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2021-01-19
Schiaffo di Speranza al Pirellone. La Lombardia rimane in lockdown
Attilio Fontana e Letizia Moratti (Ansa)
Il silenzio. La risposta del ministro Roberto Speranza alla richiesta della Regione Lombardia di sospendere per due giorni (ieri e oggi) il ritorno in zona rossa è stata secca: istanza ignorata. Come se niente fosse, come se nessuno avesse chiesto nulla. Un semplice «no comment» sarebbe sembrato la ricevuta di ritorno di una raccomandata con cui il destinatario ammette di averla ricevuta. Manco quello è arrivato da Speranza, che tira dritto per la strada del rigore a prescindere. Soprattutto verso la prima Regione d'Italia, quella che ha pagato il prezzo più alto per il dilagare del Covid.
La richiesta era firmata da Letizia Moratti. Che l'ex ministro (nonché ex sindaco di Milano, ex presidente Rai ed ex numero uno di Ubibanca) fosse arrivata al Pirellone per dare una sterzata alla sanità lombarda, era perfino scontato immaginarlo. Ma che a 10 giorni dall'insediamento avrebbe sfidato direttamente il governo non era facile da prevedere. La nuova vicepresidente della Regione Lombardia ha invece messo Speranza nel mirino, e con lui la pletora di consulenti tecnici e l'intero sistema delle zone multicolori d'Italia che da mesi scandisce la vita del Paese.
La Moratti ha chiesto al ministero della Salute di sospendere per 48 ore l'ordinanza che da domenica ha nuovamente retrocesso la Lombardia in zona rossa. Lo scontro è molto pragmatico. La vicepresidente lombarda è certa che oggi usciranno dati che certificheranno la presenza di un grado di rischio minore nella Regione. Aspettare un paio di giorni consentirebbe di prendere decisioni più aderenti alla realtà. Invece no. Per uscire dalla zona rossa bisogna aspettare 15 giorni: la blindatura scattata ieri è valida fino al 31 gennaio. Il cambio di colore sarà valutato venerdì 29 gennaio, non prima, sempre che i dati epidemiologici lo consentano. Non conta se le statistiche rilevano miglioramenti prima di quanto stabiliscano le ordinanze del governo: rossi si è, e rossi si rimane.
È proprio questo automatismo che la Moratti ha deciso di combattere. Il governatore Attilio Fontana aveva accolto malissimo l'ordinanza ministeriale: «È una punizione che non meritiamo», aveva detto. E i due sono passati alle carte bollate, chiedendo a Speranza di sospendere l'ordinanza «con effetto immediato» e di rivedere «i criteri dei tecnici ministeriali». Un'offensiva pesante, corredata da un ricorso amministrativo urgente al Tar del Lazio depositato ieri mattina. «Ci sono ben altre Regioni con rischi di contagiosità palesemente superiori a quelli della Lombardia non collocate in zona rossa», ha detto la neo assessora al welfare. «Sollecito il ministro a valutare la reale situazione. Si tratta di una pericolosa sottovalutazione, come attesta il dato aggiornato dell'incidenza dei positivi al Covid in quest'ultima settimana, che espone la popolazione di quelle Regioni a un rischio di propagazione dell'infezione più marcato di quello lombardo».
I nuovi dati dovrebbero fornire un quadro più realistico e meno allarmante del contagio nella Regione. «La revisione sollecitata sulla base di questi dati», ha spiegato la Moratti, «potrà essere molto più puntuale e oggettiva e dimostrare il minor grado di rischio di Regione Lombardia. Il ricalcolo aggiornato degli indici, alla data del 16 gennaio, a noi risulterebbe di 1,01, in decremento dall'1, 17 di domenica 10 gennaio». La linea dura è confermata da Fontana: «Ho sempre ribadito che il solo dato dell'Rt non è sufficiente per dichiarare una Regione in zona rossa», ha scritto su Facebook. «La zona arancione, con una particolare attenzione sulle scuole, avrebbe garantito la sicurezza. Il governo deve rivedere gli incongrui parametri che regolano le aperture, le chiusure e in sostanza la vita dei cittadini. Puntiamo a sederci a un tavolo tecnico per la modifica dei parametri. Tavolo di confronto che il governo ha più volte promesso, ma mai aperto, anzi, ha stretto le soglie sugli stessi parametri e portato la Lombardia in zona rossa».
