenomeno delle echo chamber. Questo ha portato di conseguenza a un modo di pensare sempre più autoriferito e ognuno è portato a dire ciò che la propria fan base si aspetta che diciamo. Purtroppo è così». Con la risata non è possibile?«No, non tanto con quella, ma mettendo in conto la possibilità di tradire il proprio pubblico, solo così è possibile una riflessione seria. Tutto quello che diciamo nei social e nei media, gli intellettuali, le persone che hanno una voce ascoltata, tutti abbiamo una base di fan i quali si aspettano che prendiamo una certa posizione su certi argomenti. Ci si aspetta che Fedez dica certe cose su certe questioni, così come ci si aspetta che Sgarbi dica certe cose su altri. Questo vanifica ogni tipo di riflessione perché i creatori di contenuti sono costretti a dire ciò che la fan base vuole sentirsi dire. Per rendere possibile un dialogo reale è necessario rompere il patto di fiducia con la propria fan base, come faceva costantemente Pasolini, i cui lettori erano sempre incazzati. Questo è il modo di comunicare, non ce n’è un altro».Ha un intellettuale di riferimento? Ne esistono ancora?«Ci sono persone che dicono cose che mi stimolano, ma intellettuali a cui fare riferimento non ce ne sono. Intellettuali come Simone Weil o Pier Paolo Pasolini oggi non ce ne sono. Alcuni dicono cose interessanti, come Umberto Galimberti, ma intellettuali no. Anche perché c’è talmente tanta roba sui social che è difficile anche capire di chi sia un pensiero. Il pensiero circola talmente tanto, i concetti circolano talmente tanto che è anche difficile stabilire se un’idea sia originaria di un creatore o presa da altri. Una riflessione politica o sociale diventa patrimonio del social media, non di una persona». Cosa chiede al nuovo governo sulla situazione dei teatri?«Bisogna aiutare in qualche modo i teatri privati che hanno avuto una botta mostruosa in questa pandemia, quelli pubblici un pochino si sono salvati. Per esempio, oggi faccio fatica a trovare i tecnici di luce e suono perché moltissimi hanno cambiato lavoro. Sarebbe necessario un aiuto al teatro privato, ma aiuti anche che si evidenzino in facilitazioni per far andare il pubblico a teatro. Più che dare soldi ai teatri, magari aiutare il pubblico ad andare a teatro, generando modelli virtuosi per cui la gente possa più facilmente sedersi in platea. I teatri pubblici sono generalmente più tutelati per le loro programmazioni». Ha portato in teatro uno spettacolo chiamato Dio è contento quando godo. Cosa vuol dire?«Non è che lo dico solo io eh, lo dice anche il Papa. Non so se Francesco sia venuto a vedere il mio spettacolo di nascosto, non credo. Ma ha fatto molti riferimenti e sono molto contento, perché mi ha fatto un grande spot (ride, ndr). Ha detto molto spesso che il sesso è dono di Dio: ne sono convinto. Nelle Lettere di Berlicche di Lewis, un diavolo dice che non si può tentare l’uomo con il piacere perché l’ha inventato Dio. Il piacere è roba di Dio. Il peccato è il casino che combini per ottenere piacere. Ma Dio è contento quando godiamo, è meno contento quando facciamo casini. Tutto il male che viene fatto è per ottenere piacere. Il sesso è una cosa bellissima, non è il sesso il problema: è cosa sei disposto a fare per ottenerlo». Di cosa parla il suo nuovo spettacolo?«Si chiama Beginning, spero che lo scrittore inglese che viene a vedere la prima domani non ci faccia causa, perché sicuramente saremmo stati un po’ più cafoni di come si immaginava, ma magari sarà contento. È un testo che appartiene all’iperrealismo estremo, la quarta parete diventa enorme e lo spettatore guarda due persone che si parlano in modo intimo senza nessuna battuta a effetto o a intreccio narrativo. Racconta la dinamica fondamentale del nostro tempo, la crisi dei quarantenni nei confronti dell’amore e del sesso». Si spieghi meglio.«I quarantenni oggi hanno il grandissimo problema che non si fidano più di nessuno. Se non sei già sistemato, non ti fidi più e senti la terra che ti scappa sotto i piedi. Quando arrivano i 40 anni inizi a pensare che l’amore è una grandissima fregatura e che nessuno ti può voler bene, perché fai un po’ schifo. E noi raccontiamo questo, ma con grandissima misericordia». L’aneddoto più divertente che le è capitato in carriera?«L’aneddotica si divide in due categorie: quelle che dici a tavola con gli attori e quelli che puoi raccontare ai giornalisti».E cosa può raccontarmi?«Il povero Luigi Maria Burruano, persona splendida a cui volevo veramente tantissimo bene, aveva questo problemino che ogni tanto beveva, parecchio. Ci trovavamo nella piazza di Trieste che ha questo molo bellissimo e lungo quasi un chilometro. Facevamo questa scena molto struggente in cui Luigi vedeva il fantasma di una ragazza e lo rincorreva sul molo. L’inquadratura era un campo molto lungo in cui si vedeva Luigi che rincorreva il fantasma lungo il molo. Era una giornata no, e a forza di correre sparisce dall’inquadratura».Sparisce?«Era finito in acqua, poverino. Era inverno, è cascato sugli scogli del mare ghiacciato. Una tragedia in realtà, ma non riuscivamo a smettere di ridere. Il set è il luogo infame in cui si diventa persone peggiori. Noi tutti giù a ridere di questo pover’uomo che s’era fatto malissimo».
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