2022-06-04
Sboarina e Tosi spiegano il voto di Verona che divide il centrodestra
Federico Sboarina e Flavio Tosi (Ansa/Imagoeconomica)
Sboarina: «Il centrodestra diviso? No, è uno solo. E vuole me sindaco»

A Verona si sfidano due candidati sindaco di centrodestra. Federico Sboarina, di Fratelli d’Italia, è il primo cittadino in carica.
Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?
«Il centrodestra, a Verona, è uno solo: sostiene la mia rielezione e la conferma della squadra che mi onoro di rappresentare. C’è soltanto un giocatore, Forza Italia, che ha deciso di schierarsi nell’altra metà campo assieme a Matteo Renzi e a chi dal 2015 si candida esclusivamente per far perdere la coalizione, senza riuscirci peraltro. Comunque in caso la partita non dovesse chiudersi subito al primo turno con la nostra riconferma, i vertici del partito hanno già annunciato che al ballottaggio Forza Italia tornerà da questa parte».
La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?
«A livello locale c’è stata qualche incomprensione personale con alcuni esponenti di Forza Italia. Con altri invece il rapporto è ottimo. Il bene della città, comunque, viene prima di tutto e l’unico rivale politico è la sinistra che nel suo schieramento racchiude tutto e il contrario di tutto: da Letta alla Bonino, da Di Maio a Calenda, e non è un caso che da settimane si stiano sparando tra di loro bordate. Con noi ci sono Fratelli d’Italia, Lega, Coraggio Italia, Noi con l’Italia, l’Udc, consiglieri regionali della Lista Zaia e importanti civiche al cui interno ci sono anche molti ex forzisti. Mi pare chiaro con chi stia il centrodestra».
Tosi ha fatto un accordo con Italia viva: lo si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?
«Lo accennavo prima: nel 2015 Tosi spacca con la Lega, si candida alle regionali contro Luca Zaia contro il quale ne dice di tutti i colori, inganna il suo elettorato sostenendo di essere nei sondaggi a un’incollatura dal governatore e poi finisce quarto, dietro ai 5 stelle. Nel 2016 Tosi è il frontman di Renzi al referendum costituzionale e perde di nuovo. In cambio del suo appoggio aveva chiesto all’allora premier la possibilità di ricandidarsi per la terza volta di fila a Verona, cosa non consentita dalla legge: Renzi non lo accontenta, Tosi candida la fidanzata di Treviso e rimedia un’altra batosta».
Ritiene che in caso di ballottaggio, se Tosi ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?
«Sui voti di buona parte del suo elettorato sì, lo considero un passaggio naturale perché condividiamo le stesse idee: dal lavoro alla famiglia, dal sociale allo sviluppo della città. In caso di ballottaggio il popolo di centrodestra risponderà presente in modo compatto: non lascerà la città in mano a un ex calciatore che non ha la minima esperienza amministrativa. In un momento storico così, dopo la pandemia, col caro-vita, una guerra in Europa e tante famiglie in difficoltà sarebbe un suicidio».
Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Tosi?
«Perché io sono di centrodestra. E perché nonostante un mandato dimezzato dall’emergenza sanitaria abbiamo avviato opere attese da decenni e salvato asset fondamentali: penso a Fondazione Arena che Tosi aveva portato al fallimento, alla Fiera, all’aeroporto. Penso allo straordinario rapporto con Zaia che ci ha permesso di portare in Arena anche la cerimonia finale delle Olimpiadi 2026 e quella iniziale delle Paralimpiadi, con incredibili benefici per le infrastrutture e l’indotto. Questa amministrazione poi non ha avuto una sola indagine a suo carico: il vicesindaco di Tosi invece è stato condannato in via definitiva per corruzione, nella sua Verona ci sono state indagini per ’ndrangheta, i vertici delle aziende partecipate sono stati decapitati. Uno “sceriffo” un po’ distratto, questo Tosi…».
Se dovesse essere riconfermato sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?
«Dal giorno dopo la rielezione continuerò a lavorare, perché a Verona il futuro è già in costruzione, e oggi più che mai serve continuità. I milioni spesi per l’emergenza Covid e per consentire ai nostri bambini di tornare a scuola verranno subito destinati alla sistemazione di quei marciapiedi e di quelle strade che ne hanno bisogno. Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo scelto di dare priorità ai nostri figli e nipoti, alla sicurezza della nostra comunità».
Tosi: «La scelta della Lega è sbagliata. Renzi? Appoggia il migliore»

Flavio Tosi è stato sindaco di Verona dal 2007 al 2017 per tutto il centrodestra. Non potendo ricandidarsi lui, scese in campo la compagna (ora moglie) Patrizia Bisinella che giunse al ballottaggio con Sboarina, perdendolo nettamente.
Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?
«Fratelli d’Italia è il partito del sindaco, normale che lo sostenesse, al di là della debolezza della candidatura, visto che tutti i sondaggi in città lo danno ben al di sotto della somma nazionale dei partiti che lo appoggiano. La Lega, che da più di un anno esprimeva forti critiche all’operato di Sboarina, ha fatto una scelta sbagliata, non rispettosa della volontà della sua base e dei suoi elettori. Una scelta fondata solamente su uno scambio di poltrone, vedi la recente presidenza della Fiera e la promessa di avere cinque assessorati e il vicesindaco in caso di vittoria. Forza Italia invece, decidendo di appoggiarmi, ha fatto una scelta territoriale, rispettosa della volontà degli iscritti, degli elettori e dei dirigenti provinciali e regionali, che hanno puntato su di me dopo un confronto del mio programma con quello di Sboarina. Berlusconi e Tajani, che ringrazio, hanno sposato questa linea».
La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?
«Certamente ci sono delle differenze anche nazionali. Oggi Forza Italia rappresenta l’unica forza liberale e pragmatica, e dal 1994 è il soggetto più affidabile e credibile per coerenza e linearità, non a caso i sondaggi la danno in crescita. Mentre sia la Lega sia Fdi, pur in maniera diversa, sono partiti dichiaratamente populisti e sovranisti».
Lei ha fatto un accordo con Italia viva: la sua coalizione si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?
«Non abbiamo fatto accordi con Renzi. È Renzi che in queste amministrative, come ha chiarito lui stesso, ha scelto di guardare alle persone. In certi Comuni appoggia il candidato di Fratelli d’Italia, in altre il centrosinistra. A Verona ha scelto il sottoscritto, sostenendo - e lo ringrazio - che sono il miglior candidato sindaco in corsa nella mia città. Il criterio della competenza è il più importante quando si sceglie un sindaco, che deve governare una città in modo pratico, non perdersi nella filosofia o nell’ideologia. Questo è anche l’orientamento dell’elettorato, che sceglie il proprio sindaco in base a esperienza e capacità amministrativa».
Ritiene che in caso di ballottaggio, se Sboarina ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?
«Noi abbiamo auspicato e confermato l’unità del centrodestra, sposando in pieno la proposta di Forza Italia, che in una logica di doppio turno ritiene queste le primarie del centrodestra. Andrà al ballottaggio il miglior candidato. Sboarina, di fronte a questa proposta, è rimasto in silenzio. Un silenzio assordante. Forse al ballottaggio tenterà di dare i suoi voti alla sinistra?».
Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Sboarina?
«A differenza di Sboarina, ho dimostrato di essere capace di fare il sindaco. In dieci anni le mie amministrazioni hanno cambiato la città in termini e qualità di flussi turistici, di investimenti, infrastrutture, sicurezza, cura del territorio, verde pubblico, impianti sportivi. Sboarina invece ha fermato la città e non è stato nemmeno in grado di dare continuità a quanto era stato fatto da noi. È mancato perfino nell’abc del buon amministratore: sicurezza, decoro, pulizia, ordine, manutenzione strade. Anche sul turismo Verona ha fatto passi indietro, oggi è solo un mordi e fuggi. Per non parlare delle opere pubbliche: zero in cinque anni».
