
Nel 2013 Barilla fu massacrata dai gruppi Lgbt per le frasi del patron Guido. Adesso è tra le più gay friendly al mondo. Ora l'azienda - come molte altre nel mondo - ha un Chief Diversity Officer, cioè un dirigente che si occupa del rispetto dei diritti di tutte le minoranze.Si potrebbe farne un documentario o un libro inchiesta, qualcosa del tipo «Come vivere rieducati e contenti: il caso Barilla». La vicenda, d'altro canto, è esemplare. La prima parte della storia la conoscono praticamente tutti. Nel 2013, parlando a Radio 24, Guido Barilla pronunciò alcune frasi fatidiche: «Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale», disse. «Se i gay non sono d'accordo, possono sempre mangiare la pasta di un'altra marca».Mal gliene incolse. Le associazioni Lgbti lanciarono una campagna di boicottaggio a livello mondiale e l'industriale fu attaccato più o meno da chiunque e fu costretto all'autodafé. A strettissimo giro pubblicò un videomessaggio in cui, col fusillo fra le gambe, dichiarava: «È chiaro che ho molto da imparare sull'evoluzione della famiglia. In Barilla, abbiamo cura di tutti, senza distinzioni di razza, religione, fede, sesso o orientamento sessuale. A tutte le persone - amici, famiglie, dipendenti e partner commerciali - che si sono sentite toccate o offese, chiediamo sinceramente scusa». Ovviamente, la faccenda non è finita lì. Ma fermiamoci un secondo di più sul famigerato boicottaggio. Tra i vari intellettuali, artisti e politici che smisero di comprare i prodotti Barilla c'era anche una donna di nome Olimpia Zagnoli, che di mestiere fa l'illustratrice ed è piuttosto conosciuta a livello internazionale. In una recente interviste, questa signora ha ricordato la polemica del 2013 e le frasi di Guido Barilla. «Nonostante le sue scuse, il giorno dopo, le notizie si sono diffuse e la gente ha iniziato a boicottare i prodotti Barilla. Ero una di loro, e lo sono stata per un bel po' di tempo». Dove sta la parte interessante? Beh, nel fatto che Olimpia Zagnoli, la stessa che nel 2013 boicottava Barilla, ora ha disegnato per l'azienda emiliana la nuova confezione degli spaghetti n.5. In occasione del Pasta World Championship, una competizione culinaria che si è svolta a Milano il 24 e 25 ottobre, la Zagnoli ha realizzato un'opera che raffigura due donne intente a condividere un piatto di pasta. L'illustrazione è sensuale, richiama la celebre scena di Lilli e il Vagabondo in cui i due cagnoloni, risucchiando lo stesso spaghetto, finiscono per baciarsi. Solo che qui a baciarsi sono due donne. Il fatto che questo disegno compaia sulle confezioni di pasta Barilla è un dichiarato «omaggio alla tolleranza e al rispetto per le differenze dell'orientamento sessuale». Intendiamoci: il problema, qui, non è che un'azienda decida di utilizzare un'opera che raffigura due lesbiche su un piatto di pasta. Anzi, il lavoro della Zagnoli è pure apprezzabile. A lasciare allibiti è, piuttosto, il percorso che ha portato alla collaborazione fra l'artista e Barilla. E la vera e propria rieducazione arcobaleno che tutta l'azienda ha subito. Nel 2013, Guido Barilla disse semplicemente quel che pensava. Peccò, semmai, di troppa sincerità. Eppure ha dovuto rimangiarsi tutto e chinare il capo. La stessa Zagnoli, quando nel 2017 ricevette l'offerta da parte dell'azienda emiliana, rispose subito di no. Poi, quasi a mo' di sfida decise di proporre l'illustrazione con la coppia lesbica. E Barilla accettò soddisfatta. In appena quattro anni, l'orizzonte ideologico era completamente cambiato. Il percorso rieducativo che il colosso alimentare ha affrontato in quel lasso di tempo è illustrato sul sito ufficiale con dovizia di particolari. Ora l'azienda - come molte altre nel mondo - ha un Chief Diversity Officer, cioè un dirigente che si occupa del rispetto dei diritti di tutte le minoranze. È una signora di nome Kristen Anderson, che dichiara soddisfatta: «In Barilla siamo attenti a tutti gli aspetti inerenti la vita dei nostri collaboratori perché dietro il professionista c'è una persona. Oggi i migliori talenti cercano gli ambienti di lavoro dove si sentono più valorizzati anche a livello umano».Guido Barilla - per dimostrare contrizione - ha incontrato pubblicamente lo storico attivista gay Franco Grillini. La sua azienda si è sottoposta al giudizio di Human Right Campaign, un'associazione Lgbti che valuta i «migliori luoghi di lavoro» sulla base dell'attenzione alle istanze arcobaleno. L'elenco di iniziative gay friendly in cui Barilla si è imbarcata è sterminato. Ha «istituito il Diversity & Inclusion Board composto da esperti esterni e indipendenti, con i quali l'azienda ha definito obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di uguaglianza tra il personale e per valorizzare nella cultura aziendale il rispetto dei diversi orientamenti sessuali, la parità tra i sessi, i diritti dei disabili e le questioni multiculturali e intergenerazionali». Poi, si legge sul sito, «collabora con diverse organizzazioni esterne che supportano i diritti dei gay e delle comunità Lgbt»; «supporta associazioni che promuovono i diritti Lgbt ed eventi contro l'omofobia»; «promuove e partecipa attivamente a incontri sul territorio con la comunità gay e Lgbt». Vale la pena di soffermarsi su un punto. Nel 2013, Guido Barilla non disse che i gay gli facevano schifo. Dichiarò semplicemente che non avrebbe gradito celebrare le coppie arcobaleno negli spot perché a lui piaceva la famiglia tradizionale. Insomma, non ha fatto professione di odio: ha espresso il suo pensiero. Ed ecco il risultato: ha dovuto andare a scuola di politiche Lgbti e adesso le coppie gay se le ritrova persino sui pacchi di pasta. La libertà, al solito, regna sovrana.
Matteo Ricci
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