2018-08-02
«Riportare i migranti in Libia? Si può fare». Lo dice anche il diritto navale
L'avvocato esperto di diritto del mare spiega perché la nave italiana Asso Ventotto doveva affidarsi alla Guardia costiera libica: «Se si fosse diretta qui avrebbe commesso un illecito. E nessuno può dichiarare che Tripoli non sia un porto sicuro». Da un paio di giorni il caso della nave Asso Ventotto sta scombinando le menti di numerosi esponenti della sinistra italiana. Nicola Fratoianni di Liberi e uguali se la prende con Matteo Salvini e denuncia «un caso di palese violazione delle norme internazionali da parte di una nave mercantile italiana». Il presidente del Partito democratico, Matteo Orfini, se la prende con il ministro delle Infrastrutture: «Danilo Toninelli dice che l'operazione dell'Asso Ventotto è stata eseguita nel rispetto delle leggi internazionali?», sbraita Orfini «È un incapace, ma questo lo sapevamo già. Se è così, il governo è il mandante dell'atto illegale che è stato commesso in mare». L'esponente dem usa la parola «mandante», come se Toninelli o altri al governo avessero ordinato una strage. La vicenda della Asso Ventotto, al contrario, racconta di ben 101 persone salvate, comprese cinque donne incinte e cinque bambini. Ma riavvolgiamo un attimo il nastro, per capire che cosa sia successo esattamente. La nave Asso Ventotto è gestita dalla società Augusta Offshore di Napoli, che da oltre trent'anni lavora per l'Eni «a supporto delle attività estrattive in mare in Libia». (L'Eni, per altro, ha smentito ogni coinvolgimento nella vicenda). Lunedì, intorno alle 14.30, la Asso Ventotto si trova nei pressi della piattaforma estrattiva Sabratah, a «57 miglia marine da Tripoli, 105 miglia da Lampedusa, 156 miglia da Malta e 213 miglia da Pozzallo in Sicilia». Verso le 15.00 riceve istruzioni dalla Guardia costiera libica «di procedere in direzione di un gommone avvistato a circa 1.5 miglia sud est». Alle 16.30, la nave salva 101 persone. Poi viene affiancata da una motovedetta libica che la scorterà fino a Tripoli. All 21.00 la Asso arriva in porto e circa mezz'ora dopo trasborda i migranti su una motovedetta libica che li conduce a terra.Questa operazione ha suscitato lo sdegno della sinistra italiana, ma pure di Amnesty International e dell'Unhcr. Secondo queste organizzazioni, infatti, la Libia non sarebbe un «porto sicuro». Motivo per cui, dice Unhcr, si potrebbe configurare una «violazione del diritto internazionale». Insomma, la nave italiana è accusata di aver compiuto un «respingimento», conducendo i migranti verso sicure sofferenze. In realtà, le cose stanno un po' diversamente. A spiegarlo è Francesco Del Freo, avvocato esperto di diritto internazionale, già ufficiale della Marina militare, uno dei maggiori conoscitori italiani delle leggi che governano il mare.Avvocato, quello compiuto dalla nave Asso Ventotto è un «respingimento», come sostengono alcuni?«Per come appare la fattispecie no, non è un respingimento, almeno dal punto di vista tecnico, ai sensi dell'articolo 33 della Convenzione di Ginevra. Che, tra parentesi, la Libia non ha mai ratificato». Spieghiamo allora che cosa è avvenuto.«C'è stata una richiesta di soccorso mediante messaggio di distress».Ovvero?«C'è stata una richiesta di Sos in mare per vite umane in pericolo. C'è stato un naufragio. E questo messaggio è stato lanciato in un'area di competenza della Libia». Eccoci al punto. La questione è complicata, per i non addetti ai lavori, ma molto rilevante. Da mesi sentiamo dire che la Libia non ha una sua Sar, cioè una zona di ricerca e soccorso in mare, dunque non può provvedere ai recuperi. «E invece ce l'ha. La zona Sar libica è stata dichiarata il 27 giugno del 2018. In quella data, la Libia ha reso pubblica, attraverso il sistema informativo dell'Imo, la sua area di ricerca e soccorso: una Srr, insomma una zona Sar regionale. Inoltre ad oggi è attivo presso l'aeroporto di Tripoli un centro di coordinamento interforze (marina e aeronautica) detto Joint rescue coordination center. In più, i centri di accoglienza sono allestiti e gestiti dal governo e non dai trafficanti».L'Imo è l'Organizzazione marittima internazionale, che fa capo alle Nazioni unite. Che cosa comporta il fatto che la Libia abbia reso pubblica la sua Sar tramite l'Imo?«Significa che la zona di ricerca e soccorso libica è pubblica e incontrovertibile. La convenzione di Amburgo ci dice che, per la mappatura della zona Sar, vale il regime dell'autoproclamazione. Uno Stato sovrano dichiara i confini della sua regione di ricerca e si impegna a farsene carico. E nessuno può dire di no. Se così non fosse, anche la nostra area Sar potrebbe potenzialmente non essere riconosciuta da altri Stati e ciò comporterebbe ovvi disagi». Rispetto a qualche mese fa che cosa cambia?