2022-06-04
Sboarina e Tosi spiegano il voto di Verona che divide il centrodestra
Federico Sboarina e Flavio Tosi (Ansa/Imagoeconomica)
Sboarina: «Il centrodestra diviso? No, è uno solo. E vuole me sindaco»

A Verona si sfidano due candidati sindaco di centrodestra. Federico Sboarina, di Fratelli d’Italia, è il primo cittadino in carica.
Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?
«Il centrodestra, a Verona, è uno solo: sostiene la mia rielezione e la conferma della squadra che mi onoro di rappresentare. C’è soltanto un giocatore, Forza Italia, che ha deciso di schierarsi nell’altra metà campo assieme a Matteo Renzi e a chi dal 2015 si candida esclusivamente per far perdere la coalizione, senza riuscirci peraltro. Comunque in caso la partita non dovesse chiudersi subito al primo turno con la nostra riconferma, i vertici del partito hanno già annunciato che al ballottaggio Forza Italia tornerà da questa parte».
La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?
«A livello locale c’è stata qualche incomprensione personale con alcuni esponenti di Forza Italia. Con altri invece il rapporto è ottimo. Il bene della città, comunque, viene prima di tutto e l’unico rivale politico è la sinistra che nel suo schieramento racchiude tutto e il contrario di tutto: da Letta alla Bonino, da Di Maio a Calenda, e non è un caso che da settimane si stiano sparando tra di loro bordate. Con noi ci sono Fratelli d’Italia, Lega, Coraggio Italia, Noi con l’Italia, l’Udc, consiglieri regionali della Lista Zaia e importanti civiche al cui interno ci sono anche molti ex forzisti. Mi pare chiaro con chi stia il centrodestra».
Tosi ha fatto un accordo con Italia viva: lo si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?
«Lo accennavo prima: nel 2015 Tosi spacca con la Lega, si candida alle regionali contro Luca Zaia contro il quale ne dice di tutti i colori, inganna il suo elettorato sostenendo di essere nei sondaggi a un’incollatura dal governatore e poi finisce quarto, dietro ai 5 stelle. Nel 2016 Tosi è il frontman di Renzi al referendum costituzionale e perde di nuovo. In cambio del suo appoggio aveva chiesto all’allora premier la possibilità di ricandidarsi per la terza volta di fila a Verona, cosa non consentita dalla legge: Renzi non lo accontenta, Tosi candida la fidanzata di Treviso e rimedia un’altra batosta».
Ritiene che in caso di ballottaggio, se Tosi ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?
«Sui voti di buona parte del suo elettorato sì, lo considero un passaggio naturale perché condividiamo le stesse idee: dal lavoro alla famiglia, dal sociale allo sviluppo della città. In caso di ballottaggio il popolo di centrodestra risponderà presente in modo compatto: non lascerà la città in mano a un ex calciatore che non ha la minima esperienza amministrativa. In un momento storico così, dopo la pandemia, col caro-vita, una guerra in Europa e tante famiglie in difficoltà sarebbe un suicidio».
Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Tosi?
«Perché io sono di centrodestra. E perché nonostante un mandato dimezzato dall’emergenza sanitaria abbiamo avviato opere attese da decenni e salvato asset fondamentali: penso a Fondazione Arena che Tosi aveva portato al fallimento, alla Fiera, all’aeroporto. Penso allo straordinario rapporto con Zaia che ci ha permesso di portare in Arena anche la cerimonia finale delle Olimpiadi 2026 e quella iniziale delle Paralimpiadi, con incredibili benefici per le infrastrutture e l’indotto. Questa amministrazione poi non ha avuto una sola indagine a suo carico: il vicesindaco di Tosi invece è stato condannato in via definitiva per corruzione, nella sua Verona ci sono state indagini per ’ndrangheta, i vertici delle aziende partecipate sono stati decapitati. Uno “sceriffo” un po’ distratto, questo Tosi…».
Se dovesse essere riconfermato sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?
«Dal giorno dopo la rielezione continuerò a lavorare, perché a Verona il futuro è già in costruzione, e oggi più che mai serve continuità. I milioni spesi per l’emergenza Covid e per consentire ai nostri bambini di tornare a scuola verranno subito destinati alla sistemazione di quei marciapiedi e di quelle strade che ne hanno bisogno. Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo scelto di dare priorità ai nostri figli e nipoti, alla sicurezza della nostra comunità».
