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2025-09-25
La sinistra fa un Salis-scendi sull’immunità
Ilaria Salis (Ansa)
«Per gli amici tutto, per i nemici la legge». Il vecchio, cinico motto di Giovanni Giolitti nella versione adattata ai tempi grami di Tangentopoli non passa mai di moda. Anzi rimane un principio assoluto nella lotta politica da basso impero. Ieri è stato allegramente evocato dalla sinistra, impegnata a fingere di difendere «la dignità delle istituzioni». Lo ha fatto Ilaria Cucchi, infastidita dalla decisione della Giunta per le immunità del Senato di dare parere favorevole sull’esistenza di un conflitto di attribuzione a Milano nel processo al ministro Daniela Santanchè.
Ora la parola passa all’Aula che voterà il 30 settembre, ma la senatrice di Avs ha già espresso il pollice verso, accompagnandolo con motivazioni da vestale di diritto costituzionale, a metà strada fra Nilde Iotti e Tina Anselmi. «Il voto di oggi non riguarda la carriera politica della ministra Santanchè», ha tuonato Cucchi. «Ma la dignità delle istituzioni e il rispetto della giustizia. La maggioranza ha scelto di piegare la Costituzione per evitare il processo a un’esponente di governo accusata di frode ai danni dello Stato. Così si tradisce la fiducia dei cittadini e si difendono solo privilegi di parte».
La spiegazione è dadaista perché al momento dell’intervento non erano ancora trascorse 24 ore dalla festa mobile che la stessa parte politica aveva inscenato per la mancata autorizzazione a procedere della commissione Affari legali dell’Eurocamera nei confronti di Ilaria Salis, compagna di partito di lady Cucchi, salvata dal processo di Budapest per un voto determinato da accordicchi di corridoio. La dignità delle istituzioni e il rispetto della giustizia, prostrati da esecrabili attentati del governo cattivo il mercoledì, erano rimasti intatti nel loro fulgore democratico il martedì quando faceva comodo agli okkupatori di abitazioni altrui, nonché sprangatori di manifestanti ungheresi troppo di destra per i gusti dei leonka di turno.
Ilaria Cucchi va capita. Per lei e per la cultura da comitato centrale della sua parte politica, garantismo e giustizialismo, con oltre due secoli di storie e ragioni contrapposte, non esistono. Sarebbe troppo complicato argomentarne le differenze, coglierne le sfumature. Esiste invece qualcosa di più elementare: gli amici devono danzare liberi, i nemici devono marcire in galera. Venerdì di magro e sabato trippa. Così la «dignità delle istituzioni» diventa un menù à la carte e il Parlamento un ristorante nel quale si cucina qualsiasi cosa in nome dell’ideologia. Di conseguenza, secondo la più manichea delle visioni del mondo progressista, Santanchè non dovrebbe utilizzare nessuno strumento che la legge le mette a disposizione.
La ministra, accusata di falso ideologico e truffa ai danni dell’Inps, sostiene che l’acquisizione di mail, chat e registrazioni da parte dei pm milanesi sia avvenuta senza l’autorizzazione preventiva, richiesta per i parlamentari proprio dall’articolo 68 della Costituzione. «La Procura ha utilizzato la trascrizione di conversazioni registrate da un privato, nascostamente», ha sottolineato Erika Stefani, senatrice della Lega che ha illustrato la vicenda davanti alla Giunta per le immunità. In questo caso le comunicazioni digitali non dovrebbero far parte degli atti processuali, allungando i tempi dell’eventuale rinvio a giudizio. La prossima udienza, con interrogatorio di Santanchè, è fissata il 17 ottobre. Da parte dell’accusa si fa notare che le conversazioni registrate da un cittadino non dovrebbero essere considerate intercettazioni. Insomma, materia per la Corte costituzionale.
Impegnata a galleggiare nello stagno delle contraddizioni, la Cucchi non accetta ulteriori distinguo e calca la mano: «Ecco un’altra pagina nera per la nostra democrazia. La destra si presenta come paladina degli italiani, ma ha scelto di proteggere sé stessa e non il Paese. Noi diciamo no, perché crediamo che onestà e credibilità vengano prima di qualsiasi poltrona». Anche qui, in nome degli alti principi giuridici, siamo al balletto delle convenienze. Il condannato Mimmo Lucano (Avs) non avrebbe creato alcun problema alla «dignità delle istituzioni» se candidato ed eletto in Calabria. Il gatto con gli stivali Aboubakar Soumahoro (ex Avs) rimane un genio dell’agricoltura bio. Invece per gli stessi irreprensibili custodi della Carta, Matteo Salvini meritava i ceppi per aver contrastato l’immigrazione clandestina. E Giuseppe Conte? Un bandito quando era a Palazzo Chigi con la Lega, un fulgido esempio di correttezza istituzionale da quando passeggia dentro il recinto del campo largo.
È il Cucchi style, quello che fece cacciare Silvio Berlusconi dal Senato (il pianeta rosso votò in blocco, Matteo Renzi si esibì nel triste «game over») e impedisce il ripristino dell’immunità parlamentare. L’equivoco perseguimento del tornaconto immediato è un male della sinistra dai tempi di Mani pulite, quando si convinse che i pm erano suoi grandi elettori e cominciò ad accarezzarne il pelo per garantirsi un viatico politico per via giudiziaria. Da allora tifare sguaiatamente per le manette altrui è diventato il suo sport preferito. Quanto alle proprie, chi le evoca è un fascista. Un atteggiamento meschino in capo al quale vale un altro vecchio e cinico motto: accarezzare il coccodrillo nella speranza di essere mangiati per ultimi.
Negare il processo alla deputata significa tradire l’ordinamento Ue
Il caso di Ilaria Salis, eletta al Parlamento europeo nel giugno 2024 nelle liste di Alleanza verdi e sinistra e iscritta al gruppo The Left, rappresenta un banco di prova cruciale per la comprensione dell’immunità parlamentare nell’ordinamento dell’Unione europea. La deputata, com’è noto, è sottoposta a procedimento penale in Ungheria per fatti risalenti al 2023, antecedenti alla sua elezione e privi di connessione con l’attività parlamentare. Alcuni giorni fa la Commissione per gli Affari giuridici (Juri) ha espresso parere contrario (non vincolante) alla revoca dell’immunità, con una maggioranza risicata (13 voti contro 12). Tale decisione, tuttavia, non è definitiva: la competenza spetta al plenum, che potrà deliberare in senso opposto nella prossima sessione. La disciplina applicabile è quella dell’articolo 9 del Protocollo n. 7 sullo Statuto dei deputati del Parlamento europeo, che estende loro le immunità riconosciute ai parlamentari nazionali. Questa prerogativa, però, non è concepita come privilegio personale, bensì come garanzia funzionale dell’indipendenza del Parlamento rispetto a indebite pressioni giudiziarie o politiche. La ratio è chiara: proteggere la funzione, non la persona in quanto tale.L’obiezione secondo la quale la revoca dell’immunità esporrebbe Ilaria Salis al rischio di strumentalizzazione politica da parte della giurisdizione ungherese, con conseguente compromissione della sua libertà parlamentare, non risulta così pregnante. L’argomento, infatti, appare eccessivamente dilatato. Se fosse accolto in via generale, allora qualunque procedimento penale contro un parlamentare dovrebbe essere sospeso per il solo timore di un uso politico della giurisdizione, con il risultato di trasformare l’immunità in uno scudo assoluto e permanente. In tal modo, l’istituto perderebbe la sua natura funzionale e degenererebbe in privilegio, negando il principio dell’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge.Nell’ordinamento dell’Unione europea, la Carta dei diritti fondamentali, inserita nel Trattato di Lisbona del 2007, assicura il diritto a un equo processo (articolo 47), con giudice indipendente e imparziale, ragionevole durata e diritto a un ricorso effettivo; la presunzione di innocenza e i diritti della difesa (articolo 48) sono poi rafforzati dalla Direttiva (Ue) 2016/343, che stabilisce standard minimi uniformi proprio in materia di presunzione di innocenza e diritto a presenziare al processo. A questo si