Il cancelliere silura il ministro delle Finanze anti transizione e apre la crisi. La Cdu spinge per anticipare il voto ma è difficile che dalle urne arrivi un risultato chiaro: si corre verso un’altra ammucchiata instabile.
Il cancelliere silura il ministro delle Finanze anti transizione e apre la crisi. La Cdu spinge per anticipare il voto ma è difficile che dalle urne arrivi un risultato chiaro: si corre verso un’altra ammucchiata instabile.Il cancelliere Olaf Scholz licenzia il ministro delle Finanze Christian Lindner e apre alla crisi di governo. Dopo anni di litigi, la coalizione semaforo non regge all’ennesima discussione sulla legge di bilancio. Nella riunione di mercoledì che avrebbe dovuto sancire l’accordo sulla manovra, Scholz ha preso atto della impossibilità di un accordo con i Liberali guidati dal ministro delle Finanze. Al termine dell’incontro, in una dichiarazione pubblica, Scholz ha accusato Lindner di essere irresponsabile, egoista e traditore: «Ho appena chiesto al presidente federale di destituire il ministro federale delle Finanze. Mi sento obbligato a compiere questo passo per evitare danni al nostro Paese», ha esordito. Ha proseguito poi, affermando che «l'articolo 115 della Legge fondamentale prevede espressamente la decisione di superare il limite (del debito, ndr) in una situazione di emergenza eccezionale, che la coalizione aveva concordato alla fine dello scorso anno proprio per questo caso». Ma, ha detto Scholz, «non è questo che interessa a Christian Lindner in questo momento. Ha a cuore la propria clientela, ha a cuore la sopravvivenza a breve termine del suo stesso partito». Egli, ha proseguito, ha chiesto «riduzioni fiscali di miliardi di dollari per alcuni dei redditi più alti e allo stesso tempo tagli alle pensioni per tutti i pensionati. Non è decente». Lindner ha rifiutato l’accordo preparato da Scholz e dal ministro dell’Economia, il Verde Robert Habeck, a base di sussidi per l’energia, per l’auto, per investimenti industriali. La settimana scorsa un giornale aveva rivelato il contenuto del documento di discussione preparato dallo stesso Lindner. Un papello provocatorio, irricevibile dalle controparti socialdemocratica e verde, che chiedeva la rinuncia a sostenere i finanziamenti alla transizione green: no a deficit di bilancio, abolizione del fondo per il clima, cancellazione della data di uscita dal carbone, abolizione dell’obbligo delle pompe di calore e dei sussidi alle energie rinnovabili e molte altre cose.La crisi era inevitabile. Cosa succede ora? Scholz ha detto che «non esiste alcuna base di fiducia per un’ulteriore cooperazione», dunque chiederà un voto di fiducia che sarà calendarizzato per metà gennaio al Bundestag. Se non dovesse ottenerla (e con la maggioranza attuale non la otterrebbe), si andrebbe ad elezioni entro il mese di marzo. Jörg Kukies, consigliere di Scholz, sostituirà Lindner nel ruolo di ministro, mentre il ministro dei trasporti liberale, Volker Wissing, ha annunciato che rimarrà al suo posto, rompendo dunque con il suo partito Fdp. Nel frattempo, però, c’è la manovra finanziaria da approvare: «Cercherò ora molto rapidamente un dialogo con il leader dell’opposizione Friedrich Merz […] perché la nostra economia non può aspettare fino a quando non si terranno nuove elezioni».In sostanza, Verdi e Socialdemocratici resteranno in un governo di minoranza chiedendo il supporto della Cdu per far approvare la legge di bilancio 2025. Un azzardo, considerato che il nuovo leader della Cdu, Merz, sin qui non è apparso molto tenero sul progetto di bilancio presentato dall’ex governo semaforo. Ed anzi, ieri si è fatto sentire, proponendo di accelerare i tempi delle previste elezioni anticipate. Il leader della Cdu ha chiesto a Scholz di invocare il voto di fiducia entro pochi giorni, anticipando così di due mesi i tempi indicati dal cancelliere. Dunque, sui tempi della crisi regna l’incertezza.Al percorso accidentato dell’approvazione del bilancio 2025 si aggiunge per la ex maggioranza la prospettiva di andare a elezioni nel mezzo di una crisi economica che si aggrava di giorno in giorno (ieri il dato sulla produzione industriale di settembre: -2,5% sul mese, -4,6% sull’anno). Con Alternative für Deutschland attorno al 30% a Est, i Socialdemocratici e i Verdi, già ai minimi nei sondaggi, rischiano di finire con consensi a una cifra, lasciando campo libero alla Cdu (accreditata di un 32% nei sondaggi), che tuttavia non potrà governare da sola. L’unica coalizione possibile appare essere Cdu-Spd, il che però significherebbe aggiungere ancora un terzo soggetto alla maggioranza, che rischia di dimostrarsi dunque altrettanto instabile. Insomma, il Paese è nel caos politico ed economico. La crisi di governo in Germania si scatena sui contenuti della manovra e sul feticcio del freno al debito (Schuldenbremse), ma i fattori contingenti sono noti: crisi dell’auto ed energetica, manifattura a picco, consumi stagnanti, prezzi dell’elettricità (in questi giorni di nuovo alle stelle), tutti segnali di come l’ondata green sia stata imposta senza la coscienza di quanto sarebbe costata e di quanti investimenti sarebbero stati necessari. Senza sussidi e investimenti pubblici il Green deal non sta in piedi e la manifattura tedesca vacilla. La caduta del governo Scholz è la dimostrazione della contraddizione esistente tra transizione e rigore di bilancio. È un vicolo cieco da cui la Germania non uscirà neppure questa volta.Sulla caduta del governo è intervenuto anche Elon Musk: «Olaf è uno stupido», ha scritto su X.
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Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
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Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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