Tosi: «La scelta della Lega è sbagliata. Renzi? Appoggia il migliore»

Flavio Tosi è stato sindaco di Verona dal 2007 al 2017 per tutto il centrodestra. Non potendo ricandidarsi lui, scese in campo la compagna (ora moglie) Patrizia Bisinella che giunse al ballottaggio con Sboarina, perdendolo nettamente.
Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?
«Fratelli d’Italia è il partito del sindaco, normale che lo sostenesse, al di là della debolezza della candidatura, visto che tutti i sondaggi in città lo danno ben al di sotto della somma nazionale dei partiti che lo appoggiano. La Lega, che da più di un anno esprimeva forti critiche all’operato di Sboarina, ha fatto una scelta sbagliata, non rispettosa della volontà della sua base e dei suoi elettori. Una scelta fondata solamente su uno scambio di poltrone, vedi la recente presidenza della Fiera e la promessa di avere cinque assessorati e il vicesindaco in caso di vittoria. Forza Italia invece, decidendo di appoggiarmi, ha fatto una scelta territoriale, rispettosa della volontà degli iscritti, degli elettori e dei dirigenti provinciali e regionali, che hanno puntato su di me dopo un confronto del mio programma con quello di Sboarina. Berlusconi e Tajani, che ringrazio, hanno sposato questa linea».
La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?
«Certamente ci sono delle differenze anche nazionali. Oggi Forza Italia rappresenta l’unica forza liberale e pragmatica, e dal 1994 è il soggetto più affidabile e credibile per coerenza e linearità, non a caso i sondaggi la danno in crescita. Mentre sia la Lega sia Fdi, pur in maniera diversa, sono partiti dichiaratamente populisti e sovranisti».
Lei ha fatto un accordo con Italia viva: la sua coalizione si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?
«Non abbiamo fatto accordi con Renzi. È Renzi che in queste amministrative, come ha chiarito lui stesso, ha scelto di guardare alle persone. In certi Comuni appoggia il candidato di Fratelli d’Italia, in altre il centrosinistra. A Verona ha scelto il sottoscritto, sostenendo - e lo ringrazio - che sono il miglior candidato sindaco in corsa nella mia città. Il criterio della competenza è il più importante quando si sceglie un sindaco, che deve governare una città in modo pratico, non perdersi nella filosofia o nell’ideologia. Questo è anche l’orientamento dell’elettorato, che sceglie il proprio sindaco in base a esperienza e capacità amministrativa».
Ritiene che in caso di ballottaggio, se Sboarina ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?
«Noi abbiamo auspicato e confermato l’unità del centrodestra, sposando in pieno la proposta di Forza Italia, che in una logica di doppio turno ritiene queste le primarie del centrodestra. Andrà al ballottaggio il miglior candidato. Sboarina, di fronte a questa proposta, è rimasto in silenzio. Un silenzio assordante. Forse al ballottaggio tenterà di dare i suoi voti alla sinistra?».
Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Sboarina?
«A differenza di Sboarina, ho dimostrato di essere capace di fare il sindaco. In dieci anni le mie amministrazioni hanno cambiato la città in termini e qualità di flussi turistici, di investimenti, infrastrutture, sicurezza, cura del territorio, verde pubblico, impianti sportivi. Sboarina invece ha fermato la città e non è stato nemmeno in grado di dare continuità a quanto era stato fatto da noi. È mancato perfino nell’abc del buon amministratore: sicurezza, decoro, pulizia, ordine, manutenzione strade. Anche sul turismo Verona ha fatto passi indietro, oggi è solo un mordi e fuggi. Per non parlare delle opere pubbliche: zero in cinque anni».
Se dovesse essere di nuovo sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?
«Terminare il cantiere su Ponte Nuovo, che divide in due la città, danneggia residenti, commercianti e lavoratori e allontana i turisti. Stipulare un accordo con il ministero dei Trasporti per un progetto filobus… senza fili, quindi moderni autobus elettrici. Sarebbe più semplice e meno impattante, non servirebbero corsie preferenziali e nemmeno banchine in mezzo alla strada, e resterebbero gli attuali posti auto. In cento giorni poi ripristinerei sicurezza, ordine, pulizia e manutenzioni».
