
Imprenditore di successo, ha visto franare la sua azienda ed è stato costretto a fare il fattorino per sopravvivere: «Pedalo quattro ore al giorno per 400 euro al mese. La gente ci tratta male, gli immigrati ci fregano il lavoro. Da Di Maio solo promesse».«Aspetto solo che arrivi il reddito di cittadinanza. Poi mollo tutto». Un colpo di tosse sordo, uscito dai bronchi, sigilla il proposito di Carlo Tedeschi, 54 anni da Vigevano (Pavia). È il lascito cronico di due anni e mezzo di vita da rider. «Una volta finito, userò la bicicletta per lo stretto necessario. Se proprio devo pensare a un hobby, preferisco le barche: sono da sempre la mia passione». Una barca, il perito elettronico lombardo la aveva. A essere precisi, ne possedeva addirittura due. Prima del 2009, annus horribilis in cui, nel giro di due mesi, vide franare un'azienda di duplicazione di cd-rom con dieci anni di attività e cinque persone a libro paga. «Fornivo grosse società: Ibm, Acer, Mediaset, Citroën. Arrivai a fatturare 400.000 euro l'anno», ricorda l'ex imprenditore. «Poi, all'improvviso, i clienti cessarono di inviare ordini. Era il boom degli smartphone, i cd-rom non servivano più». Alla fine del 2016, con un fardello di sette anni da disoccupato sulle spalle e una casa pignorata all'asta, Tedeschi si trovò a parlare con un amico. «Anche lui attraversava un momento difficile. Mi suggerì di rivolgermi a Uber per un posto da fattorino. Cominciai così. Oggi lavoro per Glovo».Ricorda il giorno della sua prima consegna? Fu un impatto traumatico?«Era il 5 dicembre 2016. In realtà, fu divertente. Dopo quasi otto anni senza lavoro, credevo di avere risolto i miei problemi. Pensare di guadagnare attraverso un sistema così moderno mi stimolava. Ma durò poco».Perché?«Dopo due giorni, mi ritrovai a letto immobile con le gambe distrutte. Avevo pedalato come un disperato. Pensai che non ce l'avrei mai fatta a reggere quei ritmi, mi sembrava di fare la Milano-Sanremo senza allenamento».E poi?«Provai col motorino, ma in quel periodo dell'anno le temperature erano talmente basse che, alla sera, arrivavo a casa in ipotermia. Così tornai alla bicicletta. Il problema è trovarla quando finisci la consegna».Ovvero?«Ogni giorno, sento almeno un collega dire “Mi hanno rubato la bici"».È successo anche a lei?«Mi hanno fregato di tutto e di più: dagli specchietti alle viti del sellino».Quante ore pedala?«Quattro ore al giorno, con una media di 30-40 chilometri. Da qualche settimana, però, sta diventando sempre più difficile prenotarsi. Il numero dei rider aumenta in maniera esponenziale, ma in primavera c'è meno richiesta e ci si ritrova a sgomitare per accaparrarsi le fasce orarie migliori. Roba da caporalato».Si spieghi meglio.«Il sistema di prenotazione funziona in base al punteggio. Se hai tanti punti, quando apri il calendario della settimana hai la prelazione sulle fasce orarie. Altrimenti, ti toccano gli avanzi».Una sorta di graduatoria…«Io lo chiamo ricatto. Le aziende sanno che la gente si scanna per lavorare e se ne fregano di trovare un sistema più umano».A determinare il calo dei punteggi sono le cattive recensioni dei clienti?«Anche. Ma ciò che pesa di più è la mancata presenza nei fine settimana; è lì che si concentra il lavoro. Basta fare un'ora in meno in tutto il weekend e il rating si abbassa. C'è gente che, per non perdere punti, non stacca mai».Lei è uno di quelli che escono in strada anche sotto la pioggia battente?«Prima sì, col brutto tempo ti danno il 20 per cento in più. Ultimamente ho smesso. A febbraio, sono uscito con la neve pensando di guadagnare bene e sono scivolato. A momenti finivo sotto un tram».È vero che ha fatto fuori due cellulari in una settimana?«Già. Quando piove a dirotto, puoi indossare quello che vuoi: l'acqua si infila dappertutto. Il primo telefono è andato così. Tre giorni dopo, ho preso un pezzo di porfido sporgente e il cellulare mi è saltato fuori dalla tasca. Le strade di Milano sono una tragedia: in due anni e mezzo, avrò forato una ventina di volte. In un paio di occasioni, mi è esploso letteralmente il copertone».Si è fatto male?«Una volta, di sera. Sull'asfalto avevano lasciato dei pezzi di automobile dopo un tamponamento. Non li ho visti e sono volato a terra. Per fortuna andavo pianissimo, ma ho preso comunque 12 giorni di infortunio. Per un mese non ho potuto sdraiarmi, faticavo a respirare».Un anno fa, a un suo collega andò peggio: finì sotto un tram nel centro di Milano e perse una gamba.«Ricordo bene quel giorno. Casualmente, mi trovavo sul lago in vacanza. Leggendo la chat dei rider, capii che era successo un macello. Poi seppi che avevano dovuto amputargli la gamba».Qual è stata la giornata peggiore nella sua carriera di fattorino?«Ne ho avute talmente tante che sto appuntando tutto ciò che mi capita per farne un film. Gente che fa l'ordine e quando citofoni non risponde; li chiami e ti dicono che sono al cinema. Clienti che non possono ricevere la consegna perché il compagno li ha chiusi a chiave in casa. Una volta, mi aprì una ragazza appena uscita dalla doccia. Nuda».Questo non lo inserirei tra gli episodi infami.«No, quello fu divertente. Poi ci sono gli stronzi».Mi racconti del Re degli stronzi.