2025-05-25
Lo squalo elegante che fa i soldi per noia
Francesco Micheli (Imagoeconomica)
Pianista per diletto, già maschera della Scala, entra nella finanza nel 1960 da principiante «di sinistra». Poi si fa un nome per i suoi blitz contromano dai quali esce sempre pulito, un secondo prima che inizi la rissa. Memorabili i suoi assalti temerari a Enrico Cuccia.
Pianista per diletto, già maschera della Scala, entra nella finanza nel 1960 da principiante «di sinistra». Poi si fa un nome per i suoi blitz contromano dai quali esce sempre pulito, un secondo prima che inizi la rissa. Memorabili i suoi assalti temerari a Enrico Cuccia.Cognome e nome: Micheli Francesco. Il capitalista riluttante, titolo della sua autobiografia, per Solferino editore. L’aggettivo sta per «restio, ritroso, ricalcitrante». Insomma: uno che non vorrebbe, ma deve. Cosa? Diventare ricco, così, a occhio.Un’escalation, tra Scala e scalate.«Non faccio mai un’operazione per soldi. Solo quelle che mi divertono. Che spesso fanno guadagnare di più», quando si dice il caso.Entrato in Borsa nel 1960, a 22 anni, «non distinguevo un’azione da un’obbligazione». Impara in fretta.In pochi anni «guadagnavo una follia, a bocca di cannone. Io, che avevo fatto molti mestieri e prendevo 500 lire da comparsa alla Scala per arrotondare» (così a Maria Luisa Agnese per Sette, con cui si è ironicamente autoassolto: «Brigante, ma solo un po’»). Franz la Volpe. Ma non un furbetto del quartierino.A 87 anni ha aperto la cassetta di sicurezza dei ricordi.Citando, da agnostico, il fisico ungherese Leó Szilárd: «Scrivo per informare Dio delle mie azioni. Anche se le conosce già, non ha sentito la mia versione. Da uno di campagna», dichiarazione che conferma la propensione all’understatement: niente enfasi, zero retorica. Dal padre Umberto - professore al Conservatorio di Milano e compositore in proprio, cui ha intestato, dal 1994, il Concorso pianistico internazionale - ha ereditato la passione per la musica.C’è ancora chi parla con ammirazione dello sbalorditivo pianoforte a coda, anzi a supercoda, un Bösendorfer viennese, unico con quattro tasti in più, quelli neri dei bassi, al centro della sua magione negli anni Ottanta.«Finanziere simpatico e vincente», così il mio mentore Giampaolo Pansa, ne Il malloppo, Rizzoli 1989, quando Micheli era «azionista e vicepresidente di Finarte, la pregiata casa d’aste», 150 miliardi di lire di fatturato.Micheli e i suoi blitz, compiuti «spesso contromano, sempre controcorrente, tagliando anche qualche curva».Senza scottarsi mai, grazie all’abilità di «uscire dal saloon prima che inizi la sparatoria». Neppure tanto un modo di dire.Il suo «gancio» nel Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, il direttore generale Roberto Rosone, nell’aprile 1982 sopravvisse infatti ai colpi del killer, Danilo Abbruciati della Banda della Magliana, che -colpito da un vigilante - invece rimase ucciso.Lo stesso Calvi finirà «suicidato» a Londra il 18 giugno successivo.Nessuna responsabilità o coinvolgimento di Micheli in tali storiacce, sia chiaro.In cui si ritrovò nel 1981 perché contattato da Cdb, Carlo De Benedetti, che voleva collocare un pacco di titoli Cir e Olivetti rimastigli sul groppone, dopo un aumento di capitale coinciso con il crollo della Borsa.Micheli, via Rosone, fa arrivare la proposta a Calvi, che rilancia: «Insieme si potrebbe fare molto di più».E, oplà, ecco Cdb nel Banco (da cui uscirà repentinamente), con Rosone entusiasta: «Io, il De Benedetti e il Cecco Micheli siamo come un triangolo d’amanti!».«Calvi faceva comodo a tutti, era l’uomo di cui il sistema aveva bisogno per tenere in vita e custodire una specie di pattumiera finanziaria nazionale», annoterà poi Micheli.Cui Cdb era arrivato perché si era già fatto un nome a Piazza Affari. Dove era approdato da «giovanotto di sinistra», ipse dixit: «Sono un ottimista. Attento e curioso. Avevo il desiderio di vedere un mondo che consideravo dall’altra parte della barricata, la stanza proibita. Per capirne i meccanismi e le cose che vi avvenivano».Va a scuola da Aldo Ravelli, il re (ribassista) della Borsa.Una volta capite le regole del gioco, e intascati i primi quattrini, si stufa: «Avrei potuto starmene lì una vita e portare a casa una montagna di soldi. Però l’accumulazione non è mai stato lo scopo della mia esistenza. La Borsa è come il mercato del pesce di Piombino. Se sei bravo a vendere triglie, come fai a mollare il banco? Ma io l’ho mollato!». Va a Roma, ma nel 1971 torna a Milano.Alla corte della Montedison di Eugenio Cefis, uno dei due padroni d’Italia (l’altro era Gianni Agnelli).Si ritrova nella «banda degli gnomi» dell’amministratore delegato per la finanza Giorgio Corsi: «A Foro Bonaparte eravamo un corpo separato, dovevamo portare a casa quel che serviva per pagare un dividendo agli azionisti. L’abbiamo fatto. E professionalmente me ne vanto. Sì, speculavamo sulla Borsa, sui cambi, sulle materie prime. Ma cos’è il mercato finanziario senza speculazione? Un night club senza ragazze!».Lascia la Montedison nel 1976, in rotta di collisione con Enrico Cuccia, il demiurgo dei «salotti buoni» (a far soldi, con i commensali che sanno stare a tavola, ma pugnalandosi alle spalle, se càpita). Non sopportava che Cuccia calunniasse Cefis dopo le sue dimissioni.Lo vendicherà, facendo barcollare il padre-padrone di Mediobanca con un uno-due micidiale.Tanto da far esclamare all’Avvocato: «Bi-Invest humanum, Fondiaria diabolicum».