2023-06-03
Il Savio s’è mangiato tutto il sale del Papa
Il fiume è straripato arrivando a invadere gli 827 ettari del Parco della salina di Cervia, un ecosistema delicato che esiste da epoca romana. Il raccolto di quest’anno verrà a mancare quasi completamente. Ma fenicotteri e avocette sono già tornati: buon segno.Si è sciolto il sale del Papa. La salina di Cervia, un tempo di proprietà dello Stato della Chiesa che la considerava talmente preziosa da farla sorvegliare dalle guardie papaline con fucili e baionette in canna per impedire ai ladri di sottrarre l’oro bianco di proprietà pontificia, è scomparsa sotto le acque melmose del fiume Savio. Martedì 16 maggio, disobbedendo a chi lo aveva incanalato e al suo stesso nome (Savio deriva dal latino sapis, saggio), il fiume è straripato inondando prima Cesena e poi il territorio verso il mare fino ad arrivare a invadere gli 827 ettari del Parco della salina di Cervia, un ecosistema delicato dove i salinari convivono da secoli con avocette, cavalieri d’Italia, gabbiani reali, rondini di mare, fenicotteri rosa (presenti, questi, da una ventina di anni) e altre specie di uccelli che popolano la riserva insieme a vari generi animali e vegetali.L’acqua dolce del fiume oltre a ricoprire i bacini di evaporazione cancellando il lavoro di anni e impedendo la produzione di nuovo sale per chissà quanto tempo, ha sciolto i cumuli di sale integrale marino ammonticchiati da mesi all’aperto e nei magazzini in attesa di essere raffinati e venduti. Si è levato drammatico, subito dopo l’inondazione, l’appello di Giuseppe Pomicetti, presidente della salina. Commentando le dolorose immagini dell’inondazione alla televisione, sui giornali e sui social, Pomicetti ha detto angosciato: «La salina non c’è più. È affogata nelle turbinose acque del fiume Savio. Non abbandonateci».Con il Savio tornato… savio, Pomicetti che della salina è anche amministratore delegato dal 2009, qualche giorno dopo ha ripreso speranza studiando, come gli antichi àuguri, il volo degli uccelli: «Sono tornati i fenicotteri e le avocette. È un buon segno. Sale non ne abbiamo più. Nemmeno da offrire al pontefice nel tradizionale incontro con i salinari in novembre. L’omaggio del sale al papa è un rito antico, ma quest’anno, molto probabilmente, dovremo rinunciarvi. Se arriveranno i fondi e saremo fortunati, potremmo riportare l’acqua del mare nei bacini e sistemare i macchinari per riprendere il lavoro nell’agosto dell’anno prossimo. La nostra missione non riguarda solo il sale, che è presidio Slow food ed è unico in tutto il mondo per le sue qualità, ma tutto l’ecosistema del Parco. Per questo con il Parco del delta del Po e le Terme di Cervia, il Parco della salina di Cervia ha fondato l’associazione Assieme per la salina. È un appello agli amici di questo meraviglioso mondo affinché ci aiutino con una donazione tramite l’Iban IT27S0627023615CC0150308403».La salina esisteva nel territorio cervese già in epoca romana anche se i primi documenti storici che ne parlano risalgono a poco prima del 1000 dopo Cristo. A spostarla di mille anni più indietro sono alcuni reperti archeologici rinvenuti qualche anno fa durante gli scavi per lavori stradali che hanno anche stabilito che il mare occupava buona parte dell’attuale entroterra. Sulla datazione romana sono d’accordo alcuni glottologi che ritengono che lo stesso nome della città sia legato al sale: Cervia, dicono, potrebbe derivare dalla parola latina acervus, cioè mucchio, cumulo. Ogni riferimento alle montagne di sale che ancora oggi si vedono (si vedevano prima dell’inondazione) nella salina non è casuale.Il sale al tempo dei Romani era talmente importante che Plinio il Vecchio lo paragonò al sole: «Niente è più utile del sole e del sale». E un altro grande del VI secolo dopo Cristo, Cassiodoro, letterato e consigliere del re Teodorico che da queste parti, a Ravenna, aveva la capitale, sentenziò: «Si possono trovare