«Mezzogiorno. Arrivo in un complesso di uffici con custode, ci saranno state dentro 1.000 persone. Per un'ora provo a individuare la società dove lavora il cliente, dato che non aveva specificato il nome. Alla fine si palesa, furente, e mi dice: “Io la faccio licenziare!". La mia risposta: “Se è così potente, prima mi faccia assumere"».La consegna più strana?«Un articolo erotico. In farmacia mi domandarono quale dimensione desiderassi. Chiamai il cliente e passai il telefono alla farmacista. Una conversazione tragicomica: “Ma lo vuole da borsetta, normale o extra?"».Si sarà fatto un'idea pittoresca del genere umano…«Più di tutto, mi accorgo che, oltre a essere sfruttati dall'azienda, siamo visti come servi anche dai clienti. Per non parlare dei ristoratori che non ci fanno entrare perché “Non voglio mica che la gente vi veda!"».In effetti, si dice che i rider siano i nuovi schiavi. Questo la mette in imbarazzo quando deve rivelare che mestiere fa?«Prima no. Ora mi vergogno, perché col tempo mi sono reso conto della considerazione che le persone hanno di noi».Ma il gioco vale la candela?«Ogni tanto me lo domando anch'io. È pura sopravvivenza».A cosa pensa mentre pedala?«Prego».Davvero?«Sì. Per le tragedie che accadono nel mondo, per la gente che sta male. E prego di smettere il prima possibile con questo lavoro».Alla fine del mese, quanto porta a casa?«Circa 400-500 euro. Se pedali 13 ore al giorno il discorso cambia, puoi guadagnare fino a 2.500 euro».E chi ce la fa a pedalare per 13 ore?«Gli extracomunitari arrivano anche a 16. Il limite massimo sarebbe 11, ma si scambiano gli account per farne di più. Molti non hanno il permesso di soggiorno, quindi utilizzano le generalità di chi è in regola».Quanto incidono le mance?«Pochissimo. È pieno di morti di fame, specie tra i ricchi. Sono più attenti i portinai, o gli addetti dei garage: loro sanno cosa vuol dire lavorare. Uno generoso è Paolo Maldini. Quando i rider vedono una richiesta di consegna al suo indirizzo, fanno a gara per prenderla. Ad alcuni ha dato anche 50 euro di mancia. Un vero signore».Lo stereotipo è che il food delivery sia un'attività ad interim appannaggio di giovani e immigrati. È davvero così?«Basta aprire la finestra per vedere come stanno le cose. Se gli immigrati costituiscono la stragrande maggioranza, gli altri sono soprattutto italiani dai 40 anni in su. Ho conosciuto una pensionata ultrasettantenne che, per arrotondare, faceva consegne in macchina per Foodora. I giovani, dopo qualche giorno, scappano e vanno a lavorare al bar; guadagnano di più e fanno meno fatica».Subito dopo l'insediamento del governo Lega-M5s, il ministro del lavoro Luigi Di Maio annunciò rigidi provvedimenti per regolamentare l'operato delle startup a tutela dei rider. Qualcosa è cambiato?«Praticamente nulla, a parte un provvedimento tampone sulle assicurazioni. Non c'è Inail, niente Inps e scatti di anzianità, nessun tipo di copertura. È un anno che promette e i salari sono sempre più bassi. Stiamo arrivando a 2,5 euro lordi a consegna».Si sarebbe aspettato di rimanere escluso dal mercato del lavoro a 44 anni?«Mai. A 13 anni lavoravo già come fonico in un negozio di strumenti musicali. Non avevo mai avuto problemi. In un primo momento, pensavo di potermi riciclare con le mie competenze, ma trovai porte chiuse ovunque. Mi resi conto che, con la crisi, non stava in piedi più niente».Come ha fatto a mantenersi per otto anni senza un reddito?«Vendendo tutto quello che potevo vendere. Dalle barche a un camper, fino alle attrezzature. Ho fatto anche le bancarelle».Può dire di avere toccato il fondo?«Sì, con la depressione. Una malattia subdola che richiede molto tempo per essere curata. Ne sono uscito grazie ai farmaci».C'è la tendenza, in parte giustificata, a denigrare le società di consegna online. Nel suo caso, però, sono state un appiglio in un momento drammatico.«È vero, ma l'errore che fanno in tanti è accettare l'adagio che le startup danno lavoro a migliaia di persone. La realtà è che queste aziende hanno capito che i poveracci sono galline dalle uova d'oro. Non è possibile che, in un paese come l'Italia, si tolleri questo livello di schiavismo».So che, tra una consegna e l'altra, si sta organizzando per tornare a fare l'imprenditore.«Sono anni che ci lavoro giorno e notte, investendo una parte dei miei guadagni da rider. Ormai è questione di mesi. Partirò con un service audio e video, mi rivolgerò alle agenzie coprendo eventi, cerimonie, feste». Cosa le resterà di questi anni, quando smetterà?«Nulla. Sarà come essere uscito dal carcere».
Ansa
Centinaia di tank israeliani pronti a invadere la Striscia. Paesi islamici coesi contro il raid ebraico in Qatar. Oggi Marco Rubio a Doha.
iStock
Considerato un superfood, questo seme (e l’olio che se ne ricava) combatte trigliceridi, colesterolo e ipertensione. E in menopausa aiuta a contrastare l’osteoporosi. Accertatevi però di non essere allergici.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Parla Roberto Catalucci, il maestro di generazioni di atleti: «Jannik è un fenomeno che esula da logiche federali, Alcaraz è l’unico al suo livello. Il passaggio dall’estetica all’efficienza ha segnato la svolta per il movimento».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci