2022-07-15
Una risata distrugge la psicosi virus. Si può fare satira anche sul vaccino
Jim Breuer (Getty Images)
Il comico americano Jim Breuer si è speso contro «segregazione» e gestione politico-mediatica della pandemia. Senza offendere o lanciare insulti. In Italia, invece, pochissimi si sono staccati dalla narrazione mainstream.Lo stato di una nazione si misura anche dal livello dei suoi artisti. E qui tra gli artisti più celebrati ci sono dei ragazzi poco vestiti che vanno sul palco a gridare «Fuck Putin» convinti che sia un gesto trasgressivo. Non sono gli unici, ovviamente. Anzi, a ben vedere la grandissima parte dei professionisti dello spettacolo di casa nostra ha offerto in questi due anni un contributo leggermente al di sotto delle aspettative. Benché si presentino con pose da ribelli o da duri di strada, tanto i rocker quanto i rapper italiani si sono per lo più uniformati al pensiero prevalente, lo hanno supportato e alimentato. Un discorso analogo si potrebbe fare per i comici e i satirici che dovrebbere castigare, ridendo, il potere, e invece ne sono schiavi come e più di altri.Nulla di nuovo, in realtà. Da tempo immemore la satira e la comicità italiane sono tra le più schiacciate sui temi dominanti, avvolte in un generico progressismo buono per le ultime pagine di Repubblica (non a caso, la maggioranza degli autori frequenta quell’ambiente). Lo stesso si potrebbe dire dei musicisti e degli attori. E probabilmente è persino comprensibile: l’artista deve mangiare, e se vuole farlo gli tocca adeguarsi ai canoni imposti dal cosiddetto mainstream. Potremmo dunque rassegnarci e accettare il fatto che i nostri intrattenitori, più che la satira o la critica, pratichino i circenses, e di conseguenza siano più adatti a ottundere le menti che a ridestarle. Il fatto è che non dappertutto funziona in questa maniera. Altrove esistono artisti che osano appena di più, che sono in grado di infrangere con coraggio almeno alcuni dei luoghi comuni imperanti. Non tutti hanno cuore di spingersi in territori selvaggi, ovviamente, ma con diverse gradazioni sono in tanti a provarci, di sicuro più che qui.Uno dei casi più impressionanti è quello dello stand up comedian americano Jim Breuer, uno che nel 2018 è stato scelto per scaldare il pubblico prima dei concerti dei Metallica, quindi non esattamente l’ultimo arrivato. Breuer è diventato famoso dalla metà degli anni Novanta grazie allo storico Saturday Night Live, ha avuto un suo show su Mtv, ha condotto programmi e realizzato speciali per grandi reti americane, è apparso in spot pubblicitari di grandi aziende. Insomma, conosce le regole dello show business. Eppure, il suo ultimo spettacolo (Somebody has to say it) uscito da pochi giorni e visibile su YouTube in lingua originale) è quanto di più realmente scorretto si trovi in circolazione. Motivo? Fa satira sulla psicosi pandemica, e in maniera decisamente efficace.Già l’anno scorso Breuer si era distinto per alcune prese di posizione coraggiose: aveva rifiutato di esibirsi nei locali che consentivano l’ingresso ai soli vaccinati onde opporsi alla «segregazione». Ora Jim è ritornato con forza sull’argomento, prendendo di mira la gestione politico-mediatica del Covid. Ce n’è per tutti: mazzate a politici e giornalisti, punzecchiature a i cittadini che si sono bevuti anche la propaganda più grossolana, affondi sugli effetti avversi delle iniezioni e sul numero infinito di dosi… Breuer non offende e non insulta. È urticante ma non scade mai nella volgarità. E pure questa è una lezione interessante da apprendere, dato che nei nostri paraggi troppo spesso si confonde la scorrettezza politica con il raglio becero. In ogni caso, il punto è: quanti dei nostri comici e satirici già noti al grande pubblico sono stati in grado di produrre qualcosa di simile? Pochi, pochissimi, praticamente nessuno, se si escludono le battute di Checco Zalone sui virologi. Quanto al resto del panorama artistico, giusto Enrico Ruggeri e un paio di altri hanno avuto gli attributi per contestare la narrazione uniforme.Oltreoceano, anche da questo punto di vista, c’è stato qualche movimento in più. Basterebbe citare la tirata contro l’abuso di mascherina che la rockstar Dave Mustaine, leader dei Megadeth, ha improvvisato sul palco alcuni mesi fa, mentre i suoi colleghi italici si dedicavano per lo più o combattere i presunti terrapiattisti.Sono piccoli esempi, ma significativi. E non si limitano alla questione pandemica. I più fieri critici del «totalitarismo soft» dai colori arcobaleno, ad esempio, sono alcuni grandi stand up comedian americani e britannici. Artisti che certo non possono essere considerati conservatori, ma che appartengono a un’antica tradizione di libertà d’espressione, e per questo riescono immediatamente ad avvertire l’odore acre della mordacchia.Dave Chappelle, ad esempio, è un artista nero molto attento alle istanze riguardanti il razzismo. Per certi versi, dunque, anche lui si muove su un terreno sicuro, in più il fatto di appartenere a una minoranza lo aiuta. Tuttavia Chappelle nei suoi spettacoli visibili su Netflix ha ripetutamente infilato il naso negli eccessi dell’attivismo Lgbt, e non ne ha ricavato grandi vantaggi. Gli attivisti transgender lo attaccano duramente da anni, sono anche arrivati ad aggredirlo fisicamente.Opporsi a certe forme di arroganza arcobaleno non è semplicissimo, negli Usa, dato che l’intera macchina dell’intrattenimento si è appropriata della causa Lgbt e di quella trans. Ne sa qualcosa un altro comico, Kevin Hart, che nel 2019 ha dovuto rinunciare a presentare la cerimonia degli Oscar perché qualcuno è andato a rovistare fra i suoi vecchi tweet, e ne ha trovi alcuni considerati omofobi. Hart, per ritornare presentabile, ha dovuto scusarsi pubblicamente più e più volte. Chappelle, invece, non ha fatto ammenda. Peggio, ha rincarato la dose. Però lo ha fatto dopo adeguata spiegazione dal palco. Guardare il suo show per credere: con grazia e profondità ha illustrato il pensiero da cui originano le sue battute, e così facendo ha offerto un contributo fondamentale al dibattito.Qualcosa di simile si potrebbe dire anche per il britannico Ricky Gervais, una stella di primo piano anche nel panorama statunitense. Si era già fatto notare qualche tempo fa, proprio durante la cerimonia degli Oscar, per un monologo ruvido contro il politically correct. Ma il suo nuovo show per Netflix supera ulteriormente il livello di guardia, senza timore di suscitare l’ira di qualche minoranza aggressiva (transfemministe in particolare).Chiaro: molti di questi autori provengono dall’universo liberal, difficilmente li vedremo inoltrarsi nelle valli impervie dei temi etici, o contestare troppo duramente il razzismo. In ogni caso, pur con tutti i loro limiti, costoro mostrano che rompere la cappa di conformismo è possibile, basta avere un po’ di fegato. E, magari, un pizzico di cervello.