2023-01-22
Schillaci dichiara guerra al tabacco ma scorda i soldi del piano anticancro
Il ministro punta a una società «libera dal fumo». Ma i 20 milioni per i malati oncologici non sono stati trovati. La crociata coinvolge pure le e-cig, che invece sarebbero delle alleate: è lo stesso fanatismo degli eco guerrieri. Allo scoccare dei venti anni dalla legge Sirchia, il neo ministro della Salute, Orazio Schillaci, è intervenuto sul tema fumo sorprendendo tutti quegli elettori di centrodestra che credono nella libertà e al tempo stesso nella formazione culturale e nello sviluppo delle tecnologie per affrontare gli eventuali problemi che la società si trova ad affrontare. In poche parole ha più che stupito coloro che non credono nei divieti totalitari mascherati con l’etica che alla fine servono solo per occultare gli errori dello Stato. Senza prenderla troppo alla lontana, Schillaci ha lanciato una crociata contro il fumo. Tutto il fumo, quello da sigaretta ma paradossalmente anche quello delle e-cig e dei nuovi prodotti che non bruciano. Ieri ha rincarato la dose. «Noi dobbiamo affrontare questo tema all’interno della prevenzione. Uno dei cavalli di battaglia su cui metterò la mia attenzione è prevenire e contrastare il tabagismo in linea contro il piano europeo contro il cancro». L’obiettivo dichiarata del ministro è arrivare al 2040 con una generazione «libera dal tabacco, con solo il 5% di fumatori». Tradotto: contrastare il tabagismo per ridurre il cancro. Se non fosse un tema drammatico che effettivamente riguarda solo in Italia 93.000 persone all’anno, ci sarebbe da sorridere. Il ministro ha trovato la soluzione al problema: legiferare e proibire. Mentre quando, poco più di tre settimane fa, c’era da rifinanziare il fondo per l’implementazione del piano nazionale anti cancro, deve essersi distratto. E così nessuno ha trovato 20 milioni di euro da destinare a tali patologie. Non solo: ieri, mentre, come uno Speranza qualunque, disegnava una società basata sui divieti, non ha trovato altro tempo per ricordare che in Aula tra gli emendamenti al Milleproroghe ne è spuntato uno a firma del presidente della Commissione Sanità e Affari sociali del Senato, Francesco Zaffini , che incidentalmente milita nello stesso partito che ha voluto Schillaci al vertice della Salute. Silenzio. Vedremo se la vincerà Zaffini, facendo emergere ancor di più il paradosso della posizione del ministero. Paradosso che non si limita al venir meno dell’incremento dei fondi ma anche alle ragioni sottostanti. Strano parlare di prevenzione quando in Italia soltanto lo 0,16% dei fumatori ha frequentato un centro antifumo. Secondo i dati Eurispes le porte delle strutture specializzate sono state varcate solo da 18.700 persone. Se sono poche è perché evidentemente la strategia non funziona e questo dovrebbe essere un tema sul tavolo del ministro. Pensare di risolvere l’abbandono coi divieti è una mentalità sovietica. C’è inoltre un secondo aspetto legato al Covid. Al di là del fatto che sono saltate centinaia di migliaia di visite preventive contro i tumori (ciò è imputabile al precedente governo) dopo un trend negativo, i due anni di lockdown hanno visto risalire il numero complessivo di chi accende una bionda. Nel 2019 fumava il 22% della popolazione, una percentuale che è salita al 26,2% a maggio del 2021, per poi riprendere a scendere al 24,2% a maggio del 2022. Non ci sono dati più recenti. Probabilmente il dato sarà in ripiegamento e se lo è lo si deve anche all’introduzione delle sigarette elettroniche e ai prodotti cosiddetti riscaldati. È ormai un dato scontato e accettato anche dalle autorità sanitarie che questi ultimi modelli di fumo siano meno dannosi delle sigarette tradizionali e che al tempo stesso contribuiscono alla minor vendita delle bionde. Il 95% di chi usa prodotti a non combustione è stato precedentemente fumatore di sigarette tradizionali e l’81% fa sapere di averle del tutto abbandonate. A fronte di tali dati incoraggianti anche per il welfare, il ministro intende includere nel pacchetto di divieto tutte le tipologie. Scelte che nemmeno la talebana Nuova Zelanda ha fatto. Anzi i Paesi che hanno portato a casa i migliori risultati contro il fumo (oltre a Wellington anche Londra, gli Usa e la Svezia) hanno incluso nelle proprie strategie i nuovi prodotti. Nemmeno a quelle latitudini si sono spinti ad eliminare tutto. Il motivo è anche di buon senso, ma sicuramente è dovuto al fatto che non si sono lasciati trasportare dall’approccio fideistico. Ora, forse in un mondo ideale dove nessuno dovrebbe correre rischi per la propria salute, zero sarebbe l’unica percentuale accettabile. Niente fumo, niente vino. Nulla di nulla. Ma sarebbe una vita senza libero arbitrio e una società che non ammetterebbe alcuna sfumatura né alcun progresso tecnologico. Perché, da che esiste il mondo, l’uomo cerca di sviluppare nuove tecnologie che gli consentano di fare cose e provare esperienze in modo sempre meno dannoso. Vale per le auto, gli aerei, il fumo, il cibo e altre pratiche. Lo sviluppo dei nuovi device elettrici, ad esempio, servirà fra 15 anni anche a controllare in tempo reale la salute di chi fuma uno stick. Come? Misurando i valori presenti nella saliva, ad esempio. La tecnologia consente all’uomo di essere meno impattante verso il mondo e al tempo stesso fa sì che i fenomeni esogeni lo siano nei confronti dell’umanità. Altrimenti è un po’ come la battaglia degli eco guerrieri. Essi non vogliono nucleare, gas idrogeno, biocombustili. Nulla di nulla per evitare alcun tipo di emissioni. Invece di consentire alla tecnologia di percorrere nuove strade, i fanatici del green vogliono la decrescita. Ma così per non morire si finirà con il negare la vita.