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2021-12-28
Ricciardi insiste sulla 4ª dose ma Oms, Israele, Fauci e Cts vanno tutti da un’altra parte
Walter Ricciardi (Ansa)
In piena campagna vaccinale per la terza dose (booster) anti-Covid, prevede la necessità di un quarto richiamo da fare a maggio o giugno, Walter Ricciardi, solerte consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza. La proposta, lanciata in un’intervista al Messaggero, oltre ad avere scarse basi scientifiche e ad alimentare la confusione, è in netto contrasto anche con quanto espresso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dove Ricciardi, tra l’altro, siede in consiglio come rappresentante per l’Italia.
Probabilmente il professore di Igiene della Cattolica di Milano si è ispirato a quanto messo in campo recentemente da Israele che, primo Paese a partire con il booster e a prevedere il richiamo, ha però di fatto bloccato, nei giorni scorsi, la quarta somministrazione. Incurante, Ricciardi però tira dritto e mette in guardia sull’impennata «impetuosa» dei contagi a gennaio in Italia che quest’anno, osserva, ha lottato bene contro il virus. «Abbiamo subìto la conseguenza delle scelte sbagliate di altri», secondo il professore. «Non è un caso che le tre varianti che hanno caratterizzato il 2021, siano arrivate da Paesi simbolo. La prima dal Regno Unito, che non ha fatto nulla per fermare il virus. La seconda dall’India, che aveva abbassato la guardia. E quest’ultima dal Sudafrica, dove si è diffusa perché la copertura vaccinale è minima. Ora finiamo il 2021 con una quarta ondata superiore per casi alle precedenti e la necessità di accelerare sulla terza dose». Non si capisce bene perché per Ricciardi «ci sarà bisogno di una quarta» dose che definirebbe «richiamo» tra alcuni mesi, «a maggio o giugno» se, come ammette, «per l’aumento dei casi le norme che abbiamo si sono dimostrate efficaci. L’impennata dei casi è impetuosa ma grazie al vaccino preme poco sulla rete ospedaliera rispetto al passato». Il consulente di Speranza, inoltre, prevede che a gennaio «andremo oltre i 100.000 contagi al giorno», ma non crede «tornerà il lockdown totale: le regioni diventeranno arancioni e rosse, con le limitazioni che conosciamo. Ci saranno restrizioni solo per i no vax, perché a pesare sui sistemi sanitari saranno loro'».
Di tutt’altro avviso è però l’Oms che boccia la terza dose, figurarsi la quarta. «È probabile che i programmi con le dosi booster generalizzate prolunghino la pandemia invece di porre fine» alla diffusione del Covid, per il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, che sottolinea come le campagne incentrate sulla terza dose di vaccino Covid rischino di produrre risultati opposti a quelli sperati. «È importante ricordare che la stragrande maggioranza dei ricoveri e dei decessi riguarda persone non vaccinate, non persone prive della dose booster. E dobbiamo essere molto chiari sul fatto che i vaccini che abbiamo rimangono efficaci contro entrambe le varianti Delta e Omicron», aggiunge Ghebreyesus evidenziando la necessità di distribuire i vaccini dove scarseggiano anche le prime dosi. «Nessun Paese può uscire dalla pandemia a colpi di dose booster. E le terze dosi non possono essere viste come un biglietto per andare avanti con le festività programmate, senza bisogno di altre precauzioni», avverte. «Mentre alcuni paesi stanno lanciando programmi con il richiamo» delle vaccinazioni per tutta la popolazione, ricorda, «solo la metà degli stati membri dell’Oms è stata in grado di raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 40% della propria popolazione entro la fine dell’anno, a causa degli squilibri nell’offerta globale» di dosi.
Ha frenato sulla quarta dose anche Israele, all’avanguardia nella campagna dei richiami e per questo di riferimento a livello globale, anche se ha solo il 60% della popolazione vaccinata. Il ministero della Sanità ha fatto scattare il semaforo rosso sul quarto richiamo - che avrebbe dovuto essere somministrato da domenica ad over 60 e personale sanitario - dopo aver esaminato i dati provenienti dalla Gran Bretagna secondo i quali la variante Omicron del coronavirus causa malattie meno gravi rispetto al ceppo Delta. È comunque in corso uno studio sul quarto richiamo negli operatori sanitari dello Sheba Hospital di Tel Aviv, ma i dati richiedono settimane. Anche Oltreoceano «è prematuro parlare di una quarta dose», per Anthony Fauci, consigliere principale del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.