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Federico Sboarina: «Nonostante un mandato dimezzato dal Covid ho salvato asset fondamentali come Fiera, aeroporto e Fondazione Arena».Flavio Tosi: «Io ho dimostrato di saper fare il sindaco: ho cambiato la città portando flussi turistici, investimenti e infrastrutture».Lo speciale comprende due articoli.<div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/sboarina-e-tosi-spiegano-il-voto-di-verona-che-divide-il-centrodestra-2657455348.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sboarina-il-centrodestra-diviso-no-e-uno-solo-e-vuole-me-sindaco" data-post-id="2657455348" data-published-at="1654284665" data-use-pagination="False"> Sboarina: «Il centrodestra diviso? No, è uno solo. E vuole me sindaco» A Verona si sfidano due candidati sindaco di centrodestra. Federico Sboarina, di Fratelli d’Italia, è il primo cittadino in carica.Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?«Il centrodestra, a Verona, è uno solo: sostiene la mia rielezione e la conferma della squadra che mi onoro di rappresentare. C’è soltanto un giocatore, Forza Italia, che ha deciso di schierarsi nell’altra metà campo assieme a Matteo Renzi e a chi dal 2015 si candida esclusivamente per far perdere la coalizione, senza riuscirci peraltro. Comunque in caso la partita non dovesse chiudersi subito al primo turno con la nostra riconferma, i vertici del partito hanno già annunciato che al ballottaggio Forza Italia tornerà da questa parte».La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?«A livello locale c’è stata qualche incomprensione personale con alcuni esponenti di Forza Italia. Con altri invece il rapporto è ottimo. Il bene della città, comunque, viene prima di tutto e l’unico rivale politico è la sinistra che nel suo schieramento racchiude tutto e il contrario di tutto: da Letta alla Bonino, da Di Maio a Calenda, e non è un caso che da settimane si stiano sparando tra di loro bordate. Con noi ci sono Fratelli d’Italia, Lega, Coraggio Italia, Noi con l’Italia, l’Udc, consiglieri regionali della Lista Zaia e importanti civiche al cui interno ci sono anche molti ex forzisti. Mi pare chiaro con chi stia il centrodestra».Tosi ha fatto un accordo con Italia viva: lo si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?«Lo accennavo prima: nel 2015 Tosi spacca con la Lega, si candida alle regionali contro Luca Zaia contro il quale ne dice di tutti i colori, inganna il suo elettorato sostenendo di essere nei sondaggi a un’incollatura dal governatore e poi finisce quarto, dietro ai 5 stelle. Nel 2016 Tosi è il frontman di Renzi al referendum costituzionale e perde di nuovo. In cambio del suo appoggio aveva chiesto all’allora premier la possibilità di ricandidarsi per la terza volta di fila a Verona, cosa non consentita dalla legge: Renzi non lo accontenta, Tosi candida la fidanzata di Treviso e rimedia un’altra batosta».Ritiene che in caso di ballottaggio, se Tosi ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?«Sui voti di buona parte del suo elettorato sì, lo considero un passaggio naturale perché condividiamo le stesse idee: dal lavoro alla famiglia, dal sociale allo sviluppo della città. In caso di ballottaggio il popolo di centrodestra risponderà presente in modo compatto: non lascerà la città in mano a un ex calciatore che non ha la minima esperienza amministrativa. In un momento storico così, dopo la pandemia, col caro-vita, una guerra in Europa e tante famiglie in difficoltà sarebbe un suicidio».Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Tosi?«Perché io sono di centrodestra. E perché nonostante un mandato dimezzato dall’emergenza sanitaria abbiamo avviato opere attese da decenni e salvato asset fondamentali: penso a Fondazione Arena che Tosi aveva portato al fallimento, alla Fiera, all’aeroporto. Penso allo straordinario rapporto con Zaia che ci ha permesso di portare in Arena anche la cerimonia finale delle Olimpiadi 2026 e quella iniziale delle Paralimpiadi, con incredibili benefici per le infrastrutture e l’indotto. Questa amministrazione poi non ha avuto una sola indagine a suo carico: il vicesindaco di Tosi invece è stato condannato in via definitiva per corruzione, nella sua Verona ci sono state indagini per ’ndrangheta, i vertici delle aziende partecipate sono stati decapitati. Uno “sceriffo” un po’ distratto, questo Tosi…».Se dovesse essere riconfermato sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?«Dal giorno dopo la rielezione continuerò a lavorare, perché a Verona il futuro è già in costruzione, e oggi più che mai serve continuità. I milioni spesi per l’emergenza Covid e per consentire ai nostri bambini di tornare a scuola verranno subito destinati alla sistemazione di quei marciapiedi e di quelle strade che ne hanno bisogno. Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo scelto di dare priorità ai nostri figli e nipoti, alla sicurezza della nostra comunità». <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/sboarina-e-tosi-spiegano-il-voto-di-verona-che-divide-il-centrodestra-2657455348.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="tosi-la-scelta-della-lega-e-sbagliata-renzi-appoggia-il-migliore" data-post-id="2657455348" data-published-at="1654284665" data-use-pagination="False"> Tosi: «La scelta della Lega è sbagliata. Renzi? Appoggia il migliore» Flavio Tosi è stato sindaco di Verona dal 2007 al 2017 per tutto il centrodestra. Non potendo ricandidarsi lui, scese in campo la compagna (ora moglie) Patrizia Bisinella che giunse al ballottaggio con Sboarina, perdendolo nettamente.Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?«Fratelli d’Italia è il partito del sindaco, normale che lo sostenesse, al di là della debolezza della candidatura, visto che tutti i sondaggi in città lo danno ben al di sotto della somma nazionale dei partiti che lo appoggiano. La Lega, che da più di un anno esprimeva forti critiche all’operato di Sboarina, ha fatto una scelta sbagliata, non rispettosa della volontà della sua base e dei suoi elettori. Una scelta fondata solamente su uno scambio di poltrone, vedi la recente presidenza della Fiera e la promessa di avere cinque assessorati e il vicesindaco in caso di vittoria. Forza Italia invece, decidendo di appoggiarmi, ha fatto una scelta territoriale, rispettosa della volontà degli iscritti, degli elettori e dei dirigenti provinciali e regionali, che hanno puntato su di me dopo un confronto del mio programma con quello di Sboarina. Berlusconi e Tajani, che ringrazio, hanno sposato questa linea».La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?«Certamente ci sono delle differenze anche nazionali. Oggi Forza Italia rappresenta l’unica forza liberale e pragmatica, e dal 1994 è il soggetto più affidabile e credibile per coerenza e linearità, non a caso i sondaggi la danno in crescita. Mentre sia la Lega sia Fdi, pur in maniera diversa, sono partiti dichiaratamente populisti e sovranisti».Lei ha fatto un accordo con Italia viva: la sua coalizione si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?«Non abbiamo fatto accordi con Renzi. È Renzi che in queste amministrative, come ha chiarito lui stesso, ha scelto di guardare alle persone. In certi Comuni appoggia il candidato di Fratelli d’Italia, in altre il centrosinistra. A Verona ha scelto il sottoscritto, sostenendo - e lo ringrazio - che sono il miglior candidato sindaco in corsa nella mia città. Il criterio della competenza è il più importante quando si sceglie un sindaco, che deve governare una città in modo pratico, non perdersi nella filosofia o nell’ideologia. Questo è anche l’orientamento dell’elettorato, che sceglie il proprio sindaco in base a esperienza e capacità amministrativa».Ritiene che in caso di ballottaggio, se Sboarina ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?«Noi abbiamo auspicato e confermato l’unità del centrodestra, sposando in pieno la proposta di Forza Italia, che in una logica di doppio turno ritiene queste le primarie del centrodestra. Andrà al ballottaggio il miglior candidato. Sboarina, di fronte a questa proposta, è rimasto in silenzio. Un silenzio assordante. Forse al ballottaggio tenterà di dare i suoi voti alla sinistra?».Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Sboarina?«A differenza di Sboarina, ho dimostrato di essere capace di fare il sindaco. In dieci anni le mie amministrazioni hanno cambiato la città in termini e qualità di flussi turistici, di investimenti, infrastrutture, sicurezza, cura del territorio, verde pubblico, impianti sportivi. Sboarina invece ha fermato la città e non è stato nemmeno in grado di dare continuità a quanto era stato fatto da noi. È mancato perfino nell’abc del buon amministratore: sicurezza, decoro, pulizia, ordine, manutenzione strade. Anche sul turismo Verona ha fatto passi indietro, oggi è solo un mordi e fuggi. Per non parlare delle opere pubbliche: zero in cinque anni».Se dovesse essere di nuovo sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?«Terminare il cantiere su Ponte Nuovo, che divide in due la città, danneggia residenti, commercianti e lavoratori e allontana i turisti. Stipulare un accordo con il ministero dei Trasporti per un progetto filobus… senza fili, quindi moderni autobus elettrici. Sarebbe più semplice e meno impattante, non servirebbero corsie preferenziali e nemmeno banchine in mezzo alla strada, e resterebbero gli attuali posti auto. In cento giorni poi ripristinerei sicurezza, ordine, pulizia e manutenzioni».
