2025-06-13
«Restituiremo presto al ceto medio i tagli Irpef mangiati dall’inflazione»
Il viceministro Maurizio Leo: studiamo mix di interventi. Danni maggiori tra il 2021 e il 2023.Mentre le opposizioni alzano la voce, il governo di Giorgia Meloni prova a intervenire in maniera concreta su uno dei meccanismi più insidiosi per il potere d’acquisto dei lavoratori: il fiscal drag. È un un fenomeno tecnico ma dagli effetti tangibili, che erode gli aumenti salariali reali a causa della progressività dell’Irpef e dell’inflazione. Come già annunciato durante gli stati generali dei commercialisti proprio da Meloni nei giorni scorsi («Intendiamo concentrarci oggi sul ceto medio, che avverte di più il peso del carico tributario»), l’esecutivo si mette in moto. «Mentre le sinistre si limitano a sbraitare, il governo Meloni lavora per anestetizzare il fiscal drag», spiegava ieri il senatore di Fratelli d’Italia Giorgio Salvitti, componente della Commissione Finanze. Il riferimento è alle dichiarazioni del viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che sempre ieri ha ribadito l’impegno del governo a intervenire in favore del ceto medio, indicandolo come priorità dell’intera maggioranza. Dopo mesi di discussione sulla riforma dell’Irpef e sugli effetti dell’inflazione sui salari reali, Leo promette misure correttive per evitare che il peso dell’imposizione fiscale cresca proprio sui lavoratori che non vedono aumentare il proprio potere d’acquisto. «Con un’inflazione al 2% è chiaro che l’effetto fiscal drag si ribalti sulle fasce medio-basse, ma cercheremo di mitigare questa situazione», ha detto Leo, intervenendo a un incontro presso Unindustria a Roma. Il taglio del cuneo fiscale ha già esteso i beneficiari fino ai redditi da 40.000 euro, e ora, secondo il viceministro, il governo punta a un «mix di interventi» per evitare che la progressività dell’Irpef vanifichi gli aumenti salariali nominali. «Tutte le risorse possibili», ha rivendicato Leo, «le abbiamo concentrate sul ceto medio-basso, mantenendo in equilibrio i conti pubblici. Questo ci ha premiato sul fronte dei mercati, dello spread e delle agenzie di rating». L’intervento, che punta anche a neutralizzare gli effetti distorsivi del fiscal drag registrati soprattutto tra il 2021 e il 2023, sarà modulato in modo da non vanificare l’impatto positivo degli aumenti in busta paga. La realtà dei numeri sollevata nei giorni scorsi all’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) nel suo Rapporto annuale sulla politica di bilancio parla chiaro: il fiscal drag è tutt’altro che neutralizzato. Secondo una simulazione contenuta nel report, i lavoratori dipendenti hanno versato nel 2025 al fisco il 13% in più rispetto al 2022, con un aggravio complessivo di circa 370 milioni di euro, a inflazione invariata. Un effetto che, secondo Manageritalia, finisce per penalizzare soprattutto chi ha redditi medio-alti e un’imposizione fiscale crescente in misura sproporzionata rispetto all’incremento del reddito. Ma se da un lato il governo promette correttivi, dall’altro arrivano sollecitazioni affinché si pensi a una riforma strutturale. «Si continua ad analizzare il problema un pezzo per volta», ha dichiarato Massimo Fiaschi, segretario generale di Manageritalia, «Serve una svolta, un vero patto fiscale che premi il lavoro, sostenga la crescita, restituisca il fiscal drag e colpisca finalmente l’evasione». Il messaggio che arriva dalla maggioranza è chiaro: il centrodestra vuole mantenere la promessa del taglio delle tasse e farlo concentrando le risorse sui redditi medio-bassi. Ma resta aperta la questione dell’equità fiscale complessiva e della necessità di una riforma più ampia. Come sottolineato da Fiaschi, «non si risolve il problema tagliando fette sempre più piccole della stessa torta: bisogna pensare a come farla crescere». Nel prossimo autunno si capirà se l’esecutivo sarà in grado di passare dalle promesse ai fatti, trovando un equilibrio tra sostenibilità dei conti pubblici, sostegno al potere d’acquisto e incentivo alla produttività. Il tutto sotto lo sguardo vigile dei mercati, dell’Unione Europea e soprattutto dei contribuenti italiani.
Il primo ministro del Pakistan Shehbaz Sharif e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Getty Images)
Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco