2024-05-17
«I salari non crescono se non cambia l’Ue»
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (Ansa)
I sindacati stimolati dalle frasi di Giancarlo Giorgetti: c’è chi evidenzia i problemi interni, ma tutti chiedono una svolta in Europa. Luigi Sbarra (Cisl): «Il Patto di stabilità va modificato». Paolo Capone (Ugl): «Penalizzati dall’euro». Gianluca Ficco (Uil): «L’austerità svaluta gli stipendi».In un dibattito politico ideale, libero dalle sterili polemiche quotidiane dei partiti, la necessità di aumentare il potere di acquisto dei salari dovrebbe rappresentare il tema dei temi. In Europa e in Italia in particolar modo. Del resto, basta vedere il recente rapporto Ocse per rendersene conto: considerando l’inflazione, le retribuzioni medie degli italiani non solo sono diminuite rispetto al 1990, ma hanno accentuato il calo tra il 2021 e il 2022 precipitando del 7,3%. Il tema è ancora più interessante, perché mai come in questo caso si parla di un lasso temporale talmente esteso che è difficile dare le colpe solo a una parte politica. Insomma, quale occasione migliore per comprendere i motivi di questa drammatica «leggerezza» delle buste paga e cercare di porre rimedio? Deve esserselo chiesto anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che rispondendo a una domanda del direttore Maurizio Belpietro al «Giorno della Verità», il convegno organizzato dal nostro giornale, ha evidenziato che «i salari non crescono in Italia perché di fatto attraverso questo strumento si compensa quello che è ormai impossibile fare con la svalutazione competitiva della moneta, che appunto ripristinava condizioni di competitività». Effetto collaterale dell’euro? «Certo». In altre parole: non potendo svalutare la moneta, si è acquisita competitività tagliando i salari. Tema enorme. Perché se come ha ammesso recentemente l’ex premier Mario Draghi, riferendosi all’Europa, «abbiamo perseguito una strategia deliberata volta a ridurre i costi salariali gli uni rispetto agli altri [...] Minando il nostro modello sociale», bisogna far di tutto per invertire la tendenza innanzitutto nei processi europei che partono dalla rigidità delle regole (Patto di stabilità) e arrivano alle miopie ideologiche stile Green deal. A tre giorni dalle importanti dichiarazioni di Giorgetti, La Verità ha provato a sentire i sindacati, che al tema dei salari dovrebbero essere particolarmente interessati: cosa pensano delle parole del ministro (e di Draghi)? «Gli ultimi due rinnovi del contratto collettivo», spiega alla Verità Gianluca Ficco, responsabile automotive e segretario nazionale Uilm, «hanno portato aumenti salariali significativi. In particolare l’ultimo rinnovo di marzo 2023 ha sancito un aumento dell’11,3% della paga base e di circa il 30% dei premi. Tuttavia anche nell’auto, come più in generale nel mondo del lavoro, si pone il problema di fondo del potere di acquisto degli stipendi, non solo a causa delle fiammate inflattive del recente passato, ma anche e soprattutto delle politiche liberiste che sono state portate avanti per decenni. Basti pensare alle famigerate politiche di austerità e di svalutazione salariale perpetrate in sede europea, con cui forse si provava a bilanciare gli squilibri della unione monetaria, ma con cui in concreto si innescavano circoli economici viziosi e si impoverivano i lavoratori, ricalcando in parte il noto copione del ciclo di Frenkel (gli squilibri creati, per esempio, dalla dollarizzazione dell’Argentina, ndr)». Guarda ai problemi interni il segretario della Cisl Luigi Sbarra: «Siamo un Paese», ricorda il sindacalista, «con una crescita economica ancora insufficiente e non omogenea che taglia fuori larghe fasce di popolazione, con un persistente squilibrio territoriale tra Nord e Sud, ed una bassa natalità. Bisogna spingere la crescita costruendo le condizioni di un patto tra governo e parti sociali con l’obiettivo di aumentare salari e produttività, ridurre fortemente la tassazione su lavoro e pensioni, rinnovare tutti i contratti, favorire gli investimenti pubblici e privati, velocizzare l’attuazione del Pnrr, investire molto di più su capitale umano, formazione delle nuove competenze, innovazione, sanità, scuola». «Bisogna costruire una vera politica comune in Europa», secondo Sbarra, «e va cambiato il Patto di stabilità centrato oggi su profili e logiche di rigore finanziario. Dobbiamo rilanciare l’impegno su tutela, qualità e sicurezza del lavoro a partire dalla proroga del fondo Sure». Morale della favola: se non cambiano le cose in Europa è improbabile che l’eventuale patto di unità nazionale possa da solo riportare la crescita sopra il 2% e di conseguenza rimpolpare i nostri magri salari. «Il problema dei bassi stipendi», conclude il segretario dell’Ugl Paolo Capone, «si risolve dando sostegno alla contrattazione collettiva e non escludendo la possibilità di dialogo tra le parti. Il salario minimo legale è un bluff, un compromesso al ribasso, che rischia di rivelarsi dannoso per i lavoratori peggiorando i salari mediani e depotenziando la contrattazione collettiva. Il problema dei bassi salari, come opportunamente osservato dal ministro Giorgetti, va anche ricondotto alla perdita di sovranità monetaria dell’Italia. L’impossibilità di svalutare la lira, infatti, ha indotto le imprese a compensare la perdita di tale strumento competitivo riducendo i salari. È necessario, pertanto, ridiscutere i principi su cui si fondano gli attuali Trattati europei al fine di garantire una piena e buona occupazione».