2023-07-07
Renzi direttore resta querelomane. Porta in tribunale pure la Berlinguer
Bianca Berlinguer e Matteo Renzi (Ansa)
Bianca Berlinguer rivela: «Quando ero al Tg3, Matteo Renzi mi chiedeva ogni giorno due servizi contro Pier Luigi Bersani e i 5 stelle» E l’ex premier, che pure definisce il suo «Riformista» una «palestra di libertà», ricorre di nuovo ai giudici.«Il Riformista è una casa aperta al confronto». Querela. «Siamo una palestra di idee e di libertà». Querelona. «La mia passione è il rapporto verità-vitalità». Querelissima. Ci sono le parole e poi c’è Matteo Renzi che da artigiano fiorentino le modella, le interpreta, le manipola e alla fine ti porta in tribunale. Perché il vizietto non passa, il riflesso pavloviano lo insegue, lo pervade e alla fine lo domina. Lui diventa direttore di giornale, flauta di democrazia davanti allo specchio, magari nel chiuso del suo tinello da 200 metri quadri urla contro la vecchia passione questurina «esci da questo corpo», ma alla fine querela. Più di un Danilo Toninelli, quasi come un Gad Lerner.Il massimalismo del riformista illuminato dalla luna sta per cadere in testa a Bianca Berlinguer che andandosene dalla Rai a Mediaset ha rilasciato un’intervista al Fatto Quotidiano e si è tolta qualche sassolino. Uno particolarmente appuntito per chi ancora nutriva dei dubbi sui metodi del leader di Italia Viva quando era premier e dominus del Pd. «Il fatto che io sia una donna di sinistra, per qualcuno ha generato un’equazione. Che allora dovevo assecondare le decisioni di quella parte politica. In particolare era stata la pretesa di Matteo Renzi. Quando ero direttore del Tg3 richiedeva due servizi al giorno, uno contro i 5 stelle e un altro contro Pier Luigi Bersani. Vedo che oggi il suo giornale attacca me e gli altri perché avremmo ceduto al richiamo dei soldi».Ritagliata e ingrandita in corpo 20, la frase ha tolto il sonno a Renzi, che ha annunciato di «avere dato mandato ai propri legali di citare in giudizio civile e penale» lady Berlinguer. Nessuno in Rai si è stupito per l’accusa d’avere utilizzato il servizio pubblico come se fosse un servizio a ore, consuetudine trentennale della politica televisiva dominata dalla sinistra. La stessa che oggi denuncia con stentorea indignazione «l’okkupazione delle destre». Il periodo era quello di Renzi premier con due spine nel fianco in casa propria: il movimentismo grillino in ebollizione e il rosso antico di ritorno. Sono trascorsi sette-otto anni, lui se n’è andato per fondare un partitino ma da quelle parti il problema è rimasto lo stesso. Ovviamente solo Berlinguer conosce i contenuti delle eventuali sollecitazioni ma il menú di viale Mazzini era noto e l’ex sindaco di Firenze è sempre stato sensibile al moltiplicatore televisivo di potenza. Scriveva Giampaolo Pansa nel saggio L’Italia non c’è più (2017): «Al centro dell’Italia di oggi esiste un vuoto che chiunque può riempire. L’abbiamo compreso quando un signor Nessuno come Matteo Renzi, un premier bullo, presuntuoso e velleitario, ha tentato di diventare il padrone politico del Paese, un dittatore moderno. A fermarlo è stata la rabbia di milioni di cittadini, stanchi delle sue bugie, delle promesse a vuoto, della disinvoltura nel servirsi di qualsiasi mezzo pur di conquistare tutti gli anfratti del potere. A cominciare dall’uso spregiudicato del sistema televisivo e di un insieme indecente di clientele».Nessuna novità, è già tutto storicizzato. Rimane a galla qualche flash surreale, come l’imperdibile pranzo col Re Sole (il capitolo s’intitola così) descritto da Carlo Verdelli nel libro Roma non perdona, sottotitolo «come la politica si è ripresa la Rai», nel quale il monarca «finto concentrato» ascolta i progetti dell’autore per rivoluzionare l’azienda. E al culmine della narrazione (l’esperienza sarà un disastro) «mi interrompe mettendo una mano avanti come a frenarmi, sorride a bocca chiusa guardando il mio piatto e dice: “Sicuro, sì. Guarda però che il tuo filetto si fredda”». Di quella stagione imperiale vanno ricordati gli oltre 100 servizi televisivi fra l’Italia e l’estero, dedicati alle sue vacanze in Versilia. Con toni da istituto Luce: «Stamani Renzi ha letto i giornali e si è messo al lavoro con telefono e iPad». Da leader politico amava il pensiero unico e querelava tutti, soprattutto giornalisti. E se a lui veniva il gomito del tennista a forza di firmare procure, affidava il ruolo al Giglio magico. Da giornalista liberale, impegnato a sudare con la cyclette «in una palestra di idee e libertà» come quella del Riformista, continua a farlo. Almeno questa è coerenza. Non passa giorno in cui non critichi (spesso giustamente) le storture del sistema giudiziario, salvo poi usare sistematicamente le toghe come scacciacani. Il caso Berlinguer è solo l’ultimo di una lunga serie, vedremo come andrà a finire. Al Bullo i giornalisti non sono mai piaciuti, tranne quelli che gli stendono il tappetino e Beppe Severgnini, che nel 2013 voleva candidare nel Pd. Quanto alle critiche sul «richiamo dei soldi» della Bianca in uscita, non dovrebbe essere una colpa. Fra convegni, consulenze e viaggi dagli sceicchi, sul money colour Matteo d’Arabia potrebbe scrivere un lemma della Treccani.