Se dovesse essere di nuovo sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?
«Terminare il cantiere su Ponte Nuovo, che divide in due la città, danneggia residenti, commercianti e lavoratori e allontana i turisti. Stipulare un accordo con il ministero dei Trasporti per un progetto filobus… senza fili, quindi moderni autobus elettrici. Sarebbe più semplice e meno impattante, non servirebbero corsie preferenziali e nemmeno banchine in mezzo alla strada, e resterebbero gli attuali posti auto. In cento giorni poi ripristinerei sicurezza, ordine, pulizia e manutenzioni».
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Federico Sboarina: «Nonostante un mandato dimezzato dal Covid ho salvato asset fondamentali come Fiera, aeroporto e Fondazione Arena».Flavio Tosi: «Io ho dimostrato di saper fare il sindaco: ho cambiato la città portando flussi turistici, investimenti e infrastrutture».Lo speciale comprende due articoli.<div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/sboarina-e-tosi-spiegano-il-voto-di-verona-che-divide-il-centrodestra-2657455348.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sboarina-il-centrodestra-diviso-no-e-uno-solo-e-vuole-me-sindaco" data-post-id="2657455348" data-published-at="1654284665" data-use-pagination="False"> Sboarina: «Il centrodestra diviso? No, è uno solo. E vuole me sindaco» A Verona si sfidano due candidati sindaco di centrodestra. Federico Sboarina, di Fratelli d’Italia, è il primo cittadino in carica.Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?«Il centrodestra, a Verona, è uno solo: sostiene la mia rielezione e la conferma della squadra che mi onoro di rappresentare. C’è soltanto un giocatore, Forza Italia, che ha deciso di schierarsi nell’altra metà campo assieme a Matteo Renzi e a chi dal 2015 si candida esclusivamente per far perdere la coalizione, senza riuscirci peraltro. Comunque in caso la partita non dovesse chiudersi subito al primo turno con la nostra riconferma, i vertici del partito hanno già annunciato che al ballottaggio Forza Italia tornerà da questa parte».La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?«A livello locale c’è stata qualche incomprensione personale con alcuni esponenti di Forza Italia. Con altri invece il rapporto è ottimo. Il bene della città, comunque, viene prima di tutto e l’unico rivale politico è la sinistra che nel suo schieramento racchiude tutto e il contrario di tutto: da Letta alla Bonino, da Di Maio a Calenda, e non è un caso che da settimane si stiano sparando tra di loro bordate. Con noi ci sono Fratelli d’Italia, Lega, Coraggio Italia, Noi con l’Italia, l’Udc, consiglieri regionali della Lista Zaia e importanti civiche al cui interno ci sono anche molti ex forzisti. Mi pare chiaro con chi stia il centrodestra».Tosi ha fatto un accordo con Italia viva: lo si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?«Lo accennavo prima: nel 2015 Tosi spacca con la Lega, si candida alle regionali contro Luca Zaia contro il quale ne dice di tutti i colori, inganna il suo elettorato sostenendo di essere nei sondaggi a un’incollatura dal governatore e poi finisce quarto, dietro ai 5 stelle. Nel 2016 Tosi è il frontman di Renzi al referendum costituzionale e perde di nuovo. In cambio del suo appoggio aveva chiesto all’allora premier la possibilità di ricandidarsi per la terza volta di fila a Verona, cosa non consentita dalla legge: Renzi non lo accontenta, Tosi candida la fidanzata di Treviso e rimedia un’altra batosta».Ritiene che in caso di ballottaggio, se Tosi ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?«Sui voti di buona parte del suo elettorato sì, lo considero un passaggio naturale perché condividiamo le stesse idee: dal lavoro alla famiglia, dal sociale allo sviluppo della città. In caso di ballottaggio il popolo di centrodestra risponderà presente in modo compatto: non lascerà la città in mano a un ex calciatore che non ha la minima esperienza amministrativa. In un momento storico così, dopo la pandemia, col caro-vita, una guerra in Europa e tante famiglie in difficoltà sarebbe un suicidio».Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Tosi?«Perché io sono di centrodestra. E perché nonostante un mandato dimezzato dall’emergenza sanitaria abbiamo avviato opere attese da decenni e salvato asset fondamentali: penso a Fondazione Arena che Tosi aveva portato al fallimento, alla Fiera, all’aeroporto. Penso allo straordinario rapporto con Zaia che ci ha permesso di portare in Arena anche la cerimonia finale delle Olimpiadi 2026 e quella iniziale delle Paralimpiadi, con incredibili benefici per le infrastrutture e l’indotto. Questa amministrazione poi non ha avuto una sola indagine a suo carico: il vicesindaco di Tosi invece è stato condannato in via definitiva per corruzione, nella sua Verona ci sono state indagini per ’ndrangheta, i vertici delle aziende partecipate sono stati decapitati. Uno “sceriffo” un po’ distratto, questo Tosi…».Se dovesse essere riconfermato sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?«Dal giorno dopo la rielezione continuerò a lavorare, perché a Verona il futuro è già in costruzione, e oggi più che mai serve continuità. I milioni spesi per l’emergenza Covid e per consentire ai nostri bambini di tornare a scuola verranno subito destinati alla sistemazione di quei marciapiedi e di quelle strade che ne hanno bisogno. Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo scelto di dare priorità ai nostri figli e nipoti, alla sicurezza della nostra comunità». <div class="rebellt-item col2" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/sboarina-e-tosi-spiegano-il-voto-di-verona-che-divide-il-centrodestra-2657455348.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="tosi-la-scelta-della-lega-e-sbagliata-renzi-appoggia-il-migliore" data-post-id="2657455348" data-published-at="1654284665" data-use-pagination="False"> Tosi: «La scelta della Lega è sbagliata. Renzi? Appoggia il migliore» Flavio Tosi è stato sindaco di Verona dal 2007 al 2017 per tutto il centrodestra. Non potendo ricandidarsi lui, scese in campo la compagna (ora moglie) Patrizia Bisinella che giunse al ballottaggio con Sboarina, perdendolo nettamente.Quali ragioni hanno indotto i partiti di centrodestra a presentarsi divisi a Verona?«Fratelli d’Italia è il partito del sindaco, normale che lo sostenesse, al di là della debolezza della candidatura, visto che tutti i sondaggi in città lo danno ben al di sotto della somma nazionale dei partiti che lo appoggiano. La Lega, che da più di un anno esprimeva forti critiche all’operato di Sboarina, ha fatto una scelta sbagliata, non rispettosa della volontà della sua base e dei suoi elettori. Una scelta fondata solamente su uno scambio di poltrone, vedi la recente presidenza della Fiera e la promessa di avere cinque assessorati e il vicesindaco in caso di vittoria. Forza Italia invece, decidendo di appoggiarmi, ha fatto una scelta territoriale, rispettosa della volontà degli iscritti, degli elettori e dei dirigenti provinciali e regionali, che hanno puntato su di me dopo un confronto del mio programma con quello di Sboarina. Berlusconi e Tajani, che ringrazio, hanno sposato questa linea».La divisione nel centrodestra riflette diversità di posizioni locali o anche nazionali?«Certamente ci sono delle differenze anche nazionali. Oggi Forza Italia rappresenta l’unica forza liberale e pragmatica, e dal 1994 è il soggetto più affidabile e credibile per coerenza e linearità, non a caso i sondaggi la danno in crescita. Mentre sia la Lega sia Fdi, pur in maniera diversa, sono partiti dichiaratamente populisti e sovranisti».Lei ha fatto un accordo con Italia viva: la sua coalizione si può considerare ancora di centrodestra oppure si va verso una nuova formazione?