In Italia, la voce di Ricciardi si leva solitaria perfino all’interno dello stesso ministero della Salute. Il sottosegretario Pierpaolo Sileri ha chiarito che «sia l’estensione della terza dose agli under 18 che la somministrazione di una eventuale quarta dose sono ipotesi da verificare alla luce dei numeri che emergeranno nelle prossime settimane sulla prevalenza della variante Omicron e sulla sua possibile minore aggressività, come sembrerebbe stando ad alcuni studi preliminari provenienti dal Sudafrica e dal Regno Unito». Dello stesso avviso anche Donato Greco, componente del Comitato tecnico scientifico (Cts). A differenza del consulente ministeriale, osserva che al momento «non ci sono ancora dati che giustifichino la quarta dose di vaccino anti Covid».
Nei numeri Iss mancano i reinfettati e non si sa come agisce la variante
Solo «fino al 19%» può arrivare la protezione contro la reinfezione da Omicron, eppure l’Istituto superiore di sanità non possiede o non rende pubblico un database dei soggetti reinfettati. Stando a recenti studi, ci sono persone che hanno sviluppato meno anticorpi dopo aver contratto il Covid, perciò rischierebbero più di altri una seconda infezione.
Già ne abbiamo scritto, la variante sudafricana «elude in gran parte l’immunità ottenuta con la malattia e quella con due dosi di vaccino» anti Covid, ha evidenziato l’ultimo report dell’Imperial College di Londra che ha preso in esame dati della Uk Health security agency e del Servizio sanitario nazionale (Nhs), ovvero tutti i casi di coronavirus confermati nel Regno Unito con un test molecolare tra il 29 novembre e l’11 dicembre. Hans Kluge, direttore dell’ufficio regionale dell’Oms per l’Europa, ha dichiarato che i guariti da Covid e coloro che hanno avuto Covid-19 in passato, hanno «da tre a cinque volte più probabilità di essere reinfettati da Omicron rispetto a Delta».
In Italia non mancano casi anche tra personaggi noti, come il presidente della Conferenza episcopale italiana, Gualtiero Bassetti, di nuovo positivo al Covid proprio il giorno di Natale dopo aver contratto la malattia più di un anno fa. «In questo momento rinnovo l’invito, che faccio a me stesso, a non cedere allo sconforto», ha detto il cardinale. Sante parole, ma tra i tanti dati di cui ci sommerge l’Iss non potrebbero comparire anche i numeri dei reinfettati?
Così potremmo capire come sta agendo questa variante che non risparmia i vaccinati con doppia dose e i già contagiati; potremmo comprendere se è stato fatto un sequenziamento del virus per dimostrare la diversa presenza di varianti, se ci sono persone che hanno preso il virus originario e poi una sua variante. Ed è altrettanto necessario sapere quanti, dei nuovamente contagiati, hanno sviluppato forme severe tali da finire in ospedale, o in rianimazione, e se queste persone sono state anche vaccinate tra un contagio e l’altro.
«La metà delle persone con sintomi simili al raffreddore ora ha il Covid», ha dichiarato il professor Tim Spector, scienziato capo dell’app Zoe Covid study, con la quale monitora l’andamento della pandemia nel Regno Unito. In Italia abbiamo bollettini incompleti, o zeppi di incomprensibili algoritmi lontani dal fotografare la situazione reale. Ci si limita a riportare i casi di Covid segnalati per classe di età, decessi, ricoveri e stato clinico che può essere critico, severo, lieve, paucisintomatico e asintomatico.
La voce «reinfettato» non compare nella dashboard dell’Istituto superiore della sanità. «L’Iss sta conducendo uno studio specifico sul tema, che è in dirittura finale e dovrebbe essere presentato e pubblicato la prossima settimana», facevano sapere da Viale Regina Elena una decina di giorni fa. Poi c’è stato Natale, attendiamo fiduciosi. In compenso, nel report aggiornato il 21 dicembre, l’Iss segnala che «la percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è in diminuzione».
Non è questione di poco conto, avverte: «La diminuita percentuale di casi identificati a livello nazionale attraverso l’attività di tracciamento dei contatti e i segnali di criticità nel tracciamento registrati in diverse Regioni Italiane dal sistema di monitoraggio nelle ultime settimane sono segnali da non trascurare, in quanto il tracciamento dei contatti è una delle azioni con cui limitare l’aumento della circolazione virale». Tanta preoccupazione per questa variante e poi si conteggiano i positivi solo se hanno fatto il tampone.
