
«ReArm» diventa «Prontezza 2030». Inquietante. Il commissario alla Difesa aveva detto: entro 5 anni «azioni su larga scala» contro i russi. Poi Bruxelles ha lanciato la versione più mite: «Safe» («Sicuri»).Nomina nuda tenemus, «Possediamo soltanto nudi nomi». Lo scriveva Bernardo di Cluny nel XII secolo, forse senza sapere che a volte bastano loro a scatenare il panico. Se non a provocare una guerra mondiale.Prendente il piano «ReArm» di Ursula von der Leyen: già la delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, la scorsa settimana, aveva espresso perplessità sull’etichetta bellicista affibbiata al programma per la sicurezza comune dell’Ue. In teoria, il nostro scopo dovrebbe essere la deterrenza, non la minaccia. E infatti i meloniani avevano suggerito di utilizzare la formula «Defend Europe». Giovedì sera, a margine del Consiglio, la presidente della Commissione ha invece lanciato lo slogan contenuto nel Libro bianco della Difesa: «Readiness 2030», «Prontezza 2030». Pronti a che? A qualcosa di inquietante, se bisogna attenersi alle parole pronunciate dal commissario Andrius Kubilius: «I servizi d’intelligence», ha detto martedì il lituano, dunque falco antirusso, «di recente hanno annunciato pubblicamente che il Cremlino si sta preparando a mettere alla prova l’articolo 5 della Nato prima del 2030. Ecco perché abbiamo bisogno di una roadmap per la prontezza entro il 2030, perché dobbiamo agire su larga scala». Proprio così: «Agire su larga scala». Cioè? Dovremo schierare gli ussari alati contro l’Armata rossa? Spediremo i tank ad assediare Volgograd-Stalingrado? Vedremo gli Eurofighter della Luftwaffe sorvolare la steppa? La tesi di Bruxelles, ovviamente, è che sarà Vladimir Putin ad assalirci; ma l’intensità della paranoia è tale, da giustificare qualche timore per gli intenti altrettanto irruenti delle democrazie continentali, in rotta con l’autocrate del Cremlino. È proprio questo il senso, tragico, del famigerato dilemma della sicurezza, considerato tra le cause scatenanti della prima guerra mondiale: percepisco il mio vicino come una minaccia; per dissuaderlo, mi armo fino ai denti; lui mi osserva e crede che il mio obiettivo sia aggredirlo; allora, si arma ancora di più; io me ne accorgo e mi convinco che il momento della sua imboscata si sia avvicinato; alla fine, uno dei due, per timore di essere attaccato, attaccherà per primo.Ecco perché non vanno presi sottogamba i commenti del Cremlino sulla «militarizzazione» dell’Europa. Secondo il portavoce dello zar, Dmitri Peskov, essi inquadrano «una tendenza molto, molto pericolosa», che «non ci avvicina in alcun modo alla distensione o al ripristino di una sfera di fiducia reciproca e non aggiunge sicurezza» al Vecchio continente. Sia chiaro: è stata Mosca a cominciare. Sono stati i carri con la «Z» impressa sulla corazza a sconfinare in Ucraina. Ed è comprensibile che i Paesi europei, specie quelli più vicini alla frontiera incandescente, cerchino di blindarsi. L’insofferenza dei russi però è un monito: l’Ue giura di voler rimanere sulla difensiva; loro sospettano che, semmai, si predisponga a colpirli in qualche modo. Appunto: c’è un clima di sfiducia. E la reciproca diffidenza - è l’esito del paradosso che illustravamo sopra - anziché renderci più sicuri, ci caccia in un pericolo maggiore. Le frasi di Kubilius, basate sui resoconti d’intelligence e sul timore, magari fondato, che Putin giochi sporco, rischiano di trasformarsi in una sorta di profezia che si autoavvera.Forse, nella capitale belga si sono resi conto che i «nudi nomi» stanno innescando un’insidiosa escalation verbale. Così, ieri hanno corretto il correttivo della Von der Leyen: «Preferiamo in effetti fare riferimento a “Safe”», ha spiegato una portavoce dell’esecutivo comunitario, alludendo al programma da 150 miliardi con cui i governi potranno ottenere prestiti da investire nella Difesa. «Siamo sensibili al fatto che il nome (“ReArm”, ndr) può scatenare alcune sensibilità in alcuni Stati membri. Se questo rende più difficile anche trasmettere il messaggio a tutti i cittadini dell’Ue sulla necessità di adottare queste misure, siamo tutti pronti non solo ad ascoltare, ma anche a riflettere nel modo in cui comunichiamo al riguardo». Tutta colpa nostra, che ci lasciamo spaventare dai cannoni e non cogliamo l’indubitabile «necessità» dei pugnaci propositi europei.Al di là della disputa sul marketing politico, si viene colti da un sospetto. A Bruxelles sono convinti che lo zar ci voglia stuzzicare, che voglia sincerarsi che la Nato, ossia gli americani, siano davvero disposti a spingersi fino al confronto termonucleare pur di proteggere gli alleati. Bisogna dedurne che i vertici della Commissione, da Ursula all’Alto rappresentante, Kaja Kallas, ritengono imprescindibile che gli ucraini continuino a combattere perché terranno impegnato Putin? Il ragionamento filerebbe liscio nel suo cinismo: finché si scannano loro nelle trincee, non tocca a noi. Finché muoiono loro sul campo di battaglia, noi ce ne possiamo stare al calduccio e divertirci ad approvare risoluzioni parlamentari degne dei manifesti interventisti del futurismo. A quelli le bombe, a noi i «nudi nomi». Con i quali, per ora, spariamo solo a salve.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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