«Non abbiamo fatto accordi con Renzi. È Renzi che in queste amministrative, come ha chiarito lui stesso, ha scelto di guardare alle persone. In certi Comuni appoggia il candidato di Fratelli d’Italia, in altre il centrosinistra. A Verona ha scelto il sottoscritto, sostenendo - e lo ringrazio - che sono il miglior candidato sindaco in corsa nella mia città. Il criterio della competenza è il più importante quando si sceglie un sindaco, che deve governare una città in modo pratico, non perdersi nella filosofia o nell’ideologia. Questo è anche l’orientamento dell’elettorato, che sceglie il proprio sindaco in base a esperienza e capacità amministrativa».Ritiene che in caso di ballottaggio, se Sboarina ne restasse escluso, lei potrebbe contare sui suoi voti?«Noi abbiamo auspicato e confermato l’unità del centrodestra, sposando in pieno la proposta di Forza Italia, che in una logica di doppio turno ritiene queste le primarie del centrodestra. Andrà al ballottaggio il miglior candidato. Sboarina, di fronte a questa proposta, è rimasto in silenzio. Un silenzio assordante. Forse al ballottaggio tenterà di dare i suoi voti alla sinistra?».Perché un elettore di centrodestra dovrebbe votare lei anziché Sboarina?«A differenza di Sboarina, ho dimostrato di essere capace di fare il sindaco. In dieci anni le mie amministrazioni hanno cambiato la città in termini e qualità di flussi turistici, di investimenti, infrastrutture, sicurezza, cura del territorio, verde pubblico, impianti sportivi. Sboarina invece ha fermato la città e non è stato nemmeno in grado di dare continuità a quanto era stato fatto da noi. È mancato perfino nell’abc del buon amministratore: sicurezza, decoro, pulizia, ordine, manutenzione strade. Anche sul turismo Verona ha fatto passi indietro, oggi è solo un mordi e fuggi. Per non parlare delle opere pubbliche: zero in cinque anni».Se dovesse essere di nuovo sindaco, quali sono le tre cose che farà nei primi 100 giorni di amministrazione?«Terminare il cantiere su Ponte Nuovo, che divide in due la città, danneggia residenti, commercianti e lavoratori e allontana i turisti. Stipulare un accordo con il ministero dei Trasporti per un progetto filobus… senza fili, quindi moderni autobus elettrici. Sarebbe più semplice e meno impattante, non servirebbero corsie preferenziali e nemmeno banchine in mezzo alla strada, e resterebbero gli attuali posti auto. In cento giorni poi ripristinerei sicurezza, ordine, pulizia e manutenzioni».
Il Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio ha dato il via libera al decreto che contiene la proroga degli aiuti a Kiev. Nell’ultima riunione del 2025, durata un’ora scarsa, è stato approvato a razzo il testo sulle «disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, per il rinnovo dei permessi di soggiorno in possesso di cittadini ucraini, nonché per la sicurezza dei giornalisti freelance». Una formula meno brutale della dizione giornalistica «decreto armi» e che include anche gli aiuti destinati alla popolazione civile.
Al pacchetto armi si aggiungono quindi gli aiuti umanitari, divisi tra logistica, sanità e ricostruzione della rete elettrica martoriata dalle bombe russe. Non solo, viene data «priorità ai mezzi logistici, sanitari, a uso civile e di protezione dagli attacchi». Il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha spiegato che l’esecutivo di centrodestra continuerà a sostenere l’Ucraina «militarmente, economicamente, finanziariamente e politicamente». Quattro parole impegnative e che coprono uno spettro non completamente condiviso dalla politica italiana, a destra come a sinistra. Il Pd, per dire, formalmente è molto vicino a Volodymyr Zelensky e a Ursula Von der Leyen, ma al pari di Lega e Forza Italia non avrebbe mai fatto cadere il governo per un decreto fotocopia sull’Ucraina. Nell’ultimo mese di discussioni, la Lega ha voluto che nel testo si desse più importanza agli aiuti alla popolazione e alla funzione difensiva delle armi fornite o finanziate dall’Italia. Evidente lo scopo del Carroccio: un conto è aiutare il popolo ucraino a difendersi, e un conto è aiutare Zelensky e il suo governo corrotto ad attaccare la Russia.