Speranza ha liquidato il ricorso con parole sprezzanti: «Ogni volta che firmo ordinanze, producendo chiusure indispensabili al Paese secondo la nostra comunità scientifica, ci sono sempre tensioni per qualche giorno», ha detto come se quelli della Lombardia fossero capricci. Più esplicita Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute: «I dati vengono raccolti sempre nello stesso modo, con la stessa tempistica, e vengono forniti dalle Regioni stesse. Vorrei ricordare che in Cabina di regia siedono tre rappresentanti scelti dalle Regioni. Potremmo risparmiarci tutti quanti un'inutile polemica». Quello che Zampa non dice è che il nuovo lockdown per la Lombardia è stato ordinato su dati della fine di dicembre, largamente superati. E la tempestività dei dati utilizzati per valutare l'Rt è al primo punto del ricorso presentato al Tar. Ma il dossier entra anche nel merito delle cifre: «La Lombardia ha circa un terzo dei casi del Veneto, la metà dei casi dell'Emilia Romagna, un dato inferiore al Lazio e al Friuli Venezia Giulia», vi si legge, e considerando la capacità di portare a 1.800 gli attuali 1.200 posti letto di terapia intensiva, come successo nella prima ondata e come previsto nel piano ospedaliero regionale approvato dal ministero lo scorso luglio, la soglia limite del 30% non sarebbe stata superata. Secondo i dati resi noti ieri dal ministero, la Lombardia attualmente ha 53.564 positivi, in netto calo rispetto ai 56.142 di domenica e ai 57.998 di sabato: è il dato più basso dal 6 gennaio scorso.
Calano i contagi e il tasso di positività (5,6%)
Il bollettino di ieri sull'andamento dell'epidemia ha fotografato un lieve miglioramento: secondo i dati del ministero della Salute sono stati 8.824 i nuovi contagiati a fronte di 158.674 test (molecolari e antigenici, di cui 71.427 rapidi) . Il tasso di positività scende ancora, raggiungendo il 5,6% (-0,3%).
Le vittime sono state 377. Domenica i positivi erano stati 12.415 e i decessi lo stesso numero.
Registrato, dopo giorni di calo, un aumento di 41 unità dei pazienti in terapia intensiva. Gli ingressi giornalieri sono stati 142. In totale i ricoverati in rianimazione sono 2.544 . I pazienti in area medica - reparti ordinari - sono aumentati di 127 unità rispetto a domenica, portando il totale a 22.884.
In totale i casi da inizio epidemia sono stati 2.390.101, le vittime 82.554. Gli attualmente positivi sono 547.058 (-6.316 rispetto al giorno prima), i guariti e i dimessi 1.760.489 (+14.763), in isolamento domiciliare ci sono 521.630 persone (-6.484).
Nonostante il minor numero di tamponi processati, come accade ogni fine settimana, si può ritenere un buon segnale vedere per la prima volta nel mese di gennaio le nuove infezioni sotto la quota 10.000.
In miglioramento anche i dati del Veneto, a conferma del rallentamento della curva epidemiologica, in atto da un paio di settimane: i nuovi positivi registrati ieri sono stati 998, (non erano inferiori a 1.000 da ottobre) a fronte dei 1.369 del giorno precedente. Ieri sono stati processati 19.795 tamponi nella Regione, l'incidenza è quindi del 5,04%.
Stabili purtroppo i decessi, (47). Aumentano i guariti, (+2.508) mentre cala la pressione sugli ospedali. Ieri i ricoverati erano 3.015, i pazienti in in area non critica sono 2.661 (-54), mentre restano stabili, 354, le terapie intensive. Comunque prudente il governatore Luca Zaia: «Io trovo un clima di “esultazione" per questi dati in calo. Però io ho una forte preoccupazione, ricordo che il Covid ci ha abituati a cambi di scena repentini. Per recuperare “al contrario" questi risultati che abbiamo accumulato in 18 giorni, bastano poche ore». La Lombardia rimane la più colpita (+1.189 positivi) a fronte di6.338 tamponi effettuati (di cui 13.966 molecolari e 2.372 antigenici). Il tasso di positività è in crescita al 7,2% (domenica 6.3%). Continuano a diminuire i ricoverati sia nelle terapie intensive (-3) sia negli altri reparti (-57). I decessi sono 45. I guariti e dimessi sono stati 3.722. Per quanto riguarda le province sono 319 i nuovi casi a Varese, 256 nella città metropolitana di Milano di cui 117 a Milano città, 186 a Brescia, 155 a Como.
La Regione di Attilio Fontana è seguita da Sicilia (+1.278) ed Emilia-Romagna (+1.153).
