2021-01-14
Renzi stacca la spina soltanto a metà: Conte è un flagello, ma potrei tenermelo
Il leader di Iv ritira i ministri Teresa Bellanova ed Elena Bonetti. L'unico veto però è solo a un esecutivo con la destra. Tutto il resto gli va bene.Uno due tre, dieci cento Matteo Renzi, nel giorno dello strappo, mentre tira i dadi del suo rien ne va plus e ritira le sue due ministre (più un sottosegretario) dalla coalizione facendo cadere il governo. Tanti Renzi, tutti insieme, in una sola conferenza stampa, e alcuni bisogna raccontarli, per capire cosa succede. Ecco un breve campionario di giornata. Renzi duro. «Se cercano i responsabili la risposta è: not in my name!». Renzi conciliante: «Noi non abbiamo veti su nessuno, noi non poniamo pregiudiziali su nessuno, nemmeno su Conte». Renzi sfidante: «Andare in Parlamento è la democrazia! Se Conte vorrà venire in Parlamento verrà a discutere con noi». Renzi retroscenistico: «È chiaro che non c'è un solo nome per Palazzo Chigi». Renzi rabbioso: «Avete preso in giro le nostre ministre! Avete preso in giro le donne di questo partito. Sugli aspetti fisici, sui loro vestiti! Adesso danno a tutti una lezione di coraggio». Difensivo: «Ci chiedono se è questo il momento di aprire una crisi. Ma durante la pandemia non è sospesa la democrazia!». Alla fine dunque, tanto tuonò che piovve: l'uomo di Rignano si presenta in conferenza stampa dopo le 18.20 (con quasi un'ora di ritardo sulla convocazione) lancia la bomba, rompe, e prova a ritagliarsi un ruolo da kingmaker, prova a cercare di dare ancora lui le carte. Finito questo governo, muore dalla voglia di diventare l'azionista del prossimo (qualunque esso sia), meglio se con un altro premier. Gli ingredienti dello spettacolo e gli interrogativi, ieri c'erano tutti: l'attesa, l'aspettativa, il rullo dei tamburi, l'incertezza. Per tutto il giorno i suoi avevano cannoneggiato, e vedendolo seduto al tavolo - giacca blu e cravatta blu - la prima cosa che colpiva era l'aspetto, il linguaggio del corpo. Non il cipiglio dell'ora grave, la grinta, ma addirittura il tono sollevato di chi si toglie un peso dalle spalle, il sorriso. Poi c'era il ritorno allo show renziano, come il regalo sospirato di un uomo in astinenza da media. Torna a chiamare i giornalisti per nome, a sparare le battute a raffica, a nominare un Pantheon - come ai tempi di Palazzo Chigi - con il desiderio di regalare la visibilità persino a Ivan Scalfarotto: «È seduto in prima fila qui in platea, ma solo per le norme sanitarie». Povero. In questa ora scarsa di teatro renziano, tante erano le piste, i messaggi ambigui (le porte non chiuse in linea di principio persino a un Conte ter) da rischiare di non capirci nulla. Ma allo stesso tempo, era possibile cogliere alcuni paletti disseminati qui e là. Ad esempio quello - importante - sul Mes: «Non prendere il Mes è da irresponsabili, noi ci siamo se c'è il Mes». Renzi sa che il Mes non piace al M5s, né a Conte. E quindi che senso ha porlo come pregiudiziale se si vuole ricucire una maggioranza con loro? Così come non c'è nessun veto su Conte, ma almeno dieci frasi contro di lui, a partire dalla pioggia di battute contro l'abuso dei social (da che pulpito!). Quindi Renzi non ha pregiudiziali su Conte, ma se leggi in controluce il senso dei segnali che lancia capisci che lo considera il suo vero bersaglio: «Le regole sono la sostanza!». E giù battuta (senza citarlo) persino sul ministro Roberto Gualtieri: «Se non ci fossimo opposti noi sarebbe passato un testo sul Recovery fund non letto nemmeno da chi teoricamente lo aveva scritto». Renzi si schermisce, si difende dalle accuse che stanno piovendo sulla sua testa in queste ore: «La crisi di governo è aperta da mesi, e non è stata aperta da Italia viva». E poi, per precisare cosa succede secondo lui aggiunge: «Siamo pronti a discutere di tutto: un governo con la stessa maggioranza, un governo tecnico oppure andare all'opposizione. Non ci interessa il nostro destino, ma quello del Paese. Siamo pronti insomma», aggiunge Renzi, «ad andare all'opposizione, perché non si vota ora, perché in Parlamento ci sono le condizioni per non andare alle urne». Così di questo grande volume di parole bisogna provare a trattenere un senso. Renzi è andato in battaglia, alla fine, con due possibili risultati utili e due possibili incubi che aleggiano sulla sua testa. Per uscire davvero vincitore di questa partita, infatti, l'uomo di Rignano deve ottenere un altro governo (di cui lui faccia parte) e deve portare a casa la certezza di non votare. E per non perdere la faccia deve ottenere la rimozione di Conte, e la fine della maggioranza giallorossa o - meglio ancora - il cambio del premier. Nessuno di questi obiettivi è facile, e lui lo sa. Certo, da un lato c'è la bellezza dei proclami: «Il re è nudo, guardate che ci vuole coraggio a dimettersi e a lasciare le poltrone». Dall'altro c'è il rischio più grande, quello di essere sostituito da forze nuove, essere costretto ad andare all'opposizione, diventare irrilevante: «Se siamo qui oggi significa forse che i responsabili non li hanno trovati, magari li trovano domani, eh...». Da cui le battute di stizza (sempre contro Conte): «Se c'è una crisi politica la si affronta nelle sedi istituzionali, non con i post su Facebook». Renzi lancia tanti messaggi, soprattutto al Pd: «Ho avuto coraggio anche per gli altri» (ovvero: ho realizzato quello che voi desideravate ma non avevate il coraggio di fare). Ed ecco il punto decisivo, quando Renzi parla delle ipotesi di un possibile premier: «Chi dice o c'è Tizio o c'è il voto, lui si che è irresponsabile!». Come dire: nessuna porta è chiusa, ovviamente. Ma si può fare benissimo un governo senza Conte (cioé Tizio). Gli chiedono persino se controlli il suo gruppo a Palazzo Madama. Lui risponde così: «Siamo tutti d'accordo, ma non siamo populisti, non abbiamo mandati in bianco». E dietro questa frase sibillina, forse, c'è la paura più grande ben nascosta dietro il sorriso di oggi. Andare in aula a Palazzo Madama, ed essere sconfitto nella conta del pallottoliere.