2025-05-05
Saviano piange, ma è vittima solo del suo vittimismo
Roberto Saviano (Imagoeconomica)
Roberto Saviano non è uno scrittore: è un martire. Di lui passeranno alla storia non i libri, ma la via crucis che ha dovuto percorrere e che ieri ha rivelato al Corriere della Sera, facendosi intervistare dal giornale per cui scrive e che lo paga.Uno scrittore che si è fatto carne. Ovviamente da macello. Però ben retribuita, e tuttavia i soldi e la fama, per un destino cinico e baro toccatogli in sorte, non gli consentono una vita normale. Già lo vediamo: la sera gli altri vanno a divertirsi, come Scalfari andava a via Veneto, lui no. Lui è costretto a stare a casa. In una gabbia. Che pur essendo dorata lo consuma. E al mattino, alle 5, il brusco risveglio: un’altra dura giornata da martire lo attende. Una vita di merda, per dirla con Philip Roth. Che Saviano ovviamente ha conosciuto e con cui si è fatto un selfie. Ah, dimenticavo: l’autore di Gomorra, oltre ad avere molto sofferto per la sua condizione di recluso speciale, ha anche molto vissuto e dunque ha girato il mondo e frequentato scrittori, i cui nomi abitualmente cita con grande familiarità. Sì, perché lui è un detenuto che viaggia: lascia intendere di essere una specie di Silvio Pellico, anzi un tipo alla Solgenitsin, ma al contrario del premio Nobel che scrisse Arcipelago Gulag mentre stava in Siberia, lui non sta al fresco. Cita gli intellettuali russi, turchi, iraniani, che rischiano la vita o sono minacciati di marcire in galera il resto dei loro giorni, ma una volta viene ripreso a Manhattan che si aggira tra i ragazzi di Occupy New York, un’altra sta a spasso per festival in Germania o nei Paesi nordici. Dunque, dove sta la reclusione? Da quanto si capisce, la sua è una prigione esistenziale. In pratica, è vittima del suo vittimismo. La famiglia? Per colpa sua è dovuta emigrare e, come quasi molti emigrati, invece di «aprirsi si sono isolati». D’accordo, qualche milione di meridionali nel corso dell’ultimo secolo ha fatto le valigie e non tutti si sono sentiti a casa propria, ma non per questo ne hanno fatto un dramma. Saviano sì. Anzi, forse ne farà un libro. In attesa, parla di Napoli, respingendo l’accusa d’averla sputtanata in giro per il mondo. Anzi, quasi quasi rivendica il titolo di ambasciatore del capoluogo campano, per averlo fatto conoscere ovunque: «Ci vogliono venire tutti. Io ho acceso una luce, la luce del cambiamento». E ovviamente non è stato facile, perché questo ha richiesto un prezzo altissimo. Anche i diritti d’autore, per i libri e per le serie tv sono stati altissimi, ma quelli non sono classificati come prezzo, bensì come redditi e in un’intervista intimistica è meglio non parlarne.Aldo Cazzullo, che ha intervistato il collega, a un certo punto sembra averne abbastanza e gli rifila uno sganassone: «Lei non è all’ergastolo». Saviano barcolla. Ammette, sì, è in libertà, ma subito si riprende: «È vero, ma vivo la mia situazione come se lo fossi. Vivo recluso, senza vederne la fine. La sera di Pasqua i miei parenti, i miei amici, mi hanno tenuto compagnia fino alle 7 di sera. Poi sono usciti per Napoli, hanno fatto le 4 del mattino. Ma io ho dovuto restare a casa da solo. Simbolo della mia esistenza». «È così anche per l’amore?», incalza senza pietà Cazzullo. «Soprattutto per l’amore. Quando voglio bene a una persona, quando una persona mi vuole bene, il rapporto è sabotato. Lei ti saluta, esce, e tu resti chiuso». Insomma, il povero Saviano soffre le pene dell’inferno a non poter andare in discoteca e neppure, come Scalfari, la sera in via Veneto. La vita reclusa ha sempre un solo odore, commenta. «La frase peggiore che chi vive così possa ascoltare è “stare con te non dà più leggerezza, ma pesantezza”». Da quel che si capisce, la ragazza l’ha mollato e lui non soltanto non se ne fa una ragione, ma dà la colpa alla camorra. È colpa della vita di merda (copyright Philip Roth dice Saviano) che è costretto a fare, non sua. Alla fine l’autore di Gomorra confessa di aver anche pensato al suicidio, ma per dirlo usa le parole di Majakovskij, non di uno qualsiasi. E commenta: penso di aver sbagliato tutto.In conclusione della lunga e penosa confessione però si capisce la ratio dell’intervista. A breve uscirà un nuovo libro dello scrittore, che per l’appunto è imperniato sull’amore. Storia di una ragazza che si è innamorata della figlia di un boss calabrese. E dunque tutto si spiega. Anche se resta una domanda: ma perché Maurizio Costanzo, che pure è vissuto per anni sotto scorta e per ammazzare il quale la mafia non esitò a piazzare una bomba in via Fauro, a Roma, non se la tirava come Saviano? Nonostante l’attentato, ogni giorno andava in trattoria e ogni sera al teatro Parioli e di certo non è campato facendo la vittima.
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