2021-08-07
La riforma Cartabia non sfiora il potere reale delle Procure
La riformetta non incide sulle storture del «fine inchiesta mai» del rito ambrosiano. Come conferma il caso dei verbali di Piero Amara.La vicenda dei verbali dell'avvocato Piero Amara non solo ha mandato all'aria la Procura di Milano, ma sta mostrando agli italiani il vero potere dei pm: il cassetto, dove tenere dormienti importanti notizie di reato. Una pratica che la fresca riforma del Guardasigilli Marta Cartabia non ha minimamente affrontato, nonostante il caso del finto pentito riveli come l'obbligatorietà dell'azione penale in Italia sia solo una bella frase da stampare sui manuali di procedura. Dal 6 dicembre 2019 Amara, che negli anni ha patteggiato pene per corruzione in atti giudiziari e altri reati, ha riversato in cinque verbali (datati 6, 14, 15, 16 dicembre e 11 gennaio) le sue memorie sulla presunta loggia Ungheria, un'«associazione» composta da magistrati, alti ufficiali delle forze dell'ordine e altri boiardi di Stato agli inquirenti di Milano, i quali, sino a maggio 2020, hanno tenuto queste dichiarazioni in un fascicolo contenitore, quello sul cosiddetto complotto contro i vertici dell'Eni. Quest'ultimo era contro noti, ma le nuove carte non hanno portato a ulteriori iscrizioni sino al 12 maggio 2020. In pratica dentro al calderone Eni è stato inserito un sottofascicolo che non c'entrava nulla, ma che ha potuto galleggiare in una sorta di limbo per mesi. Un metodo che in molti identificano come «rito ambrosiano». Un sistema decantato così sul Fatto quotidiano: «L'indagine non precipitò nel vuoto perché-secondo il “rito ambrosiano" che ha dato buoni risultati sin dalle inchieste di Mani pulite - tutti gli atti restano ancorati al fascicolo contenitore […] da cui è possibile fare uno stralcio non appena si concretizzi un filone abbastanza consistente da poter diventare autonomo». In realtà in questo modo i pm possono tenere a bagnomaria notizie di reato e utilizzarle a proprio piacimento senza aver fatto scattare i termini delle indagini. Insomma un metodo che consente agli inquirenti di indagare a vita su questo o quello.Ma nel caso Amara c'è stato un cortocircuito del rito ambrosiano.Infatti se il procuratore Francesco Greco, già campione del pool di Mani pulite, deve aver pensato che il cassetto fosse il posto giusto per accuse così fumose, ma anche così gravi, il più giovane e irruente sostituto procuratore Paolo Storari ha provato a ribellarsi al metodo consolidato. E nell'aprile del 2020 ha deciso di informare un altro eroe del pool, Piercamillo Davigo, di quello che bolliva in pentola. E Davigo, lo ha ammesso lui stesso, con quelle trascrizioni ha iniziato a fare il giro delle sette chiese. Trovando, evidentemente, tanti adepti del rito, visto che nessuno, da nessuna parte, ha aperto un fascicolo o scritto una relazione di servizio per mettere un punto a quell'inquietante traffico clandestino di carte riservate. Davigo ha addirittura affermato di averne parlato a sette consiglieri, tra cui il vicepresidente David Ermini e Giuseppe Marra. A questi ultimi due i verbali sarebbero stati consegnati addirittura brevi manu, accompagnati, nel caso di Marra, da queste parole: «Te li lascio nel caso in cui il comitato di presidenza ne avesse bisogno». Di quel comitato facevano parte anche Ermini, il procuratore generale Giovanni Salvi e il primo presidente della Cassazione Pietro Curzio, ma sembra che nessuno di loro abbia sentito il bisogno.Così le accuse di Amara sono rimaste per circa un anno un pettegolezzo da corridoio, utilizzate per spargere veleni e regolare conti personali.L'unico ad alzare il telefono sarebbe stato Salvi che avrebbe condiviso con l'amico Greco lo sfogo ricevuto da Davigo. Solo allora il procuratore, preconizzando futuri problemi, decise di fare le prime iscrizioni sul registro degli indagati. Ma la decisione non è bastata a sedare gli animi e dopo il pensionamento forzato di Davigo, la sua ex segretaria, Marcella Contrafatto (che nega gli addebiti) avrebbe preso i verbali conservati nel computer del suo vecchio capo e li avrebbe spediti a Marco Travaglio, direttore del Fatto quotidiano. Con una lettera d'accompagnamento in cui si diceva che di quei documenti erano informati il pg Salvi e Stefano Erbani, consigliere giuridico del presidente Sergio Mattarella. Non sappiamo se