aggiunga che, anche livello convenzionale, l’articolo 6 della Cedu (Convenzione europea dei diritti umani del 1950) ribadisce il diritto a un processo equo, pubblico e contraddittorio, con adeguate garanzie difensive. Tutti aspetti i quali si aggiungono agli strumenti di tutela interni all’ordinamento ungherese. In tale prospettiva, la situazione di Salis appare davvero paradigmatica. Poiché i fatti contestati sono anteriori all’elezione e del tutto estranei alla funzione parlamentare, non sussiste alcun nesso funzionale che giustifichi il mantenimento dell’immunità. Revocarla non significherebbe comprimere in alcun modo la libertà parlamentare, che riguarda il libero esercizio di parola, voto e deliberazione all’interno dell’assemblea, ma semplicemente consentire che la persona risponda, con tutte le garanzie, delle accuse mosse a suo carico. Al contrario, mantenere l’immunità in simili circostanze equivarrebbe a rovesciarne il fondamento, trasformando una garanzia dell’istituzione in un privilegio individuale contrario al principio di legalità.Il Parlamento europeo, chiamato a pronunciarsi in seduta plenaria ad ottobre, dovrà distinguere con rigore tra immunità e impunità. La prima tutela la funzione, la seconda la nega. Solo se la revoca verrà deliberata, si potrà dire che l’Unione ha mantenuto fede alla propria vocazione giuridica: essere ordinamento di libertà e responsabilità, in cui nessun mandato rappresentativo cancella il vincolo della legge comune e in cui il rispetto della funzione parlamentare non si traduce in immunità personale illimitata, restando strumento mirato a preservare la dignità e l’indipendenza dell’istituzione.
*Ssml/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma
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Gli stessi che hanno reso intoccabile la militante arruolata da Bonelli e Fratoianni si stracciano le vesti perché il Senato soccorre la Santanchè sull’uso improprio di alcune trascrizioni. La Cucchi, anche lei di Avs, ha la faccia tosta di tuonare: «Lese le istituzioni».I fatti contestati non c’entrano con l’attività parlamentare dell’esponente di The Left.Lo speciale contiene due articoli.«Per gli amici tutto, per i nemici la legge». Il vecchio, cinico motto di Giovanni Giolitti nella versione adattata ai tempi grami di Tangentopoli non passa mai di moda. Anzi rimane un principio assoluto nella lotta politica da basso impero. Ieri è stato allegramente evocato dalla sinistra, impegnata a fingere di difendere «la dignità delle istituzioni». Lo ha fatto Ilaria Cucchi, infastidita dalla decisione della Giunta per le immunità del Senato di dare parere favorevole sull’esistenza di un conflitto di attribuzione a Milano nel processo al ministro Daniela Santanchè.Ora la parola passa all’Aula che voterà il 30 settembre, ma la senatrice di Avs ha già espresso il pollice verso, accompagnandolo con motivazioni da vestale di diritto costituzionale, a metà strada fra Nilde Iotti e Tina Anselmi. «Il voto di oggi non riguarda la carriera politica della ministra Santanchè», ha tuonato Cucchi. «Ma la dignità delle istituzioni e il rispetto della giustizia. La maggioranza ha scelto di piegare la Costituzione per evitare il processo a un’esponente di governo accusata di frode ai danni dello Stato. Così si tradisce la fiducia dei cittadini e si difendono solo privilegi di parte».La spiegazione è dadaista perché al momento dell’intervento non erano ancora trascorse 24 ore dalla festa mobile che la stessa parte politica aveva inscenato per la mancata autorizzazione a procedere della commissione Affari legali dell’Eurocamera nei confronti di Ilaria Salis, compagna di partito di lady Cucchi, salvata dal processo di Budapest per un voto determinato da accordicchi di corridoio. La dignità delle istituzioni e il rispetto della giustizia, prostrati da esecrabili attentati del governo cattivo il mercoledì, erano rimasti intatti nel loro fulgore democratico il martedì quando faceva comodo agli okkupatori di abitazioni altrui, nonché sprangatori di manifestanti ungheresi troppo di destra per i gusti dei leonka di turno.Ilaria Cucchi va capita. Per lei e per la cultura da comitato centrale della sua parte politica, garantismo e giustizialismo, con oltre due secoli di storie e ragioni contrapposte, non