
A Palazzo Madama una commedia con la complicità dello stesso Movimento. Ma il Carroccio l'ha usata per alzare la posta: ministri e programma da adeguare oppure si tornerà alle urne. Quirinale permettendo.È finita come c'era da immaginare che finisse. Dal voto di ieri in Senato sull'alta velocità non c'era da aspettarsi alcuna sorpresa nei contenuti. Nel senso che la mozione presentata dai 5 stelle era fatta per salvarsi l'anima, ovvero per presentarsi al proprio elettorato contrario all'opera dicendo di aver provato a bloccarla, ma tutti quanti, compreso chi l'aveva presentata, sapevano che la mozione non aveva alcuna possibilità di essere approvata, in quanto in Parlamento esiste un fronte maggioritario favorevole alla Tav, un fronte che va dalla Lega a Forza Italia e al Pd. Dunque, mentre sulle prime pagine dei giornali si moltiplicavano le ipotesi, nel retrobottega della politica già si dava per scontato che i pentastellati avrebbero difeso la bandiera, ma senza in alcun modo vincere la guerra. Del resto, sulla Tav abbiamo assistito nell'ultimo anno, cioè da quando è nato il governo Conte, a una commedia che aveva come solo e unico obiettivo quello di non bloccare l'opera e di conseguenza non far cadere l'esecutivo. Dunque, dopo parole di fuoco contro l'opera, dopo l'analisi costi benefici che sembrava prefigurare uno stop ai lavori, si è scelto di indire i bandi di gara, facendo credere all'opinione pubblica che la decisione non rappresentasse un via libera all'alta velocità, ma fosse solo un atto senza significato. In pratica, si è spostato via via il problema, spingendolo un po' più in là nel tempo. Ma i protagonisti sapevano che prima o poi sarebbe stato necessario pronunciare il sì definitivo e a questo alla fine ha pensato Giuseppe Conte, il quale, pur non avendo truppe e quindi voti, con un'opera di sdoppiamento fra il ruolo di presidente del Consiglio e chi lo ha scelto e lo sostiene, si è attribuito il potere di decidere in contrasto con un pezzo della sua maggioranza. Un gioco delle parti, che ha consentito ai 5 stelle di continuare a dichiararsi contrari e al governo di far partire i lavori. Un doppio gioco che finora ha salvato capra e cavoli, Tav ed esecutivo, evitando una rottura fra alleati.Ieri, però, la frattura è venuta allo scoperto platealmente in Parlamento e tutto è cambiato. Il capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, ha detto chiaramente che ci sarebbero state conseguenze politiche al fatto che due forze di governo votassero in maniera opposta su un argomento così sensibile. E Salvini ha dato immediatamente corpo alla crisi, salendo a Palazzo Chigi e ponendo a Conte l'ultimatum: così non si può andare avanti. Il Capitano leghista pretende un cambio di passo, figure nuove nell'esecutivo e un nuovo cronoprogramma. Il tutto proiettato verso la manovra e tenendo ben presente che, così come il cappone non salta in pentola a Natale, i grillini non hanno alcuna voglia di concludere anticipatamente la loro carriera politica. Perché è ovvio che in caso di crisi e di fine della legislatura, almeno la metà degli onorevoli pentastellati non tornerebbe in Parlamento. I sondaggi danno il Movimento sotto il 17 per cento, ovvero a meno della metà di quanto prese il 4 marzo di un anno fa.Se una percentuale simile valesse in tutta Italia, i 5 stelle non espugnerebbero un solo collegio uninominale e dovrebbero misurarsi solo con il proporzionale. Insomma, sarebbe una débâcle, perché Luigi Di Maio e compagni si troverebbero una truppa di grillini decimata e ridotta a poco più di un terzo. Senza contare gli effetti che avrebbe sullo stato maggiore pentastellato la regola dei due mandati. Se non ci fosse la caduta verticale dei consensi, a fare piazza pulita ci penserebbe il divieto di ripresentarsi per Camera e Senato. Insomma, i vertici del Movimento, pur inanellando una sconfitta dietro l'altra, non hanno voglia di crisi, perché non hanno voglia di andare a casa.Dunque non saranno i 5 stelle a staccare la spina e l'unico a poterlo fare, anzi ad avere convenienza a farlo, è Matteo Salvini, il quale del governo Conte ne ha le tasche piene e guardando i sondaggi vorrebbe poter correre senza avere la palla al piede di una continua mediazione con Di Maio e compagni. Se fosse certo di poter andare a votare, il capitano leghista avrebbe già divorziato dai grillini. Se non lo ha fatto finora è stato perché non aveva la certezza di nuove elezioni e anche perché il tira e molla gli ha giovato. Grazie al quotidiano litigio, Salvini ha logorato i 5 stelle e ha moltiplicato i consensi. Ora va all'incasso, pretendendo il rimpasto. E ponendo l'ipoteca sulle misure economiche per la finanziaria. Il ministro dell'Interno non ha intenzione di continuare a occuparsi solo di migranti, ma, in linea con le aspettative della base leghista, vuole tagliare le tasse e varare provvedimenti che rilancino l'economia. Ce la farà a costringere i grillini a seguirlo anche su questa strada? Ma, soprattutto, riuscirà a superare la barriera dei conti costruita da un ministero che risponde più al Quirinale e a Bruxelles che alla maggioranza che lo ha espresso? La richiesta di Salvini di cambiare qualche ministro vuole dare una risposta proprio a questa domanda. E, a quanto risulta, non è negoziabile. Fossimo in Tria non dormiremmo sonni tranquilli.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





