2019-01-23
Schiavi migranti per il business degli stracci
Operazione anti caporalato a Cremona: una banda di extracomunitari e italiani sfruttava la manodopera dei richiedenti asilo per raccogliere abiti usati da rivendere a 30 volte tanto in Nord Africa. Intercettazioni choc: «Vuoi i soldi? Ti do due mazzate».Il gigantesco centro d'accoglienza verrà presto smantellato. E la sinistra sbrocca.Lo speciale contiene due articoliC'era chi si occupava di coordinare l'attività di reperimento e raccolta di stracci e abiti vecchi sul territorio, chi aveva il compito di reclutare nei centri d'accoglienza la manodopera da sfruttare, chi si occupava degli aspetti logistici come il trasporto e l'affitto di capannoni per lo stoccaggio temporaneo e chi supervisionava le operazioni di carico del materiale su container diretti in Africa. C'è una storiaccia di sfruttamento e caporalato dietro al business dei pannacciari, i grossisti di abiti usati che si sono arricchiti sulla pelle di richiedenti asilo. Erano riusciti a trasformare gli stracci vecchi recuperati dai cassonetti che venivano posizionati davanti alle abitazioni delle zone residenziali di Cremona e provincia in merce preziosa. L'affarone era questo: gli indumenti venivano acquistati per 0,30 centesimi al chilo e venivano rivenduti nei mercatini del Nord Africa a un prezzo superiore di 30 o 40 volte. E infatti l'operazione di polizia giudiziaria è stata ribattezzata «Stracci d'oro».Il puzzo, fetido, del caporalato aleggiava già dal 16 aprile dello scorso anno, quando un furgone Ducato, con a bordo otto richiedenti asilo, era finito fuori strada a causa di una distrazione del conducente o, forse, per lo scoppio di una gomma troppo usurata. In due, un senegalese di 23 anni e un egiziano di 32, persero la vita. Gli occupanti, ricostruirono gli investigatori, viaggiavano stipati in piedi, poiché il Ducato non aveva posti a sedere e neppure cinture di sicurezza. Da una prima ricostruzione emerse che i migranti stavano rientrando da Trigolo, a una decina di chilometri da Soresina, in provincia di Cremona, dove ha sede la comunità che li ospitava. Lì avevano passato la giornata a caricare in un container capi d'abbigliamento dismessi. Un'attività risultata estranea a quella della comunità e finita subito nel mirino degli investigatori della squadra mobile. È bastato qualche interrogatorio per far emergere che il giro losco era gestito quasi esclusivamente da extracomunitari: un tunisino, cinque marocchini e un italiano (un napoletano di 62 anni residente nella provincia di Varese) che facevano lavorare richiedenti asilo per una giornata e poi li liquidavano con pochi spiccioli. Dopo aver ascoltato alcuni dei lavoratori sfruttati, gli investigatori hanno individuato i caporali e li hanno intercettati, pedinati e videoregistrati. E così è stato scoperto che gli indumenti raccolti dalla manovalanza africana, con alcuni camion, venivano portati in depositi presi in affitto per l'occasione. I vestiti venivano quindi stoccati dai lavoratori irregolari, che operavano in condizioni pessime: 25 o 30 persone per carico, che cominciavano la propria giornata lavorativa all'alba e terminavano la sera tardi. Senza alcun rispetto delle norme igieniche e di sicurezza.Il lavoro, ha accertato la Procura, che ieri mattina ha dato esecuzione a cinque misure cautelari tra ordinanze di custodia cautelare in carcere, ai domiciliari e obblighi di dimora (tre persone, poi, risultano indagate a piede libero), era durissimo. E diventava ancora più duro per colpa dei metodi usati dai negrieri. In una delle tante telefonate intercettate, gli investigatori hanno annotato le parole usate con uno dei lavoratori sfruttati proprio dall'italiano che faceva comunella con i suoi compari extracomunitari: «Col cavolo che domani mi chiedi i soldi, ti do due mazzate e vai a casa, pachistano di merda, che non sai lavorare». Il leader del gruppo raccontava a telefono di come, dopo il tragico incidente, aveva dovuto modificare la strategia lavorativa, arrivando a punire gli scansafatiche, ai quali, stando agli atti dell'inchiesta, «corrispondeva, nella migliore delle ipotesi, tre euro per ogni ora di lavoro, ma a volte anche solo cinque euro di compenso per una intera giornata», che i migranti (sono 16 quelli identificati, ma gli investigatori stimano che potrebbero essere una trentina) passavano caricando stracci sui container delle navi. La rotta era sempre la