i colleghi del Fatto abbiano cercato conferma alla notizia, telefonando a Salvi e a Erbani, mentre è certo che un giornalista del quotidiano, Antonio Massari, abbia consegnato all'aggiunto Laura Pedio e allo stesso Storari quel plico.Il pubblico ministero non ha capito o non ha voluto capire che a informare Salvi ed Erbani fosse stato Davigo, l'uomo a cui lui stesso aveva consegnato le dichiarazioni di Amara, ma questo ci pare davvero una minuzia rispetto al resto. Infatti la testimonianza di Massari ha messo ancora più in crisi i cultori del rito ambrosiano, i quali, anziché aprire un fascicolo per rivelazione di segreto hanno sotterrato la sit dentro al solito calderone del complotto Eni.In compenso, dopo la denuncia di Massari, la Procura, con un anno di ritardo, ha trasmesso i verbali a Perugia, l'ufficio che è stato individuato, con una certa fatica, come competente per le indagini sulla loggia Ungheria, essendo i primi indagati magistrati romani.Ma torniamo alla notizia della violazione del segreto ben nascosta dentro al fascicolo omnibus. A smuoverla ci ha pensato il solito postino anonimo, che non vedendo reazioni, il 26 febbraio ha telefonato alla giornalista della Repubblica Liana Milella chiedendole dove potesse inviarle riservatamente le trascrizioni. La cronista ha dato al misterioso fattorino l'indirizzo di casa e nei giorni successivi ha riparlato per circa 11 minuti con l'utenza intestata all'ex segretaria di Davigo. Dopo essere passata dalla Procura di Roma, la Milella presenta denuncia il 3 marzo alla Procura di Perugia che apre il primo fascicolo contro ignoti sulla vicenda, il 2344/21. Il 25 marzo si presenta in Umbria anche il consigliere Nino Di Matteo, il quale il 18 febbraio (più di un mese prima!) aveva ricevuto a sua volta una busta con i verbali. Nella lettera di accompagnamento ci sono gravi accuse sulla conduzione da parte di Greco delle indagini sulla loggia. I finanzieri del Gico identificano come postina la Contrafatto e il 31 marzo la Milella viene riconvocata in Procura dove nega, però, di conoscere la donna con la cui utenza nei giorni precedenti aveva conversato 11 minuti.Il 6 o il 7 aprile anche la Procura di Milano apre finalmente un fascicolo autonomo sulle fughe di notizie, l'8 Storari confessa di aver consegnato copia dei file di Amara a Davigo e il giorno dopo presenta una «formale lettera di rinuncia all'assegnazione dei due procedimenti».Dopo mesi di stallo, almeno l'indagine sulla fuga di notizie ha una improvvisa accelerazione.Tra il 9 e il 10 aprile le Procure di Milano e Perugia trasferiscono i loro fascicoli contro Storari, accusato di rivelazione di segreto, e contro la Contrafatto, indagata per calunnia, a Roma, dove il procuratore Michele Prestipino apre i fascicoli 14060 e 14061 e dispone l'immediata perquisizione della Contrafatto.La Procura di Roma trasmette gli atti sui due procedimenti al Csm e (per quanto riguarda Storari) alla procura di Brescia, competente per i reati commessi dai magistrati meneghini in Lombardia. Al Csm, però, non sembra essere mai arrivata la missiva di accompagnamento ai documenti consegnati al Fatto quotidiano, quella in cui si parla di Salvi ed Erbani. Un documento che il pg della Cassazione pare abbia richiesto nelle ore scorse, ritenendolo rilevante per contestare la manca astensione dalle indagini sulla fuga di notizie a Storari.Neanche al Riesame sarebbe stato depositato quel documento: «I pm non ci hanno messo a disposizione né quella lettera, né i verbali di Amara» protesta l'avvocato Alessia Angelini, difensore della Contrafatto. Il giuslavorista Riccardo Bolognesi, che assiste la donna davanti alla sezione disciplinare, rincara: «Ho fatto l'accesso agli atti e quelle carte non risultano esserci neanche nel procedimento disciplinare davanti al Csm». Va detto che l'accusa di calunnia alla Contrafatto è contestata solo per la missiva abbinata al plico consegnato a Di Matteo.Ma è abbastanza chiaro che il rito ambrosiano continui a fare danni. Come nel gioco delle tre carte gli atti scompaiono da una parte e compaiono da un'altra. E intanto c'è chi con i verbali e le lettere in mano (pm, giornalisti, consiglieri del Csm e chissà chi altro) può continuare a estrarre carte alla bisogna. Per sostenere questa o quella tesi o per diffondere veleni. Una prassi che la riforma Cartabia non ha nemmeno sfiorato.