«Cambia molto. Lo Stato sovrano Libia si è assunto la responsabilità di procedere alla ricerca e soccorso nel tratto di mare che ha indicato. Ha dichiarato di avere i mezzi per farlo, seppur perfezionabili. E, in effetti, nel caso della Asso Ventotto sono state salvate delle persone». Una nave italiana può recuperare persone in mare nella zona Sar libica?«Non solo può, ma deve farlo sempre, se si tratta di persone da salvare. Il coordinamento delle operazioni di salvataggio, tuttavia, avviene nella zona Sar di competenza della Libia. Dunque se ne devono occupare i libici. Nel caso specifico, le operazioni pare siano state gestite dal Marine Department di Sabratah».Insomma, la responsabilità è della Libia.«Andiamo sul caso concreto. Se la nave Asso Ventotto chiama la centrale operativa di Roma (Imrcc), e dichiara di trovarsi a 57 miglia da Tripoli, l'Italia - secondo la convenzione di Amburgo - deve assumere il coordinamento iniziale. Poi deve passarlo a chi gestisce la Sar regionale. Insomma, anche se la Asso Ventotto avesse chiamato la Guardia costiera di Roma prima di procedere al salvataggio, tutto sarebbe poi passato sotto il controllo libico, a maggior ragione oggi che la Libia ha una propria zona Sar». Esaminiamo un altro aspetto della questione. C'è chi dice: se i migranti recuperati in mare vengono riportati in Libia, si ledono i loro diritti, perché sono potenziali richiedenti asilo.«Ci si deve chiedere in primo luogo se stiamo affrontando un evento Sar (ovvero stiamo salvando vite) o se stiamo ricevendo richieste di asilo. Nel primo caso vale la Convenzione di Amburgo del 1979, nel secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, poi estesa nel 1967. Se sei un richiedente asilo, devi dimostrarmelo. Non si può stabilire a bordo della nave. Se ci sono persone che annegano, prima devono essere salvate e portate nel porto più vicino. Poi le agenzie preposte (Onu eccetera) dovranno verificare la fattibilità della richiesta di asilo ex articolo 33 e 34 della Convenzione di Ginevra. Salvare una persona è una cosa, fare richiesta d'asilo un'altra».Volendo sarebbe possibile, come ha sostenuto perfino l'ex ministro Marco Minniti, decidere in Libia chi ha diritto alla protezione internazionale?«Dal punto di vista tecnico si può fare, la Libia deve crescere ancora sul fronte umanitario, ma si stanno facendo passi da gigante anche grazie all'impegno corale dell'Europa e grazie al Trust Fund europeo».Vari esponenti della sinistra, l'Unhcr e la Commissione Ue dicono che la Libia non è un porto sicuro.« Non si può stabilire a priori. Altrimenti dovrebbero esistere delle liste di porti sicuri, che non ci sono. Se un porto è sicuro lo valuta volta per volta il comandante della nave assieme al centro di coordinamento. Ad esempio deve valutare se ci sono delle guerre in corso eccetera». Ma la Commissione Ue insiste che le navi europee non devono portare migranti in Libia, perché non è sicura.«La Libia è uno Stato sovrano. Se il comandante della Asso Ventotto non avesse attraccato nel porto di Tripoli, sarebbe stato passibile di omissione. Il place of safety, cioè il porto sicuro, non può essere determinato a priori. Se la nave italiana non avesse fatto così, sarebbe incorsa in un illecito, il contrario di quello che oggi sostengono certe persone. Non c'è una terza via. O si riconosce lo Stato Libia o non lo si riconosce».Quindi Tripoli è un porto sicuro.«Beh, negli ultimi mesi si sono visti progressi, Tripoli oggi è presidiata e attrezzata oltre ad essere, spero, sotto osservazione dalle organizzazioni internazionali, che giustamente devono verificare quanto di loro competenza. Oggi pare non ci siano più i cosiddetti “campi di concentramento", tanto che i centri di accoglienza, come dicevo, sono gestiti direttamente dalle autorità governative». Al porto di Tripoli opera, per altro, anche personale delle Nazioni Unite.«Certo. Ma poi, scusate, l'Italia attraverso il Trust Fund europeo, ha pagato milioni di euro, circa 42, per formare la Guardia costiera libica e per creare un centro di coordinamento. Ci siamo impegnati a rendere il tutto efficiente entro il 2020. Se finanziamo tutto questo non possiamo lamentarci: i libici fanno quello che gli abbiamo chiesto e quello che loro stessi, da Stato sovrano, hanno affermato presso l'Imo. Poi, certo, sono stati fatti passi avanti ma sul piano umanitario c'è ancora da fare. Però l'unico modo è dare credito alla Guardia costiera libica, verificando le eventuali violazioni dei diritti umani». E di questo si dovrebbero occupare Unhcr e Oim. Se non fossero troppo impegnate a fare polemica con l'Italia.