2021-06-17
Scelta del prodotto e privati in campo. Ecco come risolvere il caos richiami
Per superare lo stallo causato dal mix vaccinale, basterebbe dare la possibilità di completare il ciclo con lo stesso farmaco tramite un consenso firmato e coinvolgere nella campagna tutte le cliniche medicheInutile girarci intorno. A pesare come un macigno, rispetto alla titubanza che alcune regioni tuttora manifestano nel dissociarsi dal diktat di Roberto Speranza a favore del cocktail (obbligatorio) di vaccini, è il timore delle eventuali conseguenze di una scelta difforme, anche in termini mediatici. Già le regioni che a suo tempo avevano effettuato gli open day vaccinali, nonostante avessero avuto l'ok di Roma, sono state criminalizzate a posteriori, come se avessero fatto tutto di testa propria o alla chetichella.Perciò, quando l'altra sera i governatori regionali hanno letto la circolare ministeriale in cui si scrive che il ciclo vaccinale degli under 60 che abbiano ricevuto una prima dose AstraZeneca «deve essere completato con una seconda dose di vaccino a mRna», molti di loro, anziché indignarsi per quel «deve» (lesivo sia del consenso informato del singolo cittadino sia dell'autonomia regionale), quasi quasi l'hanno preso come un giubbetto antiproiettile per loro stessi. Come dire: almeno stavolta, se qualcosa andrà male, non si potrà dare la colpa a noi. In altre parole: se ci sarà un evento avverso a causa del mix, rivolgetevi al ministero. Peccato che ciò si risolva in un danno secco per i cittadini, lesi nella loro libertà e anche nella loro sicurezza: infatti, in carenza di test basati su numeri davvero ampi e consistenti, si impone loro l'interruzione di un trattamento sanitario e la sua sostituzione coattiva con un trattamento diverso, con pesanti incognite sulla sicurezza dell'operazione nel medio termine. E, come La Verità ha già spiegato, se finisse così, sarebbe matematica una pioggia di ricorsi al Tar da parte dei cittadini desiderosi di completare la propria vaccinazione in modo omogeneo (senza l'incognita dell'«eterologa»): ricorsi in sede amministrativa contro la circolare, anzi più probabilmente contro i provvedimenti regionali di recepimento. Oppure, più seccamente, esiste anche il rischio di un consistente abbandono a metà del ciclo di vaccinazione da parte di tante persone, con relativo rifiuto del mix. Per evitare questi scenari, esistono due strade ragionevoli che si potrebbero percorrere, due «ovetti di Colombo» per tutelare tutti: da un lato i governatori, che non devono essere parafulmini del ministero, e soprattutto, dall'altro, per garantire ai cittadini la possibilità di un consenso informato, senza salti nel buio. La prima proposta è la più semplice, ed è totalmente compatibile con l'attuale meccanismo di vaccinazione e il relativo assetto organizzativo: si tratterebbe solo di far firmare a chi voglia avere la seconda dose omogenea alla prima un ulteriore atto di consenso informato. Come dire: abbiamo già firmato dieci pagine, ne firmiamo una undicesima. Quindi, le regioni aderiscano pure al cocktail indicato da Speranza: ma predispongano un modulo, un'autocertificazione, che consenta a chi vuole rimanere sulla vecchia strada di poterlo fare. Naturalmente, proprio in omaggio al principio di precauzione, sarà bene che il cittadino attesti di non aver subito effetti collaterali dopo la prima dose di AstraZeneca, e che tutto sia chiarito con attenzione e scrupolo nel colloquio con il medico chiamato alla seconda somministrazione. Nei giorni scorsi, la stessa Federazione degli Ordini dei medici ha ribadito come le scelte finali debbano essere tarate sul singolo paziente, che ha per lo meno tutto il diritto di chiedere una seconda dose dello stesso tipo rispetto alla prima. Un dialogo positivo tra cittadino e medico, senza imposizioni ministeriali unilaterali, può essere dunque risolutivo. La seconda proposta è (solo apparentemente) più «rivoluzionaria», perché in realtà è in linea con quanto già accadde l'anno scorso con i tamponi, quando prima si potevano fare solo nelle strutture pubbliche ma poi, progressivamente, si aprì alla possibilità di effettuarli presso laboratori privati, dopo l'iniziale contrarietà di alcuni. Si tratterebbe in questo caso di liberalizzare la vaccinazione, aprendo sempre più nettamente anche alle strutture private, e con ciò necessariamente dando più spazio alla libera determinazione individuale, sempre nel rapporto tra cittadino e medico. La cosa potrebbe andare di pari passo con l'accelerazione del piano per consentire alle imprese (ovviamente su base volontaria, cioè se i dipendenti lo desiderano) di organizzare la vaccinazione dei lavoratori. A quel punto, è realistico che un'impresa anche di medie dimensioni si convenzioni con una struttura privata: tutto sarebbe più facile e flessibile, e anzi si aprirebbe un canale ulteriore di vaccinazione. Si tratterebbe perfino di un potenziamento e di un irrobustimento del piano vaccinale nazionale. C'è da augurarsi che almeno una delle due opzioni venga discussa e adottata nella riunione decisiva di oggi tra governo e regioni.