esistono. Sarebbe troppo complicato argomentarne le differenze, coglierne le sfumature. Esiste invece qualcosa di più elementare: gli amici devono danzare liberi, i nemici devono marcire in galera. Venerdì di magro e sabato trippa. Così la «dignità delle istituzioni» diventa un menù à la carte e il Parlamento un ristorante nel quale si cucina qualsiasi cosa in nome dell’ideologia. Di conseguenza, secondo la più manichea delle visioni del mondo progressista, Santanchè non dovrebbe utilizzare nessuno strumento che la legge le mette a disposizione. La ministra, accusata di falso ideologico e truffa ai danni dell’Inps, sostiene che l’acquisizione di mail, chat e registrazioni da parte dei pm milanesi sia avvenuta senza l’autorizzazione preventiva, richiesta per i parlamentari proprio dall’articolo 68 della Costituzione. «La Procura ha utilizzato la trascrizione di conversazioni registrate da un privato, nascostamente», ha sottolineato Erika Stefani, senatrice della Lega che ha illustrato la vicenda davanti alla Giunta per le immunità. In questo caso le comunicazioni digitali non dovrebbero far parte degli atti processuali, allungando i tempi dell’eventuale rinvio a giudizio. La prossima udienza, con interrogatorio di Santanchè, è fissata il 17 ottobre. Da parte dell’accusa si fa notare che le conversazioni registrate da un cittadino non dovrebbero essere considerate intercettazioni. Insomma, materia per la Corte costituzionale. Impegnata a galleggiare nello stagno delle contraddizioni, la Cucchi non accetta ulteriori distinguo e calca la mano: «Ecco un’altra pagina nera per la nostra democrazia. La destra si presenta come paladina degli italiani, ma ha scelto di proteggere sé stessa e non il Paese. Noi diciamo no, perché crediamo che onestà e credibilità vengano prima di qualsiasi poltrona». Anche qui, in nome degli alti principi giuridici, siamo al balletto delle convenienze. Il condannato Mimmo Lucano (Avs) non avrebbe creato alcun problema alla «dignità delle istituzioni» se candidato ed eletto in Calabria. Il gatto con gli stivali Aboubakar Soumahoro (ex Avs) rimane un genio dell’agricoltura bio. Invece per gli stessi irreprensibili custodi della Carta, Matteo Salvini meritava i ceppi per aver contrastato l’immigrazione clandestina. E Giuseppe Conte? Un bandito quando era a Palazzo Chigi con la Lega, un fulgido esempio di correttezza istituzionale da quando passeggia dentro il recinto del campo largo.È il Cucchi style, quello che fece cacciare Silvio Berlusconi dal Senato (il pianeta rosso votò in blocco, Matteo Renzi si esibì nel triste «game over») e impedisce il ripristino dell’immunità parlamentare. L’equivoco perseguimento del tornaconto immediato è un male della sinistra dai tempi di Mani pulite, quando si convinse che i pm erano suoi grandi elettori e cominciò ad accarezzarne il pelo per garantirsi un viatico politico per via giudiziaria. Da allora tifare sguaiatamente per le manette altrui è diventato il suo sport preferito. Quanto alle proprie, chi le evoca è un fascista. Un atteggiamento meschino in capo al quale vale un altro vecchio e cinico motto: accarezzare il coccodrillo nella speranza di essere mangiati per ultimi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/salis-scendi-sullimmunita-2674032082.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="negare-il-processo-alla-deputata-significa-tradire-lordinamento-ue" data-post-id="2674032082" data-published-at="1758796326" data-use-pagination="False"> Negare il processo alla deputata significa tradire l’ordinamento Ue Il caso di Ilaria Salis, eletta al Parlamento europeo nel giugno 2024 nelle liste di Alleanza verdi e sinistra e iscritta al gruppo The Left, rappresenta un banco di prova cruciale per la comprensione dell’immunità parlamentare nell’ordinamento dell’Unione europea. La deputata, com’è noto, è sottoposta a procedimento penale in Ungheria per fatti risalenti al 2023, antecedenti alla sua elezione e privi di connessione con l’attività parlamentare. Alcuni giorni fa la Commissione per gli Affari giuridici (Juri) ha espresso parere contrario (non vincolante) alla revoca dell’immunità, con una maggioranza risicata (13 voti contro 12). Tale decisione, tuttavia, non è definitiva: la competenza spetta al plenum, che potrà deliberare