Nel 2022, l’esecutivo di Giuseppe Conte usò espressamente il termine «mezzi militari», nel primo decreto per l’Ucraina. E lo stesso ha fatto Mario Draghi. Nell’edizione 2024 del decreto, invece, l’aggettivo «militare» era già sparito dal titolo, per rimanere solo nel testo. Quest’anno, sempre nel titolo, viene cambiata la destinazione degli aiuti, che mandiamo non più solamente alle «autorità governative» di Kiev, ma anche alla «popolazione» dell’Ucraina.
Nel decreto si sottolinea poi in più passaggi che è parte qualificante delle donazioni italiane «il supporto delle attività di assistenza alla popolazione». E si afferma che, tra i materiali da spedire, bisogna dare la priorità a quelli «logistici, sanitari, a uso civile e di protezione dagli attacchi».
Tra le novità del provvedimento per il 2026 ci sono il rinnovo dei permessi di soggiorno per alcuni cittadini ucraini e la copertura assicurativa per i giornalisti freelance, inviati dall’Italia nei territori di guerra. Quest’ultima misura va in qualche modo spiegata: da molti anni i grandi giornali e i maggiori editori italiani non mandano, se non in caso eccezionale, giornalisti dipendenti sui fronti caldi perché le polizze assicurative, richieste dal contratto collettivo dei giornalisti, hanno raggiunto prezzi assai elevati. Il risultato è che il mestiere di inviato di guerra è ormai appannaggio dei freelance, più deboli di fronte ad ambasciate e governi stranieri, ma soprattutto esposti a rischi enormi. Con questo decreto sulle polizze di guerra, il governo Meloni copre quindi un buco grave nel sistema dell’informazione, del quale la stragrande maggioranza dei lettori nulla sapevano.
Il Carroccio di Matteo Salvini (ieri assente) aveva anche chiesto che l’autorizzazione agli aiuti durasse solo tre mesi, ma alla fine è rimasto di 12. La fiducia in una pace vicina, evidentemente, è ben poca.
Il senatore della Lega Claudio Borghi è comunque contento del risultato finale e su X ha scritto: «Basta decreto “armi e basta” come gli altri tre. Diversi compromessi possibili, come ad esempio vincolare il tutto alla prevalenza di equipaggiamento a difesa della popolazione civile. Dubito che se mandiamo un ospedale da campo ci sia qualcosa da ridire». Nell’ondata bellicista fomentata dalla seconda Commissione Von der Leyen, purtroppo, nulla è scontato.
Ma che armi partiranno per l’Ucraina? Il capo di Stato maggiore della Difesa, Luciano Portolano, ha detto al Sole 24 Ore che «ci faremo trovare pronti nella fase post guerra», rimarcando che «i conflitti attuali hanno confini sfumati e il tema della sicurezza coinvolge direttamente i cittadini». Poi, ha ammesso che dall’inizio della guerra «l’Italia ha fornito all’Ucraina armi e mezzi per oltre 3 miliardi» di euro.
Anche l’anno prossimo, la quantità effettiva di armi che partiranno per Kiev sarà poi decisa con altri decreti, i cui contenuti non sono pubblici, ma appannaggio soltanto del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti.
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È il motivo per cui l’amministrazione Trump ha invitato le compagnie a spendere per la produzione, anziché per il giochetto finanziario del buyback, l’operazione con cui un’azienda riacquista azioni proprie, già in circolazione sul mercato, allo scopo di sostenerne il prezzo e restituire valore ai soci.
