2024-11-14
Col ricorso sui respingimenti i giudici mirano a scavalcare pure il nuovo regolamento Ue
Le toghe chiedono che le liste dei Paesi sicuri siano reinserite nei decreti ministeriali. Così ridiventeranno vulnerabili. E per valutare gli Stati vogliono usare «fonti proprie».Chi comanda in Italia? Il popolo o un’autocrazia non eletta? Il post di Elon Musk sulla magistratura non è soltanto la provocazione di un eccentrico magnate, galvanizzato dal suo successo politico. Viste le picconate al protocollo Albania e le motivazioni con cui i giudici si sono rivolti alla Corte Ue, la questione si è fatta seria. Molto più di quattro parole in libertà su X. I contenuti dell’appello all’Europa, in effetti, mostrano che le toghe hanno davvero intenzione di ipotecare le scelte del nostro Paese sull’immigrazione. Anche abbandonando il feticcio del primato del diritto dell’Unione. Vediamo perché.Nel 2026 entrerà in vigore un nuovo regolamento comunitario, capace di superare alcune delle limitazioni imposte dalla recente sentenza del Lussemburgo. In particolare, esso ammette la possibilità di qualificare come sicuro un Paese terzo anche con l’eccezione di parti del suo territorio, o di alcune categorie di persone «chiaramente identificabili». È una novità importante: proprio appigliandosi al problema delle eccezioni e al verdetto Ue del 4 ottobre, i giudici italiani hanno bocciato la designazione di Paese sicuro attribuito a Bangladesh ed Egitto. Così, hanno più volte negato il permesso di trattenere in Albania i migranti bengalesi ed egiziani. In virtù dell’intesa siglata con Edi Rama, difatti, nel Cpr di Gjadër possono rimanere solo uomini adulti, non vulnerabili e non provenienti da nazioni pericolose, sottoposti quindi alla procedura accelerata per il rimpatrio.Certo, rimandare di oltre un anno l’entrata a regime del protocollo albanese sarebbe comunque un insuccesso per Giorgia Meloni. Ma intanto, dal 2026, dovrebbe evaporare il busillis giuridico. Sì, salvo che non siano accolti gli argomenti addotti lunedì dal tribunale di Roma, nel rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. In quel caso, i giochi si complicherebbero.Il fatto è che la sezione immigrazione della Capitale, a metà ottobre, aveva potuto contraddire facilmente l’elenco dei Paesi sicuri, che era contenuto in un decreto interministeriale. Ossia, una fonte del diritto secondaria, dunque subordinata alla direttiva europea vigente, interpretata dalla Corte del Lussemburgo. Ma siccome l’esecutivo, adesso, ha incorporato quella lista in un decreto legge, trasformandola in una norma di rango primario, i magistrati si sono sentiti costretti a rivolgersi all’oracolo lussemburghese. Dei quattro quesiti che hanno posto, il primo e il terzo sono quelli cruciali. Se passassero, la loro facoltà di mettere in questione gli elenchi governativi potrebbe sopravvivere persino all’entrata in vigore del prossimo regolamento Ue. Insomma, se già da maggio gli esponenti di Magistratura democratica, con le dotte disquisizioni sul Web di Silvia Albano, si organizzavano per smontare il modello Albania, ora le toghe stanno preparando il terreno in vista del 2026.Nel quesito numero uno, i giudici ricordano che, prima che spuntasse il decreto Paesi sicuri (poi confluito in un emendamento al dl Flussi), il processo di designazione degli Stati d’origine «si articolava in due distinte fasi». Una, affidata alla legge ordinaria, che «dettava (e tutt’ora detta) […] il metodo da osservarsi, le fonti informative da adoperare e gli specifici elementi di valutazione da prendere in esame nel successivo procedimento amministrativo - demandato ad organi del potere esecutivo - di selezione in concreto dei Paesi terzi da includere nell’elenco». In breve: c’era una norma che prescriveva i criteri generali e c’era un «decreto interministeriale» che, applicandoli, redigeva la lista. Con l’ultimo intervento del governo, però, tale «struttura bifasica» è stata «soppressa»: la facoltà di individuare i Paesi sicuri è stata affidata «al solo legislatore ordinario». A parere del tribunale di Roma, questo cambiamento sarebbe incompatibile con il diritto europeo.La strategia è chiara: la magistratura invoca il ripristino della fonte secondaria, che le sarebbe più semplice sconfessare. Qualora la Corte Ue non avesse nulla da obiettare alla recente legge sui Paesi sicuri, disapplicarla e negare i trattenimenti nel Cpr balcanico diverrebbe alquanto arduo. Ma se intanto il collegio confermasse che l’elenco va inserito in un decreto interministeriale, i giudici avranno facoltà di rilevarne l’illegittimità, non convalidando i trattenimenti. Ovviamente, avrebbero bisogno di dimostrare che il suddetto decreto ignora i crismi fissati dalla legge, la fonte primaria del diritto. Oggi tenuta ad accogliere la tesi della Corte europea: un Paese può essere considerato sicuro solo se lo è nella sua interezza. Dal 2026, tuttavia, la normativa potrebbe ammettere pure le famigerate eccezioni territoriali e personali. Ed è qui che s’inserisce il terzo quesito rivolto alla Corte Ue.Il tribunale chiede l’autorizzazione a servirsi di «proprie fonti informative qualificate […], al fine di ricercare e acquisire elementi di conoscenza che possano essere confrontati con quelli su cui si fonda la qualificazione di uno Stato terzo come Paese di origine sicuro […], ovvero […] che possano essere adoperati per svolgere un’autonoma valutazione». Ci siamo. Con un via libera dalla Corte europea, le toghe potrebbero proseguire a fare da controcanto al governo persino una volta che fosse ammessa la liceità delle eccezioni. Infischiandosene del tanto sbandierato primato Ue, potrebbero vanificare il chiaro orientamento politico di Bruxelles, che intende porre un argine agli ingressi illegali. Basterà selezionare in maniera «autonoma» le «fonti informative qualificate» e collezionare qualche notizia, per concludere, nel giro di poche paginette, che uno Stato considerato sicuro dall’Italia sicuro non è affatto. Ci ha già provato il tribunale di Catania: gli esiti sono stati oltremodo discutibili. Per contestare la designazione dell’Egitto, ha tirato in ballo la pena di morte, che sarà inumana, ma esiste pure negli Usa e in Giappone, dove rispediremmo in quattro e quattr’otto qualunque irregolare, a meno che non sia egli stesso un condannato alla pena capitale; ha lamentato le «restrizioni alla libertà personale e alla libertà di parola e di stampa», le stesse che la sinistra rinfaccia ogni due per tre pure alla Meloni; e ha denunciato il ricorso alla «detenzione preventiva», una pratica cui nemmeno la nostra nazione è sempre estranea.A luglio 2025 scopriremo come la pensa la Corte Ue. Nella peggiore delle ipotesi, data la pletora di aggressioni ai capitreno perpetrate dai richiedenti asilo, toccherà confidare in un magistrato coerente. Uno disposto a riconoscere che, ormai, nemmeno l’Italia è più un Paese sicuro.
Jose Mourinho (Getty Images)