in senso opposto nella prossima sessione. La disciplina applicabile è quella dell’articolo 9 del Protocollo n. 7 sullo Statuto dei deputati del Parlamento europeo, che estende loro le immunità riconosciute ai parlamentari nazionali. Questa prerogativa, però, non è concepita come privilegio personale, bensì come garanzia funzionale dell’indipendenza del Parlamento rispetto a indebite pressioni giudiziarie o politiche. La ratio è chiara: proteggere la funzione, non la persona in quanto tale.L’obiezione secondo la quale la revoca dell’immunità esporrebbe Ilaria Salis al rischio di strumentalizzazione politica da parte della giurisdizione ungherese, con conseguente compromissione della sua libertà parlamentare, non risulta così pregnante. L’argomento, infatti, appare eccessivamente dilatato. Se fosse accolto in via generale, allora qualunque procedimento penale contro un parlamentare dovrebbe essere sospeso per il solo timore di un uso politico della giurisdizione, con il risultato di trasformare l’immunità in uno scudo assoluto e permanente. In tal modo, l’istituto perderebbe la sua natura funzionale e degenererebbe in privilegio, negando il principio dell’eguaglianza di tutti dinanzi alla legge.Nell’ordinamento dell’Unione europea, la Carta dei diritti fondamentali, inserita nel Trattato di Lisbona del 2007, assicura il diritto a un equo processo (articolo 47), con giudice indipendente e imparziale, ragionevole durata e diritto a un ricorso effettivo; la presunzione di innocenza e i diritti della difesa (articolo 48) sono poi rafforzati dalla Direttiva (Ue) 2016/343, che stabilisce standard minimi uniformi proprio in materia di presunzione di innocenza e diritto a presenziare al processo. A questo si aggiunga che, anche livello convenzionale, l’articolo 6 della Cedu (Convenzione europea dei diritti umani del 1950) ribadisce il diritto a un processo equo, pubblico e contraddittorio, con adeguate garanzie difensive. Tutti aspetti i quali si aggiungono agli strumenti di tutela interni all’ordinamento ungherese. In tale prospettiva, la situazione di Salis appare davvero paradigmatica. Poiché i fatti contestati sono anteriori all’elezione e del tutto estranei alla funzione parlamentare, non sussiste alcun nesso funzionale che giustifichi il mantenimento dell’immunità. Revocarla non significherebbe comprimere in alcun modo la libertà parlamentare, che riguarda il libero esercizio di parola, voto e deliberazione all’interno dell’assemblea, ma semplicemente consentire che la persona risponda, con tutte le garanzie, delle accuse mosse a suo carico. Al contrario, mantenere l’immunità in simili circostanze equivarrebbe a rovesciarne il fondamento, trasformando una garanzia dell’istituzione in un privilegio individuale contrario al principio di legalità.Il Parlamento europeo, chiamato a pronunciarsi in seduta plenaria ad ottobre, dovrà distinguere con rigore tra immunità e impunità. La prima tutela la funzione, la seconda la nega. Solo se la revoca verrà deliberata, si potrà dire che l’Unione ha mantenuto fede alla propria vocazione giuridica: essere ordinamento di libertà e responsabilità, in cui nessun mandato rappresentativo cancella il vincolo della legge comune e in cui il rispetto della funzione parlamentare non si traduce in immunità personale illimitata, restando strumento mirato a preservare la dignità e l’indipendenza dell’istituzione.*Ssml/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma
Giuseppe Cruciani (Ansa)
Il professor Lorenzo Castellani, ricercatore e docente di storia delle istituzioni politiche presso la Luiss di Roma, nonché autore di Eminenze grigie. Uomini all’ombra del potere (2024), su X sintetizza così: «Checco Zalone ha spianato i petulanti stand up comedian (quasi tutti «impegnati» a sinistra); Corona sfida i media tradizionali con un linguaggio da uomo qualunque e fa decine di milioni di visualizzazioni; la Zanzara riempie i teatri ed è la trasmissione più ascoltata del Paese. Si è detto per anni che la sinistra sia egemone nell’alta cultura (vero, diciamo, all’80%), ma la «non-sinistra» (non la chiamerei semplicemente destra) ha interamente in mano la cultura e il linguaggio popolare».
Professor Castellani, quindi vorrebbe dirci che la cultura non è più solo ad appannaggio della sinistra?