«Mi usi una cortesia: non mi definisca uno scalatore. L’operazione Bi-Invest, nel 1985, la poteva capire chiunque, una cosa da manuale», così a Pansa.La società di Carlo Bonomi era da tempo considerata contendibile. Ma nessuno era così pazzo da voler colpire al cuore una colonna dell’establishment ambrosiano, legata agli Agnelli e nell’orbita di Cuccia.Micheli se ne infischiò. Cominciò a rastrellare azioni.Chi è il compratore?, s’interrogavano tutti. Noi no, rispose Cesare Romiti - per conto della Fiat - al blasonato principe del Foro Guido Rossi, nel 1987 senatore eletto con la Sinistra indipendente, avvocato di Bonomi.A Romiti l’arcano fu svelato da Mario Schimberni, capo della Montedison (controllata da Bi-Invest): l’utilizzatore finale c’est moi. «Mi hanno offerto 26 milioni di azioni per 182 miliardi di lire. Ma ho chiesto di arrivare fino a 250 miliardi», aggiunge davanti a un basito Romiti, che lo bi-investe: «Sleale! Scorretto! Stai scalando il tuo azionista!».Per poi trasecolare quando apprende che il consigliori di Schimberni è... Guido Rossi! Romiti: «Caddi dalle nuvole: ma come, il professor Rossi? A me risulta stia assistendo Bonomi...», così Pansa in Questi anni alla Fiat, Rizzoli 1988.Rossi, un consulente che andava dove lo portava l’iban.Al punto di presentare a Micheli (che per lui spende parole affettuose) una parcellina da 5 miliardi di lire in quanto avvocato delle due parti in gioco - aridanga - in un altro risiko: «Alla fine ci accordammo per la metà, comunque una cifra spropositata».Quando? In occasione dell’«operazione più eclatante della mia vita»: la cessione della Ras di Giampiero Pesenti al gruppo tedesco Allianz, nel 1986. Dopo di che, affonda il colpo con Mediobanca scalando - su incarico di Schimberni - la compagnia assicurativa Fondiaria, che Cuccia considerava la luce dei suoi occhi.Micheli. Bon vivant. Pianista provetto.Danè e cultura. Ideatore nel 2007 di MiTo, il Festival internazionale della musica, con il gemellaggio tra Milano e Torino, e il sostegno dei due sindaci (di sponde politiche opposte), Sergio Chiamparino e Letizia Moratti.Micheli interlocutore privilegiato su tanti fronti.Mondadori, con l’acquisizione di Rcs Libri, si ritrova in pancia la Bompiani.Di cui è direttore editoriale Elisabetta Sgarbi, che propone un accordo a Ernesto Mauri: il 49% a voi, il 51% a Umberto Eco e a un socio né editore né «ostile» a Silvio Berlusconi e famiglia.Chi? Ma Micheli, no.Da Segrate replicano (via Micheli): ok, ma il 51% rimane a noi. Ipotesi seppellita da Eco: «Va bene tutto, ma finanziare la Mondadori anche no», e fu così che nacque La nave di Teseo.Anche nel business ci vuole orecchio, e Micheli si è sempre dimostrato al passo coi tempi.Nel 1999, cavalcando lo sviluppo tecnologico, cablaggio e fibra ottica, con e.Biscom, società che diventerà Fastweb. Nel 2004, buttandosi su genomica e ricerca con Genextra, quotata al Nasdaq «con un successo multiplo rispetto a Fastweb». Azioni offerte a 5 dollari, arrivate a 400.«La mia regola è sempre stata: in caso negativo cadere dal basso. E, otto volte su dieci, mi è andata bene».In chiusura di libro, i ringraziamenti. Una legione di quasi 300 nomi.Compilation suggestiva. Per chi c’è. Ma pure per chi non c'è.Per dire: Ferruccio De Bortoli, Franco Debenedetti e Luca Cordero di Montezemolo in lista.Paolo Mieli, Cdb e Diego Della Valle no. E poi: Carlo Feltrinelli ed Elisabetta Sgarbi presenti, però Micheli non ha pubblicato con loro, bensì con Solferino, che è di Urbano Cairo. Il cui nome però non compare (quello del direttore del Corsera Luciano Fontana invece sì).Gli altri? Giovanni Bazoli e Melania Rizzoli. Luigi Bisignani ed Edmondo Bruti Liberati. Fedele Confalonieri e Roberto D’Agostino. Luca Zaia e Giuseppe Ayala. Sandra Carraro e Claudio Descalzi. Gianni Letta e Claudio Costamagna. Elisabetta Sgarbi e Fabrizio Palenzona...Marco Tronchetti Provera, amico di vecchia data (in elenco): «Micheli talvolta è entrato nelle situazioni in modo fragoroso, ma ne è sempre uscito con eleganza».Lui: «Sono della Bilancia, uno che ama restare in buoni rapporti con tutti». Visto il «c’era questo, c’era quello», lo si poteva vagamente intuire.