2024-02-19
Sarantis Thanopulos: «Bloccare la pubertà va contro la scienza. Ormai è un mercato»
Il presidente della Società psicoanalitica italiana: «Alle aziende farmaceutiche non importano i veri problemi degli adolescenti».Sarantis Thanopulos è presidente della Spi-Società psicoanalitica italiana, la principale associazione che riunisce gli psicanalisti italiani. L’anno scorso ha inviato una lettera al ministero della Salute, ponendo una serie di riflessioni sulle eventuali controindicazioni dei bloccanti della pubertà e chiedendo maggiore prudenza nel loro utilizzo nei casi di minori con diagnosi di disforia di genere. La Spi è tra le poche realtà del settore ad aver esposto forti criticità riguardo l’approccio cosiddetto «affermativo», che tende a supportare i bambini e i giovani nella scelta del nuovo genere espresso, includendo e incoraggiando la transizione sociale fin da prima della pubertà. I trattamenti affermativi di genere comprendono trattamenti ormonali e interventi chirurgici volti a modificare le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie per allineare l’aspetto fisico di una persona con la propria identità di genere.Dottor Thanopulos, quali sono le maggiori criticità che rileva nell’approccio affermativo e nel conseguente trattamento della disforia di genere?«La disforia di genere è la sofferenza provocata dall’incongruenza tra la percezione soggettiva della propria identità sessuale e il proprio sesso biologico. Produce un comprensibile disagio nei confronti dei cambiamenti psicosessuali della pubertà. Come trattamento del disagio si usa in ambienti medici la triptorelina, un farmaco che blocca la pubertà. Si presume che così si dà al preadolescente il tempo necessario per una sua configurazione identitaria più serena. L’uso della triptorelina comporta criticità importanti. Lo sviluppo puberale è necessario alla configurazione dell’identità sessuale, bloccandolo si blocca anche lo sviluppo identitario. Non è dunque sorprendente che nella quasi totalità dei casi dal blocco della pubertà si passa alla transizione ormonale per accordare il proprio aspetto corporeo all’identità opposta a quella conforme al sesso biologico il cui sviluppo è stato bloccato. Tuttavia, solo il 20% dei ragazzi disforici si confermano tali a pubertà ultimata, se lasciati liberi da interferenze. Come si fa a somministrare i bloccanti con una diagnosi provvisoria così incerta? Il rischio di un danno psicocorporeo a causa del blocco e quello di una predeterminazione del destino dei ragazzi sono consistenti e preoccupanti. L’uso della triptorelina non dà tempo ai ragazzi, lo toglie. La “transizione” della propria identità sessuale verso la sua configurazione in senso opposto da quello della propria biologia è un processo psichico. Durante l’adolescenza, che è un periodo di oscillazione interiore tra identità femminile e maschile e tra eterosessualità e omosessualità, è questione di buon senso non spingere a favore della transizione o contro di essa e permettere ai soggetti in evoluzione a approdare in modo personale alla conferma dell’incongruenza o alla sua sconferma. Il modello affermativo nella sua concreta applicazione pretende di assegnare alle persone un’identità prima che essa sia effettivamente costituita dentro di loro autonomamente. Partendo dal blocco della pubertà orienta fortemente le persone verso trattamenti ormonali che cambiando l’aspetto fisico accelerano cambiamenti interni che dovrebbero essere liberi e tendono a renderli obbligatori. Promuove a parole l’affermazione della soggettività, ma la trasforma in realtà in una procedura anonima, offrendo soluzioni identitarie costruite a tavolino».Le criticità esposte alle istituzioni dalla Spi hanno provocato una dura reazione da parte della comunità scientifica a favore dell’uso dei bloccanti della pubertà. Ritiene che anche il dibattito scientifico sia viziato dall’ideologia?«Ci sono associazioni varie di studi sul genere, ideologicamente orientate, e società mediche prive di competenza nel campo dello sviluppo psichico e della psicoterapia. Nella loro “dura reazione” c’è silenzio sulle questioni da noi poste. Dicono della triptorelina che sarebbe un farmaco “salvavita”: ridurrebbe il rischio di suicidio. Tuttavia, ciò non è per nulla confortato da dati rigorosamente raccolti. Del resto, dove l’uso della triptorelina è stato sospeso (nei Paesi scandinavi e in Inghilterra) non si è verificato un aumento dei suicidi. Il rischio del suicidio è reale nei soggetti disforici come in tutte le difficoltà identitarie nell’adolescenza. In generale tra gli adolescenti i suicidi si sono aumentati di molto dopo la pandemia, diventando la loro seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. La prevenzione si ottiene con la cura psicoterapeutica, con il moderato uso di psicofarmaci (dove la situazione lo richiede) e con il sostegno di realtà sociali precarie. Una corrente forte nella medicina sconfina in territori non suoi cercando di imporre il modello biomedico in tutto il campo della cura della sofferenza umana e anche nel campo dei nostri rapporti erotici e affettivi. Mette il suo “marchio” di cura in condizioni umane di cui sa poco o nulla. Questo è ideologia. Non è una cattiva scienza, è una cattiva religione». Lei ha parlato di «industria della trasformazione» sorretta dall’idea che con un trattamento medico si può diventare altro. A fronte di interessi economici molto rilevanti, le case farmaceutiche quanto influiscono sull’orientamento della comunità scientifica?«L’industria della trasformazione si è creata un mercato enorme di cui il blocco della pubertà e le transizioni rappresentano una piccola fetta. Delle reali condizioni di vita delle persone disforiche o delle persone transessuali, dei loro bisogni psichici, dei loro desideri, delle loro relazioni affettive non le interessa nulla. Le serve l’appoggio ideologico degli attivisti che, spezzando il legame tra l’autodeterminazione dell’essere umano e la sua eterodeterminazione (l’altro è co-costitutivo della nostra identità), propagano l’idea che ciascuno può essere quello che vuole (il più grande inganno dei nostri giorni). Le case farmaceutiche fanno il bello e il cattivo tempo. La verità scientifica è a rischio». Che cosa pensa di quanto accade al Careggi di Firenze, coinvolto, a quanto emerge dalle ispezioni del ministero, in una gestione non del tutto chiara dei bloccanti della pubertà?«Purtroppo, è fin troppo chiara: per ammissione aperta delle responsabili si considera come idonea alla somministrazione della triptorelina un’età tra i 10 e i 13 anni (quando nulla è stato ancora definito sul piano dell’evoluzione della disforia); si afferma che la psicoterapia non sia necessaria (ritenendo arbitrariamente che il malessere è solo una fase transitoria verso il cambiamento dell’identità sessuale); si affronta il blocco della pubertà come passaggio alla transizione. Non è una questione di irregolarità formali, ma di un’impostazione imprudente della cura nei confronti di ragazzi sofferenti che hanno di fronte a loro una scelta di importanza vitale». Come definirebbe la «fluidità di genere»?«Come bisessualità è sempre esistita. La “fluidità”, intesa come transizione a doppio senso tra le identità sessuali, è nell’adolescenza naturale: consolida nel mondo interno il legame con l’altro sesso in termini di relazione (l’altro da me) e di identificazione (l’altro in me). La “fluidità” di cui si parla oggi esprime la paura di lasciarsi andare all’incontro con l’altro e la necessità di trattenerlo dentro, non lasciarlo vivere e desiderarlo fuori di sé. L’ideologia affermativa va di pari passo con la dissoluzione del legame con l’altro e della sessualità. Tra il 1991 e il 2021 la percentuale degli adolescenti americani che durante la High School hanno fatto l’amore almeno una volta è scesa dal 60% al 30% (dati ufficiali del governo americano)». Le richieste e i via libera alla transizione di genere sono cresciuti esponenzialmente. Ritiene questa crescita la conseguenza dell’abbattimento del tabù? O a influire è anche la tendenza a favorire eccessivamente il percorso di transizione?«I tabù veri sono oggi rinforzati in silenzio. La sessualità è seriamente repressa. È usata come dispositivo eccitante e antidepressivo o come calmante, ma sotto lo spettacolo in superficie, si diffonde l’astensione dalla profondità del coinvolgimento erotico profondo. Il declino della sessualità crea inevitabilmente impasse identitarie che nella richiesta della transizione trovano una soluzione rassicurante, almeno temporalmente, favorita anche da una cultura gruppale. È vero, tuttavia, che la migliore accettazione della condizione transessuale da parte della società, l’attenuarsi dello “stigma”, ha facilitato l’estrinsecarsi di percorsi di vita precedentemente soffocati dal pregiudizio. Non dobbiamo reprimere un fenomeno che ha la sua ragione di essere. Non dobbiamo neppure esaltarlo, esagerando le sue reali dimensioni».Cosa pensa delle operazioni chirurgiche per la riassegnazione del sesso (falloplastica e vaginoplastica)?«Fa scandalo l’idea che si possa “cambiare sesso” senza alterare il proprio corpo. Questo consente di usare la “plasticità psichica” del corpo, la sua possibilità di esprimersi in modo sia femminile che maschile, e conservare una parte significativa del proprio godimento erotico. Gli interventi chirurgici non riassegnano nulla (il “cambio di sesso” è un’elaborazione interiore). Non potrebbero mai costruire un vero corpo di donna o di uomo. “Aggiustano” l’immagine corporea avvicinandola a quella del sesso desiderato. Questa esigenza nasce da una parte dal privilegio che la nostra società accorda all’immagine rispetto al sentire e, dall’altra, dall’esigenza intima personale di chi si opera di avvicinarsi all’immagine corporea di sé che anela. Sembra che gli interventi chirurgici siano in diminuzione per la deprivazione sessuale che l’asportazione dei genitali provoca». C’è il rischio che sotto la diagnosi di disforia si nascondano invece altri disturbi del comportamento, mal interpretati?«È un fatto assodato. La disforia può “dare voce” a condizioni di natura diversa: angoscia psicotica, depressione, autismo, anoressia».
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