
La legge del sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta prevede un taglio delle macchinette del 35%. Non entrerà in vigore perché senza coperture e bocciata dalla Ragioneria di Stato. Però le Regioni la possono applicare comunque: un guaio per il Def.Il governo ha varato il Def (documento di economia e finanza). Un testo basilare a politiche di bilancio invariate senza alcuna indicazione su lavoro né pensioni è arrivato ieri ai membri della commissione speciale delle Camere. Ai parlamentari il compito di rivederlo e bollinarlo prima della spedizione a Bruxelles. Nel testo manca però un elemento fondamentale che si tradurrà in una enorme gatta da pelare per chiunque a settembre siederà a Palazzo Chigi. Lo scorso anno il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta, ha portato avanti la riforma delle slot e dei video giochi con l'obiettivo di tagliare un terzo delle macchinette. Approvata dal governo la norma, Baretta dichiarò che avrebbe comportato una perdita per l'Erario di meno di un miliardo. Lo scorso 30 aprile doveva essere approvato il decreto per far entrare in vigore la legge. La scadenza è saltata perché la Ragioneria dello Stato ha bocciato la norma Baretta. È stata fatta senza le opportune coperture e dunque non può entrare in vigore: causerebbe un buco di bilancio di almeno 2,8 miliardi all'anno. Passata nel silenzio totale la figuraccia del governo che vuole vantare una finta aura di eticità senza fare i conti né con le proprie casse né con la realtà dei fatti (il taglio delle slot porterà a un incremento delle macchine illecite), è opportuno almeno portare alla luce la beffa. Anche senza decreto le Regioni andranno avanti ad applicare la riforma Baretta e causeranno ugualmente il buco di bilancio. Nel Def non c'è traccia della mina vagante, ma il Parlamento dovrà tenerne conto perché senza le adeguate copertura ne andranno di mezzo le clausole di salvaguardia fondamentali per non fare alzare l'Iva. A meno che non si intervenga con una legge parlamentare, resta infatti valido quanto deciso dal tavolo congiunto tra Stato e Regioni. La scaletta prevede che nei prossimi tre anni le sale giochi dovranno ridursi dalle attuali 98.600 a 55.000. Inoltre, il numero dello slot dovrà essere tagliato da circa 400.000 a 265.000 entro il 30 aprile del 2019. Una sforbiciata del 35%. Per di più le normative nazionali si sovrapporranno a quelle regionali. Il risultato è che il taglio complessivo sarà sicuramente superiore. Molti governatori vietano il gioco in prossimità di scuole o altri luoghi pubblici considerati sensibili. L'intervento drastico è dettato dalla volontà di ridurre i rischi di ludopatia, sebbene non prenda in considerazione il primo effetto del proibizionismo: l'aumento del sommerso e del gioco illegale. In pratica, al di là dell'aspetto economico, il rischio flop è dietro l'angolo.Nel 2002, prima che fossero introdotte le attuali norme, la Guardia di finanza stimava che in Italia fossero attive circa 800.000 macchinette da gioco. Tutte illegali e collegate alla criminalità. In pratica il doppio di quelle censite oggi. Intervenire sul numero complessivo senza tenere conto dell'effettiva domanda porterà nuova illegalità. Ma il fatto contraddittorio è che il taglio delle slot avviene in modo schizofrenico, perché dall'altro lato il Mef continua a far conto sul gettito che esse producono. O almeno finge. E qui si finisce in un vero cul de sac che impatterà anche sulla finanziaria d'autunno. La manovra di aprile del 2017 aveva aumentato le tasse (Preu) sulle slot e sulle Vtl calcolando un maggiore gettito di circa 750 milioni nel triennio. La tassa sulla fortuna dei gratta e vinci sulla carta avrebbe dovute rendere altri 300 milioni. Ovviamente, alla luce dello stop della Ragioneria di Stato, tutte stime buttate lì e senza fondamento. Non è certo la prima volta che una legge esce dal Consiglio dei ministri senza adeguate valutazioni d'impatto, ma in questo caso s'impone un'eredità di difficile gestione. Non è facile tornare indietro. Molte forze politiche sbandierano da tempo il taglio delle slot come arma populista che sottintende la capacità dello Stato di scegliere il bene per il cittadino. Anche se le statistiche sulla ludopatia sono praticamente stime, è certo che le scelte del pubblico sono sempre dettate da una motivazione di gettito e mai sanitaria. Affidare poi alle singole Regioni decisioni che impattano sui conti nazionali stavolta rischia di fare saltare il banco. E se il Parlamento non riuscirà a trovare un accordo sul tema slot entro settembre si finirà con l'aumentare le tasse a tutti gli altri contribuenti. Magari gli automobilisti, i fumatori o paradossalmente i malati che non vedranno l'aumento del fondo sanitario.
Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
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