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Il consigliere di Roberto Speranza tira dritto su un altro richiamo in primavera. L’organismo internazionale: «Non si esce dalla pandemia a colpi di booster». Pierpaolo Sileri: «Prima i dati».Bollettini incompleti: Omicron non risparmia vaccinati con doppia dose e già contagiati.Lo speciale contiene due articoli.In piena campagna vaccinale per la terza dose (booster) anti-Covid, prevede la necessità di un quarto richiamo da fare a maggio o giugno, Walter Ricciardi, solerte consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza. La proposta, lanciata in un’intervista al Messaggero, oltre ad avere scarse basi scientifiche e ad alimentare la confusione, è in netto contrasto anche con quanto espresso dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dove Ricciardi, tra l’altro, siede in consiglio come rappresentante per l’Italia.Probabilmente il professore di Igiene della Cattolica di Milano si è ispirato a quanto messo in campo recentemente da Israele che, primo Paese a partire con il booster e a prevedere il richiamo, ha però di fatto bloccato, nei giorni scorsi, la quarta somministrazione. Incurante, Ricciardi però tira dritto e mette in guardia sull’impennata «impetuosa» dei contagi a gennaio in Italia che quest’anno, osserva, ha lottato bene contro il virus. «Abbiamo subìto la conseguenza delle scelte sbagliate di altri», secondo il professore. «Non è un caso che le tre varianti che hanno caratterizzato il 2021, siano arrivate da Paesi simbolo. La prima dal Regno Unito, che non ha fatto nulla per fermare il virus. La seconda dall’India, che aveva abbassato la guardia. E quest’ultima dal Sudafrica, dove si è diffusa perché la copertura vaccinale è minima. Ora finiamo il 2021 con una quarta ondata superiore per casi alle precedenti e la necessità di accelerare sulla terza dose». Non si capisce bene perché per Ricciardi «ci sarà bisogno di una quarta» dose che definirebbe «richiamo» tra alcuni mesi, «a maggio o giugno» se, come ammette, «per l’aumento dei casi le norme che abbiamo si sono dimostrate efficaci. L’impennata dei casi è impetuosa ma grazie al vaccino preme poco sulla rete ospedaliera rispetto al passato». Il consulente di Speranza, inoltre, prevede che a gennaio «andremo oltre i 100.000 contagi al giorno», ma non crede «tornerà il lockdown totale: le regioni diventeranno arancioni e rosse, con le limitazioni che conosciamo. Ci saranno restrizioni solo per i no vax, perché a pesare sui sistemi sanitari saranno loro'».Di tutt’altro avviso è però l’Oms che boccia la terza dose, figurarsi la quarta. «È probabile che i programmi con le dosi booster generalizzate prolunghino la pandemia invece di porre fine» alla diffusione del Covid, per il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, che sottolinea come le campagne incentrate sulla terza dose di vaccino Covid rischino di produrre risultati opposti a quelli sperati. «È importante ricordare che la stragrande maggioranza dei ricoveri e dei decessi riguarda persone non vaccinate, non persone prive della dose booster. E dobbiamo essere molto chiari sul fatto che i vaccini che abbiamo rimangono efficaci contro entrambe le varianti Delta e Omicron», aggiunge Ghebreyesus evidenziando la necessità di distribuire i vaccini dove scarseggiano anche le prime dosi. «Nessun Paese può uscire dalla pandemia a colpi di dose booster. E le terze dosi non possono essere viste come un biglietto per andare avanti con le festività programmate, senza bisogno di altre precauzioni», avverte. «Mentre alcuni paesi stanno lanciando programmi con il richiamo» delle vaccinazioni per tutta la popolazione, ricorda, «solo la metà degli stati membri dell’Oms è stata in grado di raggiungere l’obiettivo di vaccinare il 40% della propria popolazione entro la fine dell’anno, a causa degli squilibri nell’offerta globale» di dosi.Ha frenato sulla quarta dose anche Israele, all’avanguardia nella campagna dei richiami e per questo di riferimento a livello globale, anche se ha solo il 60% della popolazione vaccinata. Il ministero della Sanità ha fatto scattare il semaforo rosso sul quarto richiamo - che avrebbe dovuto essere somministrato da domenica ad over 60 e personale sanitario - dopo aver esaminato i dati provenienti dalla Gran Bretagna secondo i quali la variante Omicron del coronavirus causa malattie meno gravi rispetto al ceppo Delta. È comunque in corso uno studio sul quarto richiamo negli operatori sanitari dello Sheba Hospital di Tel Aviv, ma i dati richiedono settimane. Anche Oltreoceano «è prematuro parlare di una quarta dose», per Anthony Fauci, consigliere principale del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.In Italia, la voce di Ricciardi si leva solitaria perfino all’interno dello stesso ministero della Salute. Il sottosegretario Pierpaolo Sileri ha chiarito che «sia l’estensione della terza dose agli under 18 che la somministrazione di una eventuale quarta dose sono ipotesi da verificare alla luce dei numeri che emergeranno nelle prossime settimane sulla prevalenza della variante Omicron e sulla sua possibile minore aggressività, come sembrerebbe stando ad alcuni studi preliminari provenienti dal Sudafrica e dal Regno Unito». Dello stesso avviso anche Donato Greco, componente del Comitato tecnico scientifico (Cts). A differenza del consulente ministeriale, osserva che al momento «non ci sono ancora dati che giustifichino la quarta dose di vaccino anti Covid».