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2023-02-08
Sanremo 2023, Blanco rovina la prima serata
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Blanco (Ansa)
Sembrava andare tutto bene: Amadeus brillantinato, Gianni Morandi in velluto bordò, il minuto di silenzio per il terremoto in Turchia, la standing ovation per il presidente Sergio Mattarella e l’inno d’Italia intonato da Morandi. E poi Roberto Benigni, Chiara Ferragni, gli ospiti, i cantanti. La prima puntata di Sanremo 2023 non dava segni di grandi colpi di scena. Almeno fino a quando, la mezzanotte passata da poco, sul palco è arrivato Blanco per cantare il suo nuovo singolo L’isola delle rose. Purtroppo c’è stato un problema in cuffia, ma il giovane artista invece di interrompere l’esibizione e ripartire dall’inizio, ha preferito distruggere i palchetti floreali prendendo a calci la scenografia. Un’aggressività gratuita, un black out totale che ha fatto arrabbiare pubblico, conduttori e giornalisti. Una brutta pagina di televisione e un passo falso che resterà negli annali. Giusta la scelta di non farlo ricantare: in nome del talento non si può concedere lo sfascio.
L’intervento di Roberto Benigni
A confronto del disastro-Blanco lo show di Roberto Benigni sulla Costituzione quasi non fa notizia. Il testo infatti non ha affondato nei vuoti della scena politica. Certo, l’attore ha citato l’articolo 11 contro la guerra, con un implicito riferimento al conflitto russo ucraino, e il 21 per la libertà di pensiero.
L’emozione dei cantanti
E veniamo alla musica. Dalla svolta mistica di Anna Oxa al coro dei bambini di Mr. Rain, dal vincitore annunciato Marco Mengoni a una giovanissima e spaurita Ariete, l’emozione del debutto ha condizionato a catena un artista dopo l’altro. Più sicuro è apparso Ultimo che ha spogliato l’esibizione di ogni orpello per puntare tutto sull’interpretazione. Bene gIANMARIA e i Coma_Cose, con una gestualità studiata per fare colpo sui più sentimentali. Sensuale Elodie ma la sua canzone resta a nostro avviso più radiofonica che festivaliera. Rimandato Leo Gassmann (meglio in prova che in puntata), promossi invece a pieni voti i Cugini di campagna. Errori vistosi nell’esibizione di Gianluca Grignani (qualcosa non ha funzionato ma il testo merita di essere riascoltato), scanzonato Olly che potrebbe essere il Tananai dell’anno scorso. Infine i Colla zio, gli outsider di questo festival, e Mara Sattei: elegante, raffinata e con un testo griffato Damiano dei Maneskin (indipendentemente da come andrà, ne sentiremo parlare).
Chiara Ferragni prova superata
Il suo esordio televisivo era il più atteso. Ma chi pensava che Chiara Ferragni non ce l’avrebbe fatta a reggere il mezzo nazionalpopolare si è dovuto ricredere. La Ferragni è stata precisa, professionale, con un perfetto istinto per i tempi televisivi e una sintonia quasi stucchevole con i due conduttori. Intenso il monologo, scritto da lei: una lettera a se stessa piccola sul tema dell’accettazione e del superare le sfide con noi stessi. Poi un pensiero alla famiglia, ai figli, un attacco alla società che stigmatizza le mamme. E infine un invito a celebrare i propri successi, contro il sessismo e i pregiudizi sul corpo (il tutto con indosso un vestito Dior effetto nudo da manuale).
La classifica della sala stampa
All'una e mezza di notte, ecco la prima classifica di Sanremo 2023. Al primo posto Marco Mengoni, Elodie seconda e Coma_Cose terzi. Poi a seguire: Ultimo, Leo Gassmann, Mara Sattei, Colla zio, Cugini di campagna, Mr.Rain, Gianluca Grignani, Ariete. Chiudono la classifica gIANMARIA, Olly e Anna Oxa.