Di certo, nel boom europeo, hanno giocato e giocheranno un ruolo importante i piani di riarmo caldeggiati da Ursula von der Leyen, anche se la crescita più imponente delle remunerazioni, quest’anno, riguarda Bae systems, il colosso inglese dell’aerospazio, che con Italia e Giappone realizzerà il caccia multiruolo stealth di sesta generazione.
Il fattore trainante, comunque, è stato da subito il conflitto nel Donbass: dal 2022, la percentuale di investimenti delle società europee, misurata in rapporto al fatturato, è passata dal 6,4 al 7,9. Eppure, il crescente volume di spesa pubblica destinata alla difesa potrebbe rappresentare una controindicazione, per chi sguazza nell’affare d’oro e vorrebbe continuare a nuotarci più a lungo possibile: gli esperti sentiti dal Financial Times hanno notato che, se le somme sborsate dagli Stati salgono, «dati gli impegni di spesa annunciati dai governi, essi potrebbero diventare più coinvolti» nelle politiche industriali dei big del settore. La mano pubblica è croce e delizia: imprime una spinta decisiva al business; ma pretenderà di mantenere voce in capitolo sulla sua direzione.
Le proiezioni del giornale economico londinese confermano quali sono gli obiettivi del programma di riconversione produttiva perseguito dall’Ue. Era urgente, infatti, porre rimedio al rischio di desertificazione industriale, provocato dal Green deal. In sostanza, Ursula 2 mette una pezza su Ursula 1. Le convergenze all’Europarlamento tra sovranisti e popolari stanno, in parte, stemperando gli aspetti più estremi della transizione ecologica. Il danno, però, era fatto. Ora, le imprese messe in crisi dai diktat verdi potranno recuperare i benefici perduti buttandosi sugli armamenti. Si potrebbe sorvolare, se il processo garantisse un incremento dei redditi e se non comportasse rischi esistenziali. Tuttavia, non è detto che i posti di lavoro che andranno perduti, ad esempio, nell’automotive - il caso più eclatante riguarda le chiusure di impianti decise da Volkswagen - saranno riassorbiti dal comparto bellico, dove è più alta l’automazione e dove sono più specifiche le competenze richieste. Il risultato finale potrebbe essere questo: buon livello dei salari, sì, però per meno occupati; più profitti per i grossi gruppi; più dividendi per gli azionisti.
Per preparare il terreno, ovviamente, era fondamentale alimentare la retorica marziale che, ormai, infiamma tutti i discorsi degli eurocrati, dalla Von der Leyen stessa, a Kaja Kallas, ai diversi leader dei Paesi membri dell’Unione. Ed è qui che entra in ballo la variabile del pericolo mortale: a furia di scherzare con il fuoco, ci si può bruciare. Quella della guerra con la Russia potrebbe diventare una profezia che si autoavvera. È il famoso dilemma della sicurezza: l’effetto paradossale del riarmo non è di proteggere chi si trincera, bensì di rendere il mondo complessivamente meno sicuro, poiché aumenta la chance di incomprensioni e incidenti tra potenze rivali.
Nel discorso di commiato dalla nazione, il 17 gennaio 1961, il presidente Usa, Dwight Eisenhower, mise in guardia i cittadini dalle insidie del «complesso militare-industriale», che sarebbe stato in grado di esercitare una «influenza totale nell’economia, nella politica, anche nella spiritualità», minacciando «la struttura portante» della società. Oggi, quello scenario si va ricostituendo sotto i nostri occhi. Con tanto di marginalizzazione del dissenso, come denunciato dal Papa: chi non infila l’elmetto viene ridicolizzato, o accusato di intelligenza col nemico. Non mancano nemmeno i dotti editoriali, nei quali si glorifica la guerra quale motore della Storia. Sessantacinque anni fa, «Ike» individuava l’antidoto alla degenerazione in un popolo «all’erta e consapevole». Non ci si può aspettare che vigili chi incassa grazie allo spauracchio di Putin. È a noialtri, che tocca restare svegli.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 30 dicembre con Carlo Cambi