uomini che possono fare a meno dell’oro, ma non del sale». Soprattutto non ne potevano fare a meno, a quei tempi, gli operai le cui ore lavorative venivano pagate col sale. Da qui i sostantivi salario e salariato che si usano ancora oggi. Prende il nome dal sale anche la via Salaria, una delle più antiche arterie romane, che collegava l’Urbe con l’Adriatico. La via consolare finiva dopo Ascoli Piceno, in un villaggio nei pressi della foce del Tronto. Lo scopo per cui fu costruita - e in seguito addirittura raddoppiata nel tratto iniziale dall’imperatore Nerva che fece costruire una variante (come l’autostrada del Sole con la variante di valico: non c’è niente di nuovo sotto il sole) -, era quello di far arrivare a Roma il sale dell’Adriatico, mare molto meno profondo e molto più salato del Tirreno Per il sale si sono fatte sanguinose guerre nei tempi antichi, guerre che sono continuate fino a quando il cloruro di sodio non ha cominciato a circolare in abbondanza grazie alle saline costruite vicino al mare e alle miniere di salgemma formate da antichissimi laghi d’acqua salata presenti nella pancia del pianeta. Se Venezia costruì gran parte della sua potenza sui mari fu grazie al sale. Anche la Repubblica di San Marco aveva la sua via Salaria. Partiva dalla laguna e arrivava a Cervia passando dalle saline di Chioggia. La Serenissima seppe trasformare tanto ben di Dio in ricchezza, palazzi, opere d’arte e flotte.Nei tempi antichi il sale era il simbolo dell’energia vitale, di forza morale e spirituale. Omero lo definì «divino», Platone «sostanza cara agli dei». Veniva offerto in segno di amicizia, di ospitalità. Ai tempi di Ulisse, il viandante che si presentava all’uscio di casa, veniva accolto con pane e sale. Nella tradizione cristiana il sale è simbolo di purezza e di sapienza. Nel Vangelo di San Marco, Gesù dice ai suoi apostoli: «Il sale è buono, ma se il sale diventa insipido, con che gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri». Renzo Pellati ne La storia di ciò che mangiamo racconta: «Fino al Concilio Vaticano II durante il battesimo si poneva un granello di sale tra le labbra del bambino per mondarlo dal peccato e arricchirlo di sapienza».Risale al medioevo la superstiziosa credenza, ancora viva, che rovesciare il sale porti sfortuna. Con quello che costava allora rovesciarlo era una vera e propria sventura. Probabilmente a far circolare la voce furono i ricchi, gli unici che se lo potevano permettere, per spaventare i servi e costringerli a stare più attenti. Racconta ancora Pellati che il sale era considerato un antidoto contro le potenze infernali. I diavoli lo temevano in quanto simbolo di eternità e incorruttibilità. Funzionava anche contro i sortilegi e i malefici delle streghe le quali nei pentoloni dove preparavano zuppe sulfuree e decotti venefici mettevano di tutto, ma mai il sale simbolo sacro come evidenzia Khalil Gibran: «Il sale deve avere qualcosa di sacro, infatti si trova nel mare e nelle lacrime».Nella storia della civiltà contadina il sale ha un’importanza fondamentale sia per la sua capacità di conservare i cibi, sia per dar loro gusto. E non serve solo all’uomo che è bene ne faccia il giusto uso, ma anche alla salute degli animali. I quali godono della protezione del sale benedetto fatto loro mangiare nel giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio), protettore del bestiame e degli animali domestici. Ancora oggi il rituale della benedizione del sale per gli animali nel giorno di Sant’Antonio Abate riempie le chiese di campagna.«Che sia un elemento universale e indispensabile alla vita di tutti», scrive Riccardo Morbelli ne Il boccafina, ovvero il gastronomo avveduto, «lo si nota dal suo stesso nome: in latino sal, in italiano sale, in francese sel, in spagnolo sal, in tedesco salz, in inglese salt. Diretti discendenti, seppure anagrammati, del greco als».
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)