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La scenata del vincitore dello scorso anno che ha preso a calci la scenografia, le canzoni dei primi 14 artisti in gara, Chiara Ferragni: i momenti top e flop della prima serata del festival della canzone italiana. Marco Mengoni subito in testa nella classifica della sala stampa.Sembrava andare tutto bene: Amadeus brillantinato, Gianni Morandi in velluto bordò, il minuto di silenzio per il terremoto in Turchia, la standing ovation per il presidente Sergio Mattarella e l’inno d’Italia intonato da Morandi. E poi Roberto Benigni, Chiara Ferragni, gli ospiti, i cantanti. La prima puntata di Sanremo 2023 non dava segni di grandi colpi di scena. Almeno fino a quando, la mezzanotte passata da poco, sul palco è arrivato Blanco per cantare il suo nuovo singolo L’isola delle rose. Purtroppo c’è stato un problema in cuffia, ma il giovane artista invece di interrompere l’esibizione e ripartire dall’inizio, ha preferito distruggere i palchetti floreali prendendo a calci la scenografia. Un’aggressività gratuita, un black out totale che ha fatto arrabbiare pubblico, conduttori e giornalisti. Una brutta pagina di televisione e un passo falso che resterà negli annali. Giusta la scelta di non farlo ricantare: in nome del talento non si può concedere lo sfascio. L’intervento di Roberto BenigniA confronto del disastro-Blanco lo show di Roberto Benigni sulla Costituzione quasi non fa notizia. Il testo infatti non ha affondato nei vuoti della scena politica. Certo, l’attore ha citato l’articolo 11 contro la guerra, con un implicito riferimento al conflitto russo ucraino, e il 21 per la libertà di pensiero. L’emozione dei cantantiE veniamo alla musica. Dalla svolta mistica di Anna Oxa al coro dei bambini di Mr. Rain, dal vincitore annunciato Marco Mengoni a una giovanissima e spaurita Ariete, l’emozione del debutto ha condizionato a catena un artista dopo l’altro. Più sicuro è apparso Ultimo che ha spogliato l’esibizione di ogni orpello per puntare tutto sull’interpretazione. Bene gIANMARIA e i Coma_Cose, con una gestualità studiata per fare colpo sui più sentimentali. Sensuale Elodie ma la sua canzone resta a nostro avviso più radiofonica che festivaliera. Rimandato Leo Gassmann (meglio in prova che in puntata), promossi invece a pieni voti i Cugini di campagna. Errori vistosi nell’esibizione di Gianluca Grignani (qualcosa non ha funzionato ma il testo merita di essere riascoltato), scanzonato Olly che potrebbe essere il Tananai dell’anno scorso. Infine i Colla zio, gli outsider di questo festival, e Mara Sattei: elegante, raffinata e con un testo griffato Damiano dei Maneskin (indipendentemente da come andrà, ne sentiremo parlare). Chiara Ferragni prova superataIl suo esordio televisivo era il più atteso. Ma chi pensava che Chiara Ferragni non ce l’avrebbe fatta a reggere il mezzo nazionalpopolare si è dovuto ricredere. La Ferragni è stata precisa, professionale, con un perfetto istinto per i tempi televisivi e una sintonia quasi stucchevole con i due conduttori. Intenso il monologo, scritto da lei: una lettera a se stessa piccola sul tema dell’accettazione e del superare le sfide con noi stessi. Poi un pensiero alla famiglia, ai figli, un attacco alla società che stigmatizza le mamme. E infine un invito a celebrare i propri successi, contro il sessismo e i pregiudizi sul corpo (il tutto con indosso un vestito Dior effetto nudo da manuale).La classifica della sala stampaAll'una e mezza di notte, ecco la prima classifica di Sanremo 2023. Al primo posto Marco Mengoni, Elodie seconda e Coma_Cose terzi. Poi a seguire: Ultimo, Leo Gassmann, Mara Sattei, Colla zio, Cugini di campagna, Mr.Rain, Gianluca Grignani, Ariete. Chiudono la classifica gIANMARIA, Olly e Anna Oxa.
