2023-01-19
Rinviati a giudizio i pm di Eni-Nigeria. Rischiano di pagare indennizzi milionari
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Ansa)
La decisione del gup di Brescia per Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, a processo per non aver depositato prove verbali e documentali.Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro saranno processati per non aver depositato documenti e atti durante il processo dove i vertici di Eni e Shell erano accusati di corruzione internazionale per l’acquisizione di un giacimento di petrolio in Nigeria. È questa la decisione presa ieri dal gup di Brescia, Cristian Colombo, che ha deciso di rinviare a giudizio i due pm indagati per «rifiuto d’atto d’ufficio» per non aver voluto depositare nel 2021 prove ritenute potenzialmente favorevoli ai 13 imputati del processo poi terminato con l’assoluzione di tutti perché «il fatto non sussiste». La prima udienza sarà il prossimo 16 marzo. Le due toghe, il primo ancora in forza alla Procura di Milano mentre il secondo è stato distaccato alla Procura europea, rischiano dai 6 mesi ai 2 anni. Soprattutto potrebbero essere esposti al rischio di pagare milioni di euro di risarcimenti. Del resto, l’imputazione per corruzione si basava sull’ipotesi, poi ampiamente smentita, che intorno al giacimento nigeriano fosse transitata la tangente più grande della storia, pari a 1,3 miliardi. Il processo ha richiesto decine di udienze, perizie, decine di testimoni. È stato lungo e ha generato spese legali, tra tutti gli imputati, per almeno 50 milioni di euro: per non parlare dei danni di immagine. La sentenza di rinvio a giudizio non era così scontata. De Pasquale e Spadaro avevano chiesto a novembre, tramite l’avvocato Caterina Malavenda, di poter essere giudicati dopo l’entrata in vigore della riforma Cartabia. In questo modo avrebbero voluto da un lato evitare che si costituissero nuove parti civili (al momento l’unico che si è costituito nel procedimento è l'ex vice console in Nigeria, Gianfranco Falcioni), dall’altro far sì che il giudice per l’udienza preliminare prendesse una decisione a fronte di una «ragionevole previsione di condanna» e non più, come accadeva prima, a fronte soltanto di «elementi idonei» per una condanna. In realtà rispetto alla possibilità che si costituiscano nuove parti civili (che secondo la riforma Cartabia coincide con l'accertamento della costituzione delle parti all'udienza preliminare), potrebbero essere ancora in vigore le vecchie regole; quindi, in teoria, il 16 marzo nuove persone fisiche (o giuridiche) avrebbero la possibilità di comparire e chiedere un risarcimento del danno. Sul secondo punto era invece stato lo stesso Colombo, nell’accogliere la richiesta di posticipare l’udienza, a spiegare che i criteri di valutazione adottati in precedenza erano già in linea con la riforma Cartabia. Come noto la Procura bresciana contesta a De Pasquale e Spadaro di non aver depositato prove verbali e documentali che gli erano state inviate dal sostituto procuratore Paolo Storari, documenti che avrebbero dimostrato subito «la falsità degli elementi forniti alla pubblica accusa da Armanna Vincenzo, che aveva assunto il ruolo di accusatore contro gli imputati del processo Eni Nigeria», tra cui l’ex presidente Paolo Scaroni e l’ex amministratore delegato Claudio Descalzi. Storari aveva inviato loro una mail il 19 febbraio 2021, invitando a mettere a disposizione del tribunale e delle difese i messaggi whatsapp del cellulare di Armanna, dove si poteva leggere che l’ex manager Eni aveva pagato 50.000 dollari a due testimoni del processo che avrebbero dovuto confermare di avere visto «gli italiani» imbarcare trolley pieni di denaro contante parte del prezzo della corruzione che sarebbe dovuta spettare a Eni. Non solo. Un’altra prova non depositata da De Pasquale e Spadaro è una nota della società Vodafone contenuta in un’annotazione della Guardia di finanza del gennaio 2021, dove si poteva facilmente scoprire come le presunte chat tra Armanna e Descalzi e poi sempre del primo con Claudio Granata (il direttore Risorse umane di Eni) fossero «materialmente e ideologicamente false perché nel 2013 - anno in cui sarebbero state fatte - le utenze che non erano in uso ai due manager Eni e non avevano generato quel traffico». Ma soprattutto, i due pm non avevano depositato la videoregistrazione di un incontro avvenuto il 28 luglio 2014, in cui erano presenti Armanna, l’avvocato Piero Amara e altri, dove il primo aveva «espresso propositi ritorsivi nei confronti dei vertici dell’Eni, «perché la valanga di merda che io faccio arrivare in questo momento... con la valanga di merda che sta arrivando, vedrete che accelelererà», affermazioni - come hanno riportato gli avvocati di Falcioni, Gian Filippo Schiaffino e Pasquale Annichiaro - «da considerarsi inconciliabili con l’affidabilità di un dichiarante che due giorni dopo si presentò da De Pasquale per accusare i vertici Eni». Il video era stato trasmesso dall’ex numero uno della Procura di Milano, Francesco Greco, il 12 aprile 2017, quando il processo Eni Nigeria era ancora in fase di udienza preliminare. Nella costituzione di parte civile, gli avvocati ricordano anche come i danni subiti da Falcioni siano stati infatti ingentissimi. Si riservano di stabilire la cifra del risarcimento. Ma in teoria potrebbero farlo anche gli altri imputati al processo, tra cui le stesse Eni e Shell. Anche se il Cane a sei zampe (che infatti non è costituito in giudizio) ha sempre ribadito di non cercare vendetta ma solo di voler conoscere la verità di un processo del tutto inutile, dove la pubblica accusa potrebbe aver avuto un atteggiamento antigiuridico che ha danneggiato tutti gli imputati.