2022-10-10
Una sanità di destra e per la libertà può sconfiggere la follia biopolitica
Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni (Ansa)
Le pedine di Roberto Speranza useranno il Covid per cercare di minare il nuovo governo, ma la coalizione può scardinare i modelli di Mario Draghi e Giuseppe Conte rimettendo al centro la salute del singolo al posto del collettivismo.Le bollette, la guerra, il gas: gli italiani hanno problemi peggiori dell’influenza. Però i soldatini di Roberto Speranza non molleranno la presa: il Covid sarà uno dei pretesti per martellare il prossimo governo e un formidabile grimaldello per scardinare l’unità del centrodestra. Non basterà giocare alle vecchie regole, limitandosi a mitigare gli estremismi pandemici di Giuseppe Conte e Mario Draghi. Bisogna battersi per un’alternativa al biopotere. E Giorgia Meloni, la leader dei conservatori europei, è la donna adatta a lanciarne una: il conservatorismo sanitario. Proviamo a spiegarci. Finora, la pandemia è stata gestita secondo la logica della biopolitica. Come spiegava l’ideatore della categoria, il filosofo Michel Foucault, la biopolitica implica un insieme di tecniche per l’accrescimento della prosperità di una nazione, attraverso il potenziamento della sua popolazione - ergo, della «nuda vita» biologica. È il tratto peculiare dell’era del capitalismo borghese, che spiega pure la proliferazione, negli ultimi secoli, delle misure di igiene pubblica. Da un lato, un indubbio progresso materiale. Dall’altro, un mezzo formidabile per consolidare un dominio politico che abbracciasse financo i corpi.Pure il biopotere, specie quando diventa assoluto, corrompe in modo assoluto. È così che la biopolitica diventa uno strumento di penetrazione della fisiologia da parte del governo. Il termine «pandemia» è eloquente: il soggetto presso cui si propaga il contagio è il «demos», il popolo in quanto entità non naturale, ma politica. La pandemia è politica. È biopolitica. E l’esercizio del potere a essa connesso muove lungo due direttrici convergenti: la popolazione, cioè i grandi numeri, i dati, i bollettini, le campagne di vaccinazione, i lockdown generalizzati; e l’intimo della mente individuale, che va adattata alle esigenze della classe egemone. L’orizzonte, comunque, rimane quello collettivistico: il singolo malleabile è il singolo massificabile, quello che il potere può trattare come la variabile sempre meno indipendente di una gigantesca statistica. È da questa gabbia che il centrodestra deve uscire. Se il confronto restasse nei termini concepiti da un Walter Ricciardi, Meloni & C. potrebbero sempre e solo inseguire. Giustificarsi. Diranno che la prudenza va contemperata con il rispetto della libertà; che sulle mascherine, anziché l’obbligo, conviene evocare il buon senso. Ma non è sufficiente cambiare la cornice; va ridipinto il quadro. In un brillante saggio, pubblicato sull’American journal of medicine nel dicembre 2019, cioè poco prima che esplodesse il Covid, quattro scienziati Usa difesero The case for being a medical conservative. Sintetizzavano così i tratti salienti della loro visione: «Il conservatore medico», che potremmo meglio definire conservatore sanitario, «riconosce che molti sviluppi presentati come avanzamenti medici offrono, nella migliore delle ipotesi, benefici marginali». E ora tenete a mente come è stata gestita la partita dei vaccini: «Il conservatore medico adotta nuove terapie quando il beneficio è chiaro e le prove sono forti e prive di faziosità». Ancora: «Il conservatore medico sa che anche quando gli studi clinici mostrano che un farmaco, un apparecchio, o un intervento raggiungono una soglia statistica, il beneficio reale che ne deriva per un individuo può essere molto inferiore a quello pubblicizzato. Noi resistiamo alla tendenza a confondere i benefici di una terapia per la popolazione con quelli per l’individuo». In queste righe c’è tutto. C’è l’alternativa al paradigma biopolitico. C’è il primato della persona al posto del collettivismo. C’è l’attenzione alle esigenze del paziente, al posto della medicalizzazione della società. E c’è la ricetta per salvare il capitalismo e il mercato, pur combattendo le derive di Big pharma: «Noi ci opponiamo», scrivevano gli autori dell’articolo, «al progresso medico e all’accumulazione della ricchezza privata che l’accompagna, quando ciò avviene col pretesto della “scienza”, senza miglioramenti significativi per le condizioni del paziente». Non è la ragione per cui invocavamo le cure anti Covid? Alle aziende faceva più gola inoculare un siero a miliardi di abitanti del globo sani, che non trattare, con medicine già in commercio da decenni, la minoranza a rischio di ammalarsi gravemente.Si comprende pure perché le vaccinazioni e l’intero apparato pandemico siano stati veicolati da una comunicazione lacunosa, capziosa e menzognera. Se lo scopo è spingere il maggior numero possibile di persone ad assumere un preparato o ad adottare un comportamento, non serve la verità. Serve il marketing. I fumetti sponsorizzati da Pfizer, gli spot dei premi Nobel. Non il rapporto medico-paziente, semmai la telepredica del virocrate. La Meloni avrà tante gatte da pelare. Può scegliere di diventare la pallida copia di Draghi, o può cogliere l’opportunità per imprimere al Paese una svolta culturale. Le idee abbondano. Hanno bisogno di un paio di gambe sulle quali camminare.
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