2019-11-07
Riapre il cantiere della Costituzione per schivare il voto e blindare il Colle
Base elettorale del Senato «circoscrizionale» e riduzione dei delegati regionali per l'elezione del capo dello Stato. Le proposte dei pentadem servono a prendere tempo. E a limitare il potere del centrodestra.I capigruppo di maggioranza hanno presentato alla Camera un disegno di legge di riforma costituzionale che prevede due modifiche: che la base elettorale del Senato non sia più «regionale», ma «circoscrizionale», e che scenda da tre a due il numero dei delegati che ciascuna Regione esprime quando il Parlamento viene convocato per l'elezione del presidente della Repubblica.Il testo reca le firme dei grillini Anna Macina e Francesco Silvestri, di Federico Fornaro per Leu, di Maria Elena Boschi per Italia viva, e di Graziano Delrio per il Pd e Renate Gebhardt per le Autonomie. Ci sono anche i capigruppo di Italia viva e Pd in commissione Affari costituzionali, Marco Di Maio e Stefano Ceccanti. La proposta viaggerà in parallelo con l'altra riforma costituzionale già incardinata al Senato, concepita per rendere omogenea, in futuro, l'età dell'elettorato attivo e passivo di Camera e Senato (fissandola rispettivamente a 18 e 25 anni). Qual è il senso dell'operazione? Cercheranno di farlo passare per quello che non è: un mero adempimento tecnico, un puro intervento di sistemazione normativa inevitabilmente necessario dopo il taglio del numero di deputati e senatori. Ma, come accade ogni volta che si tocca la Costituzione, si tratta solo di scuse per operazioni molto più penetranti e invasive. In questo caso, almeno per cinque specifiche ragioni, si tratta di scelte ad altissimo impatto politico, malamente nascoste dalla foglia di fico delle tecnicalità. Primo. Si tratta di un evidente tentativo di allungare la legislatura, una sorta di respirazione bocca a bocca praticata a questo Parlamento, per allontanare il redde rationem elettorale, blindare nel palazzo partiti sempre più minoritari, e rassicurare il 70% dei parlamentari in carica che - secondo tutte le analisi - non sarebbero riconfermati in caso di nuove elezioni, e dunque lottano disperatamente per qualche mese in più di stipendio e di mutuo pagabile. Come La Verità ha già spiegato, è attualmente in corso un altro tentativo dilatorio, rappresentato dalle raccolte di firme per indire un referendum confermativo sul taglio dei parlamentari. La raccolta di firme popolare (scadenza poco dopo la Befana 2020) è un'impresa impossibile: si tratterebbe di raccogliere 500.000 firme, e non risultano code di italiani per far riaumentare il numero di deputati e senatori. Attenzione però alla raccolta di firme che è in corso non per strada, ma dentro le stanze di Montecitorio e Palazzo Madama (ben più agevole: in questo caso, basta un quinto dei membri di una Camera, appena 65 senatori oppure 126 deputati): anche qui la scadenza è intorno al 10-12 gennaio, e, se quegli esigui numeri scattassero, sarebbe necessario indire un referendum in primavera. Intendiamoci: in caso di crisi, nulla impedirebbe al capo dello Stato di sciogliere le Camere, ma certamente il Quirinale potrebbe avere una riserva a interrompere l'iter di un referendum costituzionale. Se, oltre a questo, si incardina - come ha fatto ieri la maggioranza - una riforma costituzionale, si tratta di un altro poderoso tentativo di allungare il brodo: per modificare la Costituzione occorrono quattro passaggi (non solo due come per una legge ordinaria), con tre mesi di distanza. Insomma, un tempo non piccolo. Secondo. È un chiaro tentativo di rendere ancora più lunga la striscia di presidenti della Repubblica eletti dal centrosinistra. A sinistra considerano il Quirinale un luogo che non può e non deve ospitare sensibilità culturali e politiche diverse. Se il successore di Sergio Mattarella fosse eletto in questa legislatura, grillini e Pd si sentirebbero già garantiti. Se fosse eletto nella prossima, le cose sarebbero ovviamente diverse, visti i sondaggi. Ma intanto - per non saper né leggere né scrivere - i giallorossi hanno deciso di dare una sforbiciata ai delegati espressi dalle Regioni, in 12 su 20 delle quali c'è una solida maggioranza di centrodestra. Terzo. Anche al di là del retropensiero della conta per il prossimo inquilino del Colle, siamo in presenza di uno schiaffo alle Regioni. Già il governo ha iniziato la melina sull'autonomia: e adesso arriva questo potente atto di ridimensionamento, come se le Regioni fossero un nemico da transennare. Quarto. È probabilmente l'aspetto più grave: l'offesa agli italiani, che già considerano moribondi questo Parlamento e questa maggioranza. E cosa fanno i giallorossi? Invece di preparare gli scatoloni, mettono altra carne al fuoco. Quinto. Siamo al paradosso: tra l'allineamento dell'età per votare ed essere votati, e il superamento della base regionale per l'elezione del Senato (che apre la strada a un sistema analogo a quello della Camera), si realizzerà una totale omologazione tra Montecitorio e Palazzo Madama. Da un lato, ed è la cosa che importa ai partitini, sarà possibile il recupero dei resti a livello nazionale, consentendo pure alle forze minori di eleggere qualche senatore; ma dall'altro si aggraverà quello che è già un difetto del nostro sistema: due Camere che fanno esattamente lo stesso mestiere. Ma, pur di durare e sbarrare il passo al centrodestra, i giallorossi sono pronti a qualunque acrobazia.
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