L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
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Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
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Vincent Van Gogh, Campi di grano con falciatore, Auvers, 1890.Toledo Museum of Art, acquistato con fondi del Libbey Endowment, dono di Edward Drummond Libbey
Figura che ama stupire, questa volta Goldin ha ideato un’esposizione che « va cronologicamente a ritroso »: parte dall'astrazione americana del secondo Novecento (con artisti come Richard Diebenkorn, Morris Louis e Helen Frankenthaler), prosegue con l'astrazione europea ( rappresentata da opere di Piet Mondrian, Paul Klee e Ben Nicholson) e si conclude con il passaggio dal Novecento all’Ottocento, con focus su natura morta, ritratto e paesaggio. Tre temi fondamentali, pur nelle loro molteplici declinazioni, rappresentati, in mostra, dalle sfumature poetiche delle nature morte di Giorgio Morandi e Georges Braque e dai ritratti e dalle figure di Matisse, Bonnard e Vuillard, sino ad arrivare a De Chirico e Modigliani (di grande intensità il ritratto di Paul Guillaume del 1815) e alla famosa Donna con cappello nero, uno splendido Picasso cubista del 1909. Davvero straordinaria anche la parte (l’ultima di questo originale percorso al contrario…) dedicata al paesaggio, che regala al visitatore le meravigliose visioni veneziane di Paul Signac, la Parigi di Robert Delaunay e Fernand Léger e una strepitosa sequenza di paesaggi impressionisti e post-impressionisti, tra cui spiccano una delle ultime versioni (forse la più bella… ) delle Ninfee di Monet, accanto a capolavori assoluti di Gauguin, Cezanne, Caillebotte, Renoir e Sisley, a Treviso con il suo celebre L’acquedotto a Marly, realizzato nello stesso anno della prima mostra impressionista, il 1874. A chiudere questo anomalo e ricchissimo percorso espositivo, l’artista più amato e studiato da Goldin: Vincent Van Gogh.
Solitario, a dominare su tutto, quasi a congedare il pubblico, quel capolavoro che è Campo di grano con falciatore ad Auvers del 1890, l’opera con cui l’artista olandese dice addio alla vita e che rappresenta con largo anticipo l’arte futura, quella modernità già raggiunta da Van Gogh nell’incomprensione quasi totale del suo tempo… E sempre a lui, inarrivabile e tormentato genio pittorico , è dedicato film scritto e diretto da Goldin Gli ultimi giorni di Van Gogh, proiettato a ciclo continuo nella sala ipogea del museo trevigiano. Con questa poetica proiezione si conclude il percorso espositivo, che splendidamente rappresenta la qualità altissima delle opere custodite nel Toledo Museum of Art dell’Ohio, il quotatissimo museo americano (nominato nel 2025 il miglior museo degli Stati Uniti) che ha reso possibile questa prestigiosa esposizione, che da sola merita almeno un giorno a Treviso…
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Il primo giorno di esercizio delle Ferrovie Meridionali Sarde alla stazione di Iglesias nel 1926
La Sardegna era rimasta l’ultima regione dell’Italia postunitaria a non avere una strada ferrata. Le difficoltà logistiche dovute alla distanza dal continente erano state il principale ostacolo, seguito dallo scarsissimo sviluppo economico e industriale dell’isola, caratterizzata da una secolare arretratezza. Le prime ferrovie sarde furono infatti realizzate oltre vent’anni dopo la prima linea italiana, la Napoli-Portici del 1839. Solo nel 1862, su concessione del governo unitario, fu costituita a Londra con capitale privato la Compagnia delle Ferrovie Reali Sarde (CFRS) che realizzò in 18 anni la tratta che collegava, percorrendo l’interno della Sardegna, Cagliari a Porto Torres. Negli anni successivi la rete fu ampliata da altre due concessioni ferroviarie realizzate con capitale privato. La prima fu la Società delle Strade Ferrate Secondarie della Sardegna (SFSS), fondata nel 1886, che realizzò linee a scartamento ridotto da 950mm (più agili dell’ordinario per i tratti più tortuosi dell’interno dell’Isola) tra il 1888 e il 1932. Le SFSS coprirono le tratte Cagliari – Isili (1888), Monti – Tempio Pausania (1888), Macomer – Nuoro (1889), Isili – Villacidro (1891), Mandas – Sorgono (1893), Mandas – Seui (1893), Seui – Villanova Tulo (1894), Villanova Tulo – Ussassai (1894), Ussassai – Gairo (1894), Gairo – Tortolì / Arbatax (1894), Villamar – Ales (1915), Sassari – Alghero (1929), Sassari – Tempio Pausania (1931), Tempio Pausania – Palau (1932). Una terza rete ferroviaria fu quella delle Ferrovie Complementari della Sardegna (FCS), una concessione scaturita dalla legge finanziaria del 1912 con capitale pubblico. A scartamento ridotto come le SFSS, le Complementari entrarono in esercizio solo nel 1921. Le tratte coperte furono Chilivani – Tirso (1921), Villamassargia – Carbonia (1926), Decimomannu – Iglesias (1926).