stessa: da Genova il carico veniva ritirato in Tunisia. Lì un trader ritirava la merce e la piazzava nel suo giro di rivenditori da bancarella trattenendo per sé una royalty. Gli abiti vecchi che arrivavano dall'Italia, emerge dall'inchiesta, erano molto richiesti nei Paesi del Maghreb. E al dettaglio, se il commerciante era abile nella vendita, un capo poteva anche trasformarsi in un ottimo affare. L'organizzazione riusciva a recuperare la materia prima oltre che a Cremona, anche nelle province di Como, Bergamo e Reggio Emilia. E così, in poco tempo, il giro d'affari era cresciuto in modo esponenziale e aveva raggiunto, stando alla ricostruzione fornita ieri dagli investigatori al termine dell'operazione, picchi di 300.000 euro a spedizione. In questura hanno calcolato che a pieno carico ogni container colmo di stracci vecchi fruttava circa 150.000 euro. La banda ne riusciva a mandare in Tunisia anche un paio a settimana. E si era arricchita. Sulla pelle dei migranti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/schiavi-migranti-per-il-business-degli-stracci-2626746553.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="blitz-al-cara-di-castelnuovo-di-porto-chiude-la-seconda-struttura-ditalia" data-post-id="2626746553" data-published-at="1758148606" data-use-pagination="False"> Blitz al Cara di Castelnuovo di Porto. Chiude la seconda struttura d’Italia Il Cara di Castelnuovo di Porto, il secondo più grande d'Italia dopo quello di Mineo, il centro in cui papa Francesco nel 2016 lavò i piedi a una volontaria cattolica e a undici rifugiati, fra i quali tre di religione musulmana, nel giro di pochi giorni sarà smantellato. I migranti, oltre 500, fra i quali una dozzina di bambini, verranno trasferiti in altre regioni d'Italia. Sono circa 150 i richiedenti asilo bocciati che, per effetto del decreto Salvini, non potendo più ambire a passare in uno Sprar, perdono anche il diritto alla prima accoglienza. I primi 30 sono stati già portati via in autobus ieri mattina, mentre un altro gruppo, di 75, verrà trasferito oggi. Tempi da record. Che non piacciono, però, a gran parte della stampa. Ieri sul web in molti casi il racconto delle operazioni era accompagnato da descrizioni che sembravano tratte da storie da campo di concentramento, con i migranti divisi in gruppi di uomini, donne e bambini, pronti a essere trasferiti in posti ignoti. Il primo a protestare è stato il sindaco di Castelnuovo, Riccardo Travaglini, che ha descritto la struttura come una delle rare esperienze di positiva integrazione dei migranti sul territorio. In realtà si trattava di una specie di ghetto. Il Cara, infatti, si trova in viale della Protezione civile, a circa 40 chilometri da Roma, situato fra la Flaminia e la Tiberina. La struttura viene descritta come un gigantesco blocco di cemento da 11.000 metri quadrati, basso, largo, completamente recintato, e con 177 stanze. L'edificio, un tempo di proprietà dell'Inail, veniva utilizzato per ospitare personale della Protezione civile ed è stato trasformato in Cara nel 2008. All'esterno non c'è nulla: niente servizi, niente bar e neanche abitazioni. Ma il sindaco appare preoccupato soprattutto per i posti di lavoro: 107 dipendenti tra operatori sociali, di cucina, inservienti ed educatori che, con molta probabilità, andranno a casa. È la fine di un business che vede in prima linea coop e onlus spesso legate alla Chiesa. «Siamo dispiaciuti e preoccupati», ha commentato il parroco di Santa Lucia, padre José Manuel Torres, messicano, dei Servi di Gesù, che si è anche premurato di ospitare l'inizio di una marcia silenziosa di cittadini per esprimere solidarietà agli ospiti del Cara, tra i quali ci sono due giovani migranti musulmani, Yallow Buba, 20 anni, gambiano, e Anszou Cissé, 19 anni, senegalese, che, scrive Famiglia cristiana, sono membri onorari della società sportiva Athletica Vaticana, la prima associazione sportiva con sede nella Città del Vaticano. Anche per loro ci sarà una nuova destinazione. «Non sappiamo dove andranno a finire almeno 200 persone», ha detto il parroco, spiegando che le operazioni si sono svolte velocemente e «in modo un po' misterioso, basti pensare che l'autista del pullman nemmeno sapeva dove doveva andare, forse in Basilicata». Nel regno della coop Auxilium, che gestisce il Cara da quando il Tar con una sentenza lo ha strappato ai boss di Mafia Capitale.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)