«Se guardiamo alle istituzioni della cultura ovvero ai luoghi ufficiali della stessa è sempre la sinistra a primeggiare. Ma se guardiamo alla cultura in senso ampio, allora cambia tutto. L’alta cultura è predominante nelle istituzioni ufficiali della sinistra ma in altri ambiti l’ideologia di sinistra viene sconfitta da altre manifestazioni culturali che incontrano di più i gusti del Paese».
Si riferisce a Zalone?
«Certo, anche. Zalone è sempre stato apolitico, non ha mai ceduto al politicamente corretto. Fa un cinema che fa riflettere e non vuole indottrinare nessuno, non fa moralismi a senso unico come capita ad altri tipi di comicità di sinistra».
Sanremo è di destra o di sinistra? A volte legare la politica a certe forme di spettacolo non fa scadere nel ridicolo?
«Anche a Sanremo non c’è più una forma di piena differenziazione tra alta cultura e cultura nazionale popolare. A me piace parlare di cultura in senso ampio, non solo di alta cultura, la “Kultur alla tedesca”, che permea nel popolo e permette riflessioni ampie».
Di che tipo?
«Sembra sempre ci sia questa contrapposizione tra il mondo dell’alta cultura, cinema, teatri, fondazioni, fiere del libro, case editrici, think tank nelle università, dove c’è oggettivamente sempre il predominio della sinistra, del mondo progressista, nelle sue varie sfaccettature, e grandi fenomeni di cultura di massa dove prevale l’esatto contrario rispetto all’etica progressista e a quell’atteggiamento pedagogico-educativo e moralistico che il mondo di sinistra tende ad avere nei confronti del popolo. L’idea di fondo della sinistra è stata sempre quella che bisogna civilizzare gli italiani e portarli con la mano come bimbi verso comportamenti più virtuosi».
Ma oggi non è più così. Ci sono vari altri casi giusto?
«Esatto, abbiamo un Fabrizio Corona che su YouTube, con un linguaggio molto politicamente scorretto, attacca il potere in tutte le sue forme e ha un successo enorme. Lo fa in maniera qualunquistica ma è questo che piace alla gente. Si occupa di questioni di cultura di massa, fenomeni che riguardano il crime, il trash, che non rientrano certamente nell’alta cultura ma che creano fenomeni di massa che hanno più visibilità e rilevanza di certi argomenti che trattano tv o giornali».
E non è il solo.
«La Zanzara, che adesso riempie anche i teatri e che offre un interessante esperimento sociale. Cruciani e Parenzo sostengono tutto il contrario del catechismo del politicamente corretto, sicuramente molto al di fuori dei perimetri della cultura ufficiale di sinistra. Ma per questo funziona ed è un fenomeno molto partecipato».
Anche dalla sinistra stessa presumo.
«Certo. Io ci sono andato ed è pieno di studenti della mia università, dirigenti d’azienda, professori, è un fenomeno trasversale che ha conquistato pezzi della classe dirigente».
Insomma, la presunta alta cultura della sinistra è in crisi perché risulta noiosa al grande pubblico?
«Sicuramente la cultura in senso ampio arriva di più alla gente».
Un po’ come in politica?
«Certi politici usano linguaggi più semplici e diretti e vengono capiti più facilmente. È quello che succedeva a Grillo e oggi alla Meloni. Ci sono fenomeni di massa che vengono seguiti da milioni persone e che rigettano l’idea che ci sia una rigida morale comportamentale linguistica da seguire che invece appartiene alla sinistra».
Anche nella musica?
«Certo, le canzoni che hanno avuto più successo negli ultimi anni sono quelle vicine al genere trap, che parlano di consumismo, esaltano il machismo, usano linguaggi volgari e una completa assenza di morale, nulla a che fare con il mondo progressista. Però quelle canzoni arrivano e funzionano. Tanto è vero che anche Sorrentino nel suo ultimo film ha dato un ruolo centrale a Gue Pequeno e alle sue canzoni che fa cantare anche a Servillo».
Quindi la cultura appartenuta da sempre alla sinistra è in caduta perché non arriva più alla gente comune?
