2024-09-29
Roma Tre si nasconde: laboratorio baby gender in un luogo segreto
L’ateneo, travolto dalle critiche, svolge la sua attività senza dire dove E senza spiegare chi l’abbia voluta. Pro Vita consegna 35.000 firme.«L’incontro c’è stato ma non possiamo dire dove. Ragioni di riservatezza». Arriva solo in tarda mattinata, e dopo molte insistenze, la risposta ufficiale da parte degli addetti stampa dell’Università di Roma Tre. Il laboratorio per bambin* trans e gender creative dunque si sarebbe tenuto ma rigorosamente solo per le sette famiglie coinvolte nel progetto, bambini tra i 5 e i 14 anni, e i ricercatori. Tutto a porte chiuse ed evidentemente lontano da occhi indiscreti, visto che per ore la segretaria del dipartimento di scienze della formazione nei pressi di Roma Termini si premura di tenere il cancello chiuso. «Scusate, ma ci hanno detto che oggi ci potrebbero essere contestazioni». All’esterno l’ingresso è tappezzato di cartelli «smash transgender rieducation» (distruggi la rieducazione transgender) e la segretaria all’ingresso dell’Università ci conferma che il laboratorio doveva tenersi proprio qui, in via del Castro Pretorio 20, perché «erano state prenotate due sale a partire dalle 9». Alle 10 però, orario d’inizio, ancora non si è visto nessuno dell’organizzazione, tantomeno dei partecipanti. All’ingresso del Dipartimento ci sono invece una decina di persone tra curiosi, giornalisti e famiglie che chiedono informazioni. Una mamma si presenta con due gemellini maschi di 5 anni. Uno si chiama Alessio, l’altro Luca, ma è vestito da bambina. Ha i capelli a caschetto, un abitino azzurro sopra dei leggings rosa e indossa dei sandalini con le paillettes. «Ho sentito di un laboratorio ludico-ricreativo e avrei voluto partecipare», ci dice la donna mentre un’altra scuote la testa: «I minori andrebbero lasciati stare». La madre sospira, spiega che con Luca non è facile, vuole essere chiamato Beatrice e indossa solo vestiti da bambina. Dice che la terapeuta le ha consigliato di assecondarlo ma vorrebbe avere qualche parere in più e sperava di poterlo trovare oggi. In un’altra sede del Dipartimento della formazione, un gruppo di Forza Nuova espone degli striscioni con lo slogan «giù le mani dai bambini». Dicono che l’incontro è stato spostato in questa sede ma anche qui il personale del Dipartimento non parla o dice di non sapere. Un silenzio che stupisce visto che fino all’altro giorno, il rettore dell’Università Roma Tre, Massimiliano Fiorucci, aveva difeso l’iniziativa come una «ricerca per esplorare territori di confine, lungo i quali non ci sono consolidate conoscenze adeguate», con tanto di benedizione del Comitato etico. Un’investitura della quale l’ufficio stampa sembra ben poco convinto in realtà, dato che come ci spiega, l’incontro non nasce come una iniziativa dell’Università Roma Tre e il volantino non sarebbe nemmeno dovuto uscire. Il testo della locandina sembra infatti un tantino vago, si legge che a condurlo ci sono ricercatori non meglio precisati, un’altrettanto non meglio precisata «insegnante montessoriana», mentre l’unico nome indicato per informazioni e adesioni è quello di Michela Mariotto.La Mariotto è titolare di un assegno di ricerca del Dipartimento di Scienze della formazione ma curiosamente, il curriculum viene caricato sul sito di Roma Tre proprio venerdì, giusto 24 ore prima del laboratorio e solo in seguito alla richiesta di trasparenza inviata da Gianfrancesco Vecchio, docente di diritto privato presso l’Università di Cassino e collaboratore del «Comitato difesa minori». «Stiamo provvedendo a rendere pubblico il curriculum dell’assegnista», gli risponde via mail la segreteria di coordinamento del rettore il 27 settembre.Scorrendo il cv della Mariotto, si scopre che la ricercatrice ha la cittadinanza italiana e canadese, che dal 2016 lavora tra l’Italia e la Spagna come consulente per l’affermazione della diversità di genere e sessuale, per il contrasto delle discriminazioni delle persone Lgbtqi+ e si occupa di accompagnamento alle famiglie di giovani con varianza di genere. Lavora inoltre alla produzione di materiale informativo per le scuole ed è fondatrice di GenderLens, «la prima associazione in Italia che si occupa di diversità di genere e sessuale nell’infanzia e nell’adolescenza», da cui è nata l’idea del laboratorio. Prima di approdare a Roma Tre, la Mariotto aveva partecipato, senza successo, anche a un bando per un assegno di ricerca presso l’università di Padova dal titolo «Genere, violenza, resilienza ed empowerment negli spazi sociali», ma con un punteggio di 52/100 punti era arrivata solo terza. A Roma Tre invece deve essere andata meglio e a quanto pare ha trovato il terreno giusto per portare avanti i suoi studi sull’infanzia trans, tema anche di una tesi di dottorato presso l’università di Barcellona, e cercare di svecchiare l’Italia. In una intervista di qualche anno fa spiegava infatti che l’Italia sarebbe schiacciata da una cultura cattolica e retrograda che di fatto ostacola il diritto dei minori a cambiare il nome sui propri documenti, inclusi quelli scolastici, alla somministrazione dei bloccanti così come agli ormoni sessuali. Una situazione, a detta della ricercatrice (in una vecchia intervista), lontana anni luce dalle avanguardie della Spagna di Zapatero o dalla creatività degli americani, dove i bambini possono essere «indipendent gender», «creative gender» o perché no, persino «gender smoothie», frullatone di genere, spiegava la Mariotto in un’intervista sulla fluidità di genere. Intanto, l’associazione Pro Vita e Famiglia, guidata da Jacopo Coghe, ieri mattina si è recata davanti al rettorato per consegnare 35.000 firme al rettore. Una consegna simbolica, avvenuta via Pec, ma accompagnata dalla richiesta al Comitato etico di pubblicare il verbale dell’approvazione del laboratorio. «Cittadini e famiglie hanno il diritto di sapere su quali basi, argomenti e presunte evidenze scientifiche il Comitato ha detto sì a questo iniziativa, che tra l’altro per stessa ammissione del rettore, sembra un esperimento. Sulla pelle di bambini».
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.