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ricciardi-insiste-quarta-dose-2656167678.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nei-numeri-iss-mancano-i-reinfettati-e-non-si-sa-come-agisce-la-variante" data-post-id="2656167678" data-published-at="1640645986" data-use-pagination="False"> Nei numeri Iss mancano i reinfettati e non si sa come agisce la variante Solo «fino al 19%» può arrivare la protezione contro la reinfezione da Omicron, eppure l’Istituto superiore di sanità non possiede o non rende pubblico un database dei soggetti reinfettati. Stando a recenti studi, ci sono persone che hanno sviluppato meno anticorpi dopo aver contratto il Covid, perciò rischierebbero più di altri una seconda infezione. Già ne abbiamo scritto, la variante sudafricana «elude in gran parte l’immunità ottenuta con la malattia e quella con due dosi di vaccino» anti Covid, ha evidenziato l’ultimo report dell’Imperial College di Londra che ha preso in esame dati della Uk Health security agency e del Servizio sanitario nazionale (Nhs), ovvero tutti i casi di coronavirus confermati nel Regno Unito con un test molecolare tra il 29 novembre e l’11 dicembre. Hans Kluge, direttore dell’ufficio regionale dell’Oms per l’Europa, ha dichiarato che i guariti da Covid e coloro che hanno avuto Covid-19 in passato, hanno «da tre a cinque volte più probabilità di essere reinfettati da Omicron rispetto a Delta». In Italia non mancano casi anche tra personaggi noti, come il presidente della Conferenza episcopale italiana, Gualtiero Bassetti, di nuovo positivo al Covid proprio il giorno di Natale dopo aver contratto la malattia più di un anno fa. «In questo momento rinnovo l’invito, che faccio a me stesso, a non cedere allo sconforto», ha detto il cardinale. Sante parole, ma tra i tanti dati di cui ci sommerge l’Iss non potrebbero comparire anche i numeri dei reinfettati? Così potremmo capire come sta agendo questa variante che non risparmia i vaccinati con doppia dose e i già contagiati; potremmo comprendere se è stato fatto un sequenziamento del virus per dimostrare la diversa presenza di varianti, se ci sono persone che hanno preso il virus originario e poi una sua variante. Ed è altrettanto necessario sapere quanti, dei nuovamente contagiati, hanno sviluppato forme severe tali da finire in ospedale, o in rianimazione, e se queste persone sono state anche vaccinate tra un contagio e l’altro. «La metà delle persone con sintomi simili al raffreddore ora ha il Covid», ha dichiarato il professor Tim Spector, scienziato capo dell’app Zoe Covid study, con la quale monitora l’andamento della pandemia nel Regno Unito. In Italia abbiamo bollettini incompleti, o zeppi di incomprensibili algoritmi lontani dal fotografare la situazione reale. Ci si limita a riportare i casi di Covid segnalati per classe di età, decessi, ricoveri e stato clinico che può essere critico, severo, lieve, paucisintomatico e asintomatico. La voce «reinfettato» non compare nella dashboard dell’Istituto superiore della sanità. «L’Iss sta conducendo uno studio specifico sul tema, che è in dirittura finale e dovrebbe essere presentato e pubblicato la prossima settimana», facevano sapere da Viale Regina Elena una decina di giorni fa. Poi c’è stato Natale, attendiamo fiduciosi. In compenso, nel report aggiornato il 21 dicembre, l’Iss segnala che «la percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è in diminuzione». Non è questione di poco conto, avverte: «La diminuita percentuale di casi identificati a livello nazionale attraverso l’attività di tracciamento dei contatti e i segnali di criticità nel tracciamento registrati in diverse Regioni Italiane dal sistema di monitoraggio nelle ultime settimane sono segnali da non trascurare, in quanto il tracciamento dei contatti è una delle azioni con cui limitare l’aumento della circolazione virale». Tanta preoccupazione per questa variante e poi si conteggiano i positivi solo se hanno fatto il tampone.
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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