«Non credo che la destra debba sfidare la sinistra sull’alta cultura. Però penso che siano in atto nella cultura popolare di massa delle forme di anti-progressismo e anarchismo, dei movimenti spontanei che sono in contrasto con l’alta cultura principalmente di sinistra e che vengono maggiormente capiti dalla gente e da qui il loro enorme successo. C’è questo contrasto tra cultura ufficiale e quella di massa nazional popolare; due mondi che sembrano non parlarsi.
Per la sinistra è come un boomerang?
«In effetti il tentativo di indottrinare della sinistra ha prodotto una reazione ancor più forte nella destra. Più la sinistra ha cercato di catechizzare la gente, più questi fenomeni sono cresciuti. La regola di doversi comportare in un certo modo, oggi è più fallita che mai».
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Ignazio La Russa (Ansa)
È appena il caso di ricordare che La Russa nel 1971, ovvero la bellezza di 54 anni fa, era già responsabile a Milano del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi. «Era il 1946, il Natale era passato da un giorno», dice La Russa nel video, «la guerra era finita da poco più di un anno e un gruppo di uomini, che erano sconfitti dalla storia, dalla guerra, nella loro militanza che era stata per l'Italia in guerra, l'Italia fascista, non si arresero, ma non chiesero neanche per un attimo di tornare indietro. E pensarono al futuro, non tentarono di sovvertire con la forza ciò che peraltro sarebbe stato impossibile sovvertire. Accettarono il sistema democratico e fondarono un partito, il Movimento sociale italiano, che guardava al futuro. I fondatori ebbero come parola d'ordine un motto che posso riassumere brevemente: dissero non rinnegare, cioè non rinnegavano il loro passato, ma anche non restaurare, cioè non tornare indietro. Non volevano ripetere quello che era stato, volevano un'Italia che marciasse verso il futuro».
«Quello che è importante ricordare oggi», aggiunge ancora La Russa, «è che allora, 26 dicembre 1946, scelsero come simbolo la fiamma. La fiamma tricolore, la fiamma con il verde, il bianco e il rosso. Sono passati molti anni, sono mutate moltissime cose, è maturata, migliorata, cambiata la visione degli uomini che si sono succeduti, che hanno raccolto il loro testimone, anche con fratture importanti nel modo di pensare, ma quel simbolo è rimasto, un simbolo di continuità e anche un simbolo di amore, di resilienza si direbbe oggi, un simbolo che guarda all’Italia del domani e non a quella di ieri, senza dimenticare la nostra storia».
Un modo come un altro per far felici gli elettori di Fdi che sono rimasti fedeli al partito da sempre, e che magari non si ritrovano pienamente nel nuovo corso della destra italiana, soprattutto in politica estera, ma anche su alcuni aspetti della strategia economica e sociale del governo. Per garantire una buona presenza sui media del messaggio nostalgico di La Russa, occorreva però qualche attacco da sinistra, che è subito caduta nella trappola: «Assurdo. Il presidente del Senato e seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa», attacca il deputato del Pd Stefano Vaccari, «rivendica la nascita, nel 1946, del Movimento sociale italiano. Addirittura il senatore La Russa parla di continuità di quella storia evocando la fiamma tricolore, simbolo ben evidente nel logo di Fratelli d'Italia, il suo partito. Sapevamo delle difficoltà del presidente La Russa a fare i conti con il suo passato, visti i busti di Mussolini ben visibili nella sua casa, ma che arrivasse ad una sfrontatezza simile non era immaginabile». Sulla stessa lunghezza d’onda altri parlamentari dem come Federico Fornaro, Irene Manzi e Andrea De Maria, il deputato di Avs Filiberto Zaratti. Missione compiuta: La Russa è riuscito nel suo intento di riscaldare (con la fiamma) il cuore dei vecchi militanti missini, e di trascinare la sinistra nell’ennesima polemica completamente a vuoto.
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Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti, pubblicato sul sito web della mamma, Caterine Louise Birmingham (Ansa)
Non hanno alternative Catherine Birmingham e Nathan Trevallion, se non quella di passare al contrattacco visto che, giorno dopo giorno, sembrano scivolare sempre di più nella morsa dei giudici, dei periti e degli operatori della salute mentale. Oltre alle valutazioni sui minori da parte del servizio di neuropsichiatria infantile per individuare eventuali carenze, sono sotto esame le «capacità genitoriali» dei coniugi ma anche le loro propensioni «negoziali», troppo limitate secondo i servizi, e persino la loro personalità ritenuta «troppo rigida».
Non solo. Sebbene la famiglia abbia detto sì alle richieste del tribunale per spostarsi in una casa più adeguata, completare i cicli vaccinali, ricevere una maestra a domicilio per il percorso di home schooling, cercando dunque una mediazione tra la propria filosofia educativa e le richieste dello Stato, gli sforzi non sono bastati. E l’asticella è salita sempre più in alto. Quindi non rimane che provare a smontare le accuse. E così, dopo che lo scorso 19 dicembre, la Corte d’Appello ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza, il giorno prima di Natale, i legali della famiglia, Marco Femminella e Danila Solinas, hanno deciso di controbattere ad alcuni dei punti dirimenti per i giudici.
Uno su tutti il rifiuto del sondino naso-gastrico nel trattamento dell’intossicazione da funghi dei figli in occasione del ricovero in ospedale nel settembre 2024, verosimilmente per via del materiale plastico. Un episodio significativo per i giudici in quanto «denoterebbe l’assoluta indisponibilità dei genitori a derogare anche solo temporaneamente e in via emergenziale ai principi ispiratori delle proprie scelte esistenziali». Per tutta risposta, gli avvocati hanno allegato alcune foto dei bambini mentre mangiano un gelato utilizzando cucchiaini di plastica, dunque smentendo l’iniziale resistenza da parte della madre nei confronti di certi oggetti. In altre immagini i piccoli giocano nel centro commerciale e sono al parco in compagnia di alcuni coetanei. Anche qui scene di «normalità» per smontare il ritratto apposto dai giudici alla famiglia, descritta come un gruppo di eremiti avulsi dai contesti sociali.
In un altro scatto si lavano le mani nel bagno di un locale pubblico. L’ennesima immagine che sconfesserebbe il teorema dei servizi secondo cui i piccoli Trevallion avrebbero paura della doccia e rifiuterebbero di lavarsi.
Nell’istanza i legali rispondono anche alle accuse rivolte contro la madre australiana, descritta come incline allo scontro con gli operatori. Secondo i legali, alla base del giudizio negativo dei servizi sociali vi sarebbe frizioni con l’assistente sociale che avrebbe interpretato come oppositivi alcuni suoi comportamenti. In particolare l’abitudine di svegliare i bambini la mattina prima dell’orario prestabilito. Un’accusa respinta con forza dalla madre che dice di passare solo a controllarli. Qualora dormano, spiega, si reca in cucina per preparare il porridge, per restituire ai figli un’atmosfera di casa. A quanto pare, peraltro, il più delle volte i fratellini sono già svegli perché non dormono bene.
Come rivelato da Il Centro, in alcuni messaggi inviati agli amici, la madre si dice preoccupata perché hanno delle ferite alle mani, in particolare la più grande. «Si mordono di continuo, è segno di un’ansia profonda», scrive.
Nel frattempo, in vista dei test psicologici, i legali hanno nominato come consulenti di parte la psicologa Martina Aiello e lo psichiatra Tonino Cantelmi, cattolico militante e professore associato all’Università Gregoriana che nel 2020 era stato individuato da papa Francesco come «membro del dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale». Per il suo curriculum, oltre a sostenere la coppia nelle valutazioni psicologiche disposte dal tribunale, potrebbe accompagnarla nell’assunzione di una posizione meno radicale. Per i test, però, ci vorranno almeno 120 giorni. Altri quattro mesi in cui i piccoli dovranno stare nella casa famiglia.
Uno scenario di fronte al quale uno dei commenti più duri arriva dal vicepremier Matteo Salvini: «Non avrò pace fino a che non troveremo il modo legale di riportare a casa quei bimbi. Oggi 16.000 famiglie italiane hanno scelto l’home-schooling, che facciamo, li portiamo via tutti perché qualcuno ritiene che i bambini siano dello Stato? È orribile e sovietico. Non socializzavano o potevano diventare dei bulli? Chi dice queste cose vada sulle metro o in certe periferie e faccia due chiacchiere con i tredicenni armati di coltello che fanno stupri di gruppo: magari hanno avuto tanta socialità, però non hanno mai incontrato un assistente sociale».
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