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La vicepresidente Letizia Moratti aveva chiesto di sospendere il ritorno in zona rossa per 48 ore e aspettare i dati di domani. Istanza ignorata: la Regione resta blindata fino al 29 gennaio, in base al monitoraggio di dicembre.Lieve aumento dei ricoveri. Veneto in miglioramento: nuovi casi sotto quota 1.000Lo speciale contiene due articoli.Il silenzio. La risposta del ministro Roberto Speranza alla richiesta della Regione Lombardia di sospendere per due giorni (ieri e oggi) il ritorno in zona rossa è stata secca: istanza ignorata. Come se niente fosse, come se nessuno avesse chiesto nulla. Un semplice «no comment» sarebbe sembrato la ricevuta di ritorno di una raccomandata con cui il destinatario ammette di averla ricevuta. Manco quello è arrivato da Speranza, che tira dritto per la strada del rigore a prescindere. Soprattutto verso la prima Regione d'Italia, quella che ha pagato il prezzo più alto per il dilagare del Covid.La richiesta era firmata da Letizia Moratti. Che l'ex ministro (nonché ex sindaco di Milano, ex presidente Rai ed ex numero uno di Ubibanca) fosse arrivata al Pirellone per dare una sterzata alla sanità lombarda, era perfino scontato immaginarlo. Ma che a 10 giorni dall'insediamento avrebbe sfidato direttamente il governo non era facile da prevedere. La nuova vicepresidente della Regione Lombardia ha invece messo Speranza nel mirino, e con lui la pletora di consulenti tecnici e l'intero sistema delle zone multicolori d'Italia che da mesi scandisce la vita del Paese. La Moratti ha chiesto al ministero della Salute di sospendere per 48 ore l'ordinanza che da domenica ha nuovamente retrocesso la Lombardia in zona rossa. Lo scontro è molto pragmatico. La vicepresidente lombarda è certa che oggi usciranno dati che certificheranno la presenza di un grado di rischio minore nella Regione. Aspettare un paio di giorni consentirebbe di prendere decisioni più aderenti alla realtà. Invece no. Per uscire dalla zona rossa bisogna aspettare 15 giorni: la blindatura scattata ieri è valida fino al 31 gennaio. Il cambio di colore sarà valutato venerdì 29 gennaio, non prima, sempre che i dati epidemiologici lo consentano. Non conta se le statistiche rilevano miglioramenti prima di quanto stabiliscano le ordinanze del governo: rossi si è, e rossi si rimane.È proprio questo automatismo che la Moratti ha deciso di combattere. Il governatore Attilio Fontana aveva accolto malissimo l'ordinanza ministeriale: «È una punizione che non meritiamo», aveva detto. E i due sono passati alle carte bollate, chiedendo a Speranza di sospendere l'ordinanza «con effetto immediato» e di rivedere «i criteri dei tecnici ministeriali». Un'offensiva pesante, corredata da un ricorso amministrativo urgente al Tar del Lazio depositato ieri mattina. «Ci sono ben altre Regioni con rischi di contagiosità palesemente superiori a quelli della Lombardia non collocate in zona rossa», ha detto la neo assessora al welfare. «Sollecito il ministro a valutare la reale situazione. Si tratta di una pericolosa sottovalutazione, come attesta il dato aggiornato dell'incidenza dei positivi al Covid in quest'ultima settimana, che espone la popolazione di quelle Regioni a un rischio di propagazione dell'infezione più marcato di quello lombardo».I nuovi dati dovrebbero fornire un quadro più realistico e meno allarmante del contagio nella Regione. «La revisione sollecitata sulla base di questi dati», ha spiegato la Moratti, «potrà essere molto più puntuale e oggettiva e dimostrare il minor grado di rischio di Regione Lombardia. Il ricalcolo aggiornato degli indici, alla data del 16 gennaio, a noi risulterebbe di 1,01, in decremento dall'1, 17 di domenica 10 gennaio». La linea dura è confermata da Fontana: «Ho sempre ribadito che il solo dato dell'Rt non è sufficiente per dichiarare una Regione in zona rossa», ha scritto su Facebook. «La zona arancione, con una particolare attenzione sulle scuole, avrebbe garantito la sicurezza. Il governo deve rivedere gli incongrui parametri che regolano le aperture, le chiusure e in sostanza la vita dei cittadini. Puntiamo a sederci a un tavolo tecnico per la modifica dei parametri. Tavolo di confronto che il governo ha più volte promesso, ma mai aperto, anzi, ha stretto le soglie sugli stessi parametri e portato la Lombardia in zona rossa».Speranza ha liquidato il ricorso con parole sprezzanti: «Ogni volta che firmo ordinanze, producendo chiusure indispensabili al Paese secondo la nostra comunità