2019-03-24
Renzi si agita per far capire che c’è e invitare Zingaretti a «star sereno»
Le ossessive presenze in tv, il docuflop, le ospitate per il libro: il Bullo si dà da fare per marcare il territorio. Nella pervicace convinzione che ci sia un pubblico pronto a invocare il suo ritorno. Magari a Palazzo Chigi.Il Bullo è tornato. A onor del vero, non se n'era mai andato. Fa quasi sorridere ricordare oggi cosa disse, dopo il rovescio elettorale del 4 marzo, entrando in Senato qualche settimana dopo: «Ora starò zitto per due anni». E ai giornalisti aggiunse: «Non parlo, dovrete imparare a ignorarmi». Naturalmente, come larga parte delle promesse renziane (tipo quella di lasciare la politica se avesse perso il referendum), è finita come sapete: da un anno Matteo Renzi è ancora lì, come e più di prima, onnipresente e onniparlante. Presenze televisive ossessive (non è stato visto solo nelle rubriche del meteo e al segnale orario: ma non vorremmo dargli suggerimenti); una Leopolda da aspirante presentatore tv; un terrificante docufilm (meglio: docuflop, visti gli ascolti) su Firenze; il libro con un nuovo giro di ospitate in tv, più relativo tour in tutta Italia. L'aspetto è sempre lo stesso: lampadatissimo, rosso in viso tipo Sioux, solito repertorio di smorfie e faccine. E, su tutto, la pervicace convinzione che la sua autostensione sia necessaria, anzi indispensabile, e che ci sia un pubblico pronto a invocare il suo ritorno.Tutto farebbe invece pensare il contrario, a partire dagli ascolti televisivi. Dove appare, spesso l'effetto è da «sfollagente»: i telespettatori fuggono. Quando è andato da Fabio Fazio a presentare il suo libro Un'altra strada, un'altra strada l'hanno letteralmente presa gli spettatori, che hanno decretato la sconfitta di Che tempo che fa (Rai 1) a favore di Canale 5. Più recentemente, dopo le primarie del Pd in cui i candidati più vicini a lui non hanno rimediato una gran figura, sembrava che l'ex capo del Giglio Tragico fosse disposto a fare i conti con la realtà e a prendersi una pausa. Domenica scorsa, durante l'assemblea di incoronazione di Nicola Zingaretti, Renzi non s'era nemmeno presentato, e in compenso aveva postato su Facebook un augurio formalmente garbato: «Oggi Nicola Zingaretti inizia il suo lavoro come segretario nazionale del Pd. Un abbraccio a lui e a tutta la squadra. Avanti tutta!». Qualcuno ci aveva perfino creduto. Qualcun altro, perfidamente, aveva invece rievocato il celebre «Enrico, stai sereno» indirizzato a suo tempo a Enrico Letta. Gli ultimi eventi sembrerebbero dar ragione al secondo fronte, mostrando ancora una feroce volontà renziana di occupare il centro della scena. Se si dice che tre indizi facciano una prova, qui non serve neanche un genio investigativo alla Hercule Poirot. Primo indizio: qualche giorno fa (con clip sapientemente rilanciata dai siti dei giornaloni italiani) la partecipazione alla trasmissione tv francese L'Emission politique, un salotto ultramacroniano, dove Renzi ha recitato una filastrocca aggressivamente polemica contro una Marine Le Pen un po' annoiata e un po' sorpresa. Secondo indizio: ieri una pretenziosa articolessa sul Financial Times «as an Italian senator», cioè da senatore italiano, per dire che serve una soluzione su Brexit (ma guarda…) e che «there are big problems» (lo ha scritto davvero). Insomma, reduce da un referendum perso in Italia, Renzi spiega all'Uk e ai suoi governanti come gestire un referendum vinto. Terzo indizio: l'intervistona che l'altro giorno Luca Lotti ha concesso a Repubblica. Lotti ha usato toni lirici sul Giglio Magico («Era semplicemente un gruppo di persone che ha lavorato insieme e bene. È stato un periodo bellissimo. Non c'è una sola organizzazione in cui un capo, un leader non si circonda di persone preparate e di fiducia»), e poi ha sparato la bomba: «Renzi è un leader e lo sarà ancora. Penso che un giorno si giocherà le sue carte per tornare a Palazzo Chigi». Avete letto bene: le parole «Renzi» e «Palazzo Chigi» nella stessa frase.Immaginatevi il povero Zingaretti, che già, come si è visto all'assemblea di domenica scorsa, ha la sudorazione facile: l'altra mattina avrà sperimentato sudori caldi e freddi, leggendo quell'intervista. Ieri Repubblica ha perfino rincarato la dose, in un articolo dedicato all'esegesi del Lotti-pensiero, neanche si trattasse di interpretare Kant o Schopenhauer. E così, sono venuti fuori i timori di Luigi Zanda («Le dichiarazioni di Lotti su Renzi rivelano quella che è un'aspirazione dell'ex segretario») e le speranze di Alessia Morani («Matteo resta un leader al di là del ruolo e penso anch'io che un giorno tornerà il suo turno»). Poi tutti si giurano nuova ed eterna amicizia, c'è chi sottolinea il ruolo di Lotti come ipotetico pontiere tra vecchia e nuova segreteria. Sarà. Ma il piano di Renzi è sotto gli occhi di tutti: far capire ad amici e nemici che lui c'è ancora, come e più di prima. C'è solo un «dettaglio» che sembra sfuggirgli: sono tanti gli italiani che non lo reggono. E queste scenette ricordano quei vecchi attori che - con la tecnica della «carrettella» - non si rassegnano a uscire di scena, ma aggiungono un'altra battuta, improvvisano, ammiccano, nella speranza di strappare un applauso in più a un pubblico stanco, distratto, infastidito.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
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