Da domani in Arabia Saudita al via la final four. A inaugurare il torneo saranno Milan e Napoli, in campo giovedì (ore 20 italiane) per la prima semifinale. Venerdì tocca a Inter e Bologna contendersi un posto nella finalissima di lunedì 22 dicembre.
Il primo trofeo della stagione si assegna ancora una volta lontano dall’Italia. Da domani la Supercoppa entra nel vivo a Riyadh con la formula della final four: giovedì la semifinale tra Milan e Napoli, venerdì quella tra Inter e Bologna, lunedì 22 dicembre la finale che chiuderà il programma e consegnerà il titolo.
Riyadh si prepara ad accogliere di nuovo la Supercoppa italiana,. Tre partite secche, quattro squadre e una posta che va oltre il campo: Napoli, Inter, Milan e Bologna portano in Arabia Saudita storie diverse, ambizioni opposte e un equilibrio che negli ultimi anni ha reso la competizione meno scontata di quanto dicano le statistiche.
Il Napoli arriva da campione d’Italia, il Bologna da vincitore della Coppa Italia, l’Inter da seconda forza del campionato e il Milan da detentore del trofeo. È soltanto la terza edizione con il formato a quattro, ma è già sufficiente per raccontare una Supercoppa che ha cambiato volto: nelle ultime due stagioni hanno vinto squadre che non partivano con lo scudetto cucito sul petto, un’inversione rispetto a una tradizione che per decenni aveva premiato quasi sempre i campioni d’Italia.
Proprio il Milan è il simbolo di questo ribaltamento. Campioni in carica, i rossoneri hanno spezzato una serie di finali perse all’estero e hanno riscritto la storia della manifestazione vincendo prima da finalista di Coppa Italia e poi da seconda classificata in campionato. In Arabia Saudita tornano con l’obiettivo di agganciare la Juventus in vetta all’albo d’oro, dove oggi i bianconeri comandano con nove successi, uno in più di Inter e Milan.
Il primo incrocio, giovedì 18 dicembre, è contro il Napoli. Gli azzurri inseguono invece un ritorno al passato: l’ultima Supercoppa vinta risale al 2014, una finale rimasta negli archivi per durata e tensione. Da allora, tentativi falliti e una presenza costante tra semifinali e finali mancate. Per la squadra di Antonio Conte, il confronto con il Milan è anche un passaggio chiave per evitare una prima volta storica: mai la squadra campione d’Italia in carica è rimasta fuori dall’atto conclusivo della competizione.
Dall’altra parte del tabellone, Inter e Bologna. I nerazzurri sono ormai una presenza abituale nella Supercoppa a quattro, protagonisti nelle ultime due edizioni e detentori di record individuali che raccontano la continuità del loro percorso. Il Bologna, invece, vivrà un esordio assoluto: sarà il tredicesimo club a partecipare alla manifestazione, chiamato subito a misurarsi con una dimensione internazionale che rappresenta una novità anche simbolica per il club. Negli ultimi anni la Supercoppa si è decisa spesso senza supplementari e rigori, ma resta una competizione capace di ribaltare copioni già scritti. Lo dimostrano le rimonte, i gol decisivi negli ultimi minuti e una storia che, pur ricca di record individuali e panchine vincenti, continua a sorprendere.
Fuori dal campo, la tappa di Riyadh diventa anche una vetrina per il calcio italiano. La Lega Serie A ha annunciato iniziative dedicate all’inclusione di tifosi con disabilità sensoriali, che accompagneranno tutte le partite del torneo. Da un lato, l’utilizzo di una mappa tattile interattiva permetterà a tifosi ciechi e ipovedenti di seguire l’andamento della gara attraverso il tatto; dall’altro, magliette sensoriali trasformeranno i suoni dello stadio in vibrazioni per tifosi sordi. Un progetto che coinvolgerà complessivamente trenta spettatori per ciascuna iniziativa, inserendosi nel programma ufficiale della competizione.
A rappresentare visivamente la Supercoppa sarà invece il nuovo Trophy travel case, realizzato dal brand fiorentino Stefano Ricci. Un baule pensato per accompagnare il trofeo nelle tappe internazionali, simbolo di un’italianità che la Serie A continua a esportare all’estero, soprattutto in Medio Oriente, dove la Supercoppa si gioca per il quarto anno consecutivo.
Il calcio d’inizio è fissato. A Riyadh non si gioca soltanto una coppa, ma un racconto che intreccia campo, storia recente e immagine del calcio italiano nel mondo. E, come spesso accade in Supercoppa, i numeri potrebbero non bastare per spiegare come andrà a finire.
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(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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