La zona Sud-occidentale invece, rimasta per anni isolata dalla rete ferroviaria, fu coperta negli stessi anni da un’altra rete in concessione, che avrebbe servito negli anni successivi una delle aree segnate dal più intenso sviluppo industriale: il Sulcis delle miniere di carbone. La Società delle Ferrovie Meridionali Sarde (FMS) fu fondata a Busto Arsizio l’11 dicembre 1914 ma si dovettero attendere quasi 10 anni per l’inizio dei lavori a causa dello scoppio della Grande Guerra. L’esigenza primaria dell’ultima rete ferroviaria sarda in ordine cronologico era duplice: fornire un importante supporto logistico all’industria estrattiva in quegli anni in rapida crescita per il trasporto del carbone verso le navi e garantire allo stesso tempo mobilità adeguata ad una popolazione crescente a causa della domanda di forza lavoro nelle miniere del Sulcis Iglesiente. Anche le FMS erano a scartamento ridotto ed i lavori furono appaltati all’impresa Durando&Tomassini, che in soli tre anni dal 1923 al 1926 portò a termine più di 100 km. di linea costruendo 5 gallerie, 34 opere tra ponti e viadotti, 18 stazioni e 55 case cantoniere. Le tratte erano Siliqua-S.Giovanni Suergiu (connessione con FCS) e Calasetta-Iglesias-San Giovanni Suergiu. Nella tratta finale verso Calasetta erano localizzate le stazioni di scarico del carbone come quella di S.Antioco-Ponti, attrezzata con gru portuali per il carico del materiale sulle navi. Il materiale rotabile comprendeva carri passeggeri e merci, trainate inizialmente da locomotive a vapore Breda gruppo 100. Questi convogli servirono le FMS per circa un decennio in cui il traffico sia passeggeri che merci aumentò costantemente, nonostante la velocità di esercizio ridotta a poco più di 40 km/h. Nel 1936 la società acquistò le prime littorine Aln 200, che dimezzarono i tempi di percorrenza grazie ad una velocità omologata di 85 km/h. Quelli delle sanzioni seguite alla guerra d’Etiopia furono gli anni d’oro delle FMS, che arrivarono a garantire fino a 60 convogli giornalieri e a superare il milione di tonnellate/anno di carbone trasportate dai carri merci.
Poi fu la guerra, che portò la prima crisi per la società. A causa della carenza di carburante, le littorine furono accantonate e si tornò alla trazione a vapore. Il trasporto del carbone subì una contrazione di oltre il 60% a causa della mancanza di naviglio mercantile. Poi dal cielo arrivarono i bombardamenti alleati sui porti e sulla linea a meno di 20 anni dall’inizio dell’esercizio, che causarono gravi danni alle strutture e al materiale rotabile. Si salvarono tuttavia le littorine, che durante la guerra erano rimaste nascoste sotto un fogliame mimetico. Nel dopoguerra iniziò la ristrutturazione delle linee, con un piano elaborato nel 1947, che sancì la prima e ultima fase di ripresa delle FMS, grazie anche ai livelli di estrazione del carbone che arrivarono nuovamente a sfiorare il milione di tonnellate. Fu un fattore esterno, alla metà degli anni Cinquanta, a generare una crisi della società dalla quale non si sarebbe più ripresa. Il miracolo economico e i progressi tecnici favorirono la diffusione dei prodotti petroliferi, con conseguente crollo del mercato del carbone. Dal 1960 le FMS furono sottoposte a commissariamento da parte dello Stato, che provò a modernizzare la linea con l’acquisto di 6 nuove automotrici ADe (diesel-elettriche). Ma la carenza ormai cronica di passeggeri fu aggravata anche dalla realizzazione di una linea ferroviaria in concorrenza con le arrancanti FMS. Nel 1956 le Ferrovie dello Stato inaugurarono la linea Villamassargia-Carbonia, che agevolava di molto il transito passeggeri verso Cagliari e serviva l’importante sito minerario di Serbariu, che fino ad allora si era affidato alle FMS. Ormai semideserte ed erose dalla diffusione sempre maggiore del traffico automobilistico privato, le storiche ferrovie del carbone giunsero al binario morto, terminando definitivamente l’esercizio nel 1974.
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