scientifica, ci sono sempre tensioni per qualche giorno», ha detto come se quelli della Lombardia fossero capricci. Più esplicita Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute: «I dati vengono raccolti sempre nello stesso modo, con la stessa tempistica, e vengono forniti dalle Regioni stesse. Vorrei ricordare che in Cabina di regia siedono tre rappresentanti scelti dalle Regioni. Potremmo risparmiarci tutti quanti un'inutile polemica». Quello che Zampa non dice è che il nuovo lockdown per la Lombardia è stato ordinato su dati della fine di dicembre, largamente superati. E la tempestività dei dati utilizzati per valutare l'Rt è al primo punto del ricorso presentato al Tar. Ma il dossier entra anche nel merito delle cifre: «La Lombardia ha circa un terzo dei casi del Veneto, la metà dei casi dell'Emilia Romagna, un dato inferiore al Lazio e al Friuli Venezia Giulia», vi si legge, e considerando la capacità di portare a 1.800 gli attuali 1.200 posti letto di terapia intensiva, come successo nella prima ondata e come previsto nel piano ospedaliero regionale approvato dal ministero lo scorso luglio, la soglia limite del 30% non sarebbe stata superata. Secondo i dati resi noti ieri dal ministero, la Lombardia attualmente ha 53.564 positivi, in netto calo rispetto ai 56.142 di domenica e ai 57.998 di sabato: è il dato più basso dal 6 gennaio scorso.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/schiaffo-di-speranza-al-pirellone-la-lombardia-rimane-in-lockdown-2650015688.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="calano-i-contagi-e-il-tasso-di-positivita-56" data-post-id="2650015688" data-published-at="1611001734" data-use-pagination="False"> Calano i contagi e il tasso di positività (5,6%) Il bollettino di ieri sull'andamento dell'epidemia ha fotografato un lieve miglioramento: secondo i dati del ministero della Salute sono stati 8.824 i nuovi contagiati a fronte di 158.674 test (molecolari e antigenici, di cui 71.427 rapidi) . Il tasso di positività scende ancora, raggiungendo il 5,6% (-0,3%). Le vittime sono state 377. Domenica i positivi erano stati 12.415 e i decessi lo stesso numero. Registrato, dopo giorni di calo, un aumento di 41 unità dei pazienti in terapia intensiva. Gli ingressi giornalieri sono stati 142. In totale i ricoverati in rianimazione sono 2.544 . I pazienti in area medica - reparti ordinari - sono aumentati di 127 unità rispetto a domenica, portando il totale a 22.884. In totale i casi da inizio epidemia sono stati 2.390.101, le vittime 82.554. Gli attualmente positivi sono 547.058 (-6.316 rispetto al giorno prima), i guariti e i dimessi 1.760.489 (+14.763), in isolamento domiciliare ci sono 521.630 persone (-6.484). Nonostante il minor numero di tamponi processati, come accade ogni fine settimana, si può ritenere un buon segnale vedere per la prima volta nel mese di gennaio le nuove infezioni sotto la quota 10.000. In miglioramento anche i dati del Veneto, a conferma del rallentamento della curva epidemiologica, in atto da un paio di settimane: i nuovi positivi registrati ieri sono stati 998, (non erano inferiori a 1.000 da ottobre) a fronte dei 1.369 del giorno precedente. Ieri sono stati processati 19.795 tamponi nella Regione, l'incidenza è quindi del 5,04%. Stabili purtroppo i decessi, (47). Aumentano i guariti, (+2.508) mentre cala la pressione sugli ospedali. Ieri i ricoverati erano 3.015, i pazienti in in area non critica sono 2.661 (-54), mentre restano stabili, 354, le terapie intensive. Comunque prudente il governatore Luca Zaia: «Io trovo un clima di “esultazione" per questi dati in calo. Però io ho una forte preoccupazione, ricordo che il Covid ci ha abituati a cambi di scena repentini. Per recuperare “al contrario" questi risultati che abbiamo accumulato in 18 giorni, bastano poche ore». La Lombardia rimane la più colpita (+1.189 positivi) a fronte di6.338 tamponi effettuati (di cui 13.966 molecolari e 2.372 antigenici). Il tasso di positività è in crescita al 7,2% (domenica 6.3%). Continuano a diminuire i ricoverati sia nelle terapie intensive (-3) sia negli altri reparti (-57). I decessi sono 45. I guariti e dimessi sono stati 3.722. Per quanto riguarda le province sono 319 i nuovi casi a Varese, 256 nella città metropolitana di Milano di cui 117 a Milano città, 186 a Brescia, 155 a Como. La Regione di Attilio Fontana è seguita da Sicilia (+1.278) ed Emilia-Romagna (+1.153).
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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