2024-11-30
Aumenti da 220 euro a 7 milioni di addetti. Senza i no della Cgil sarebbero molti di più
Nel 2024 rinnovati contratti importanti (commercio, turismo, tessile), ma i veti delle sigle rosse bloccano i salari degli statali.Va bene la propaganda e la faziosità che da quando c’è il centrodestra al governo sono diventati i tratti distintivi dell’azione della Cgil e di Landini, ma poi un po’ di «ciccia», per spiegare perché si chiede ai lavoratori di perdere una giornata di salario, bisogna mettercela. E al di là dei colpi a effetto (la armi, la supposta democrazia in pericolo, il ritorno del fascismo ecc.) Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri ci hanno spiegato che il potere d’acquisto degli italiani sta drammaticamente calando e che i nostri stipendi sono bassi. Vero? Tra le tante «farneticazioni», nel senso di affermazioni che non trovano riscontro nei numeri e nella realtà, dei due leader sindacali, l’allarme sulla questione salariale e sulla perdita del potere d’acquisto, al netto delle drammatizzazioni, è sicuramente quello da prendere più sul serio.Che gli stipendi in Italia crescano poco è un dato di fatto. Ma è così da lustri e non si capisce perché Cgil e Uil non si siano scagliate con la stessa determinazione contro i precedenti esecutivi. Così come è vero che l’impennata negli ultimi anni dell’inflazione non ha di certo favorito il recupero del potere d’acquisto, ma i fatti dicono anche che negli ultimi dodici mesi sono stati rinnovati i contratti di circa 7 milioni di lavoratori e che anzi se non ci fossero stati i «no» della Cgil e della Uil molti altri accordi sarebbero stati chiusi. Quando tutte le intese saranno andate a regime, avremo aumenti medi delle buste paga per circa 220 euro medi lordi al mese. Non poco. Ma andiamo con ordine. Chi ha una certa dimestichezza con le negoziazioni tra le parti sociali non ha dubbi: il 2024 verrà ricordato come l’anno che ha visto la firma su uno dei contratti più «agognati», quello del commercio. Se non altro perché riguarda poco meno di tre milioni di addetti e perché erano quattro anni che si attendeva una svolta. Gli aumenti medi a regime sono di 240 euro medi lordi. Ma non solo, tanto per fare qualche altro esempio, negli ultimi mesi sono andate in porto le trattative per il rinnovo degli addetti del turismo (altri 600.000 coinvolti) e della ristorazione (670.000), per i lavoratori degli studi professionali e per gli impiegati del tessile, dell’industria alimentare e delle banche. Certo, ci sono situazioni molto delicate, tra i metalmeccanici (un milione e 600.000 persone), la spaccatura nel confronto sigle più rappresentative-parte datoriale (Federmeccanica) è abbastanza profonda, ma complessivamente poteva andare molto peggio. Mentre sarebbe andata meglio se in alcune vertenze, guarda caso quelle che riguardano il pubblico impiego e le aziende controllate dallo Stato, le posizioni di Cgil e Uil fossero state meno pretestuose e politicizzate. L’esempio più eclatante riguarda il rinnovo del contratto delle funzioni centrali dello Stato. I ministeri, ma non solo. Poco meno di 200.000 lavoratori che avrebbero perso un aumento medio superiore ai 160 euro medi al mese e l’introduzione sperimentale della settimana cortissima (fino al giovedì) se la Cisl, che è maggioranza nel settore, non avesse firmato. Cgil e Uil, infatti, si sono tirate fuori pretendendo che fosse recuperata tutta l’inflazione del periodo (parliamo del 2022-2024) che complessivamente ha superato il 15%. Una richiesta folle. Mentre adesso c’è in ballo, tra gli altri, il rinnovo del contratto 2022-2024 degli infermieri. Anche in questo si tratta di un contratto già scaduto. L’Aran (lo Stato) ha proposto incrementi da 172 euro al mese che moltiplicato per le tredici mensilità porta a una busta paga più ricca per 2.245,10 euro. Restano voci importanti dell’accordo da discutere, in primis alcune indennità, come quella da pronto soccorso, e anche in questo caso la Cgil non ne vuole sapere di firmare. Il problema è che nel comparto la Cisl da sola non basta. E quindi non resta che sperare nel post sciopero. Passata la sbornia politica, anche i sindacalisti rossi potrebbero scendere a più miti consigli. Ma forse siamo troppo fiduciosi. Anche perché l’ultimo caso, quello delle Poste, non lascia ben sperare. Anzi. Qui la divisione tra le sigle è se possibile ancora più profonda. C’è una questione di merito, la Cgil non ne vuol sapere della cessione di un’altra quota pubblica di Poste, che comunque resterebbe nelle mani del Mef, e un altra questione che sembra più politica, il dover dire sempre «no». Ma a tutto c’è un limite. E così quando il gruppo guidato da Matteo Del Fante ha proposto un pacchetto che comprendeva la definizione dell’assunzione di 7.500 persone, qualcuno ha pensato che Cgil e Uil potessero fare un passo indietro e firmare. Invece niente. E meno male che anche in questo caso il via libera di Cisl, Confsal, Cisal e Ugl ha colmato il vuoto lasciato da Landini e Bombardieri. Che poi parlano pure di questione salariale e perdita di potere d’acquisto.