2020-02-23
Luigi Zanda: «Renzi ha sbagliato più volte analisi e continua a compiere errori clamorosi»
È uno dei king's makers di Nicola Zingaretti, che gli ha dato il ruolo di tesoriere. «Ho trovato le casse oberate da spese e da debiti».Senatore Zanda, la «crisetta» è in corso, e il suo teatro principale è un luogo che lei conosce bene, Palazzo Madama.(Sorride). «Una piccola esperienza nei Palazzi me la sono fatta: circa mezzo secolo. Eh eh eh...».Lei è stato capogruppo, stratega di battaglie parlamentari. Come si procede?«I pallottolieri e le conte sono conseguenza delle scelte, e noi dobbiamo prima di tutto chiarirci le idee».Proviamoci.«Ad agosto abbiamo formato un governo di coalizione. In una maggioranza composita ogni partito ha il diritto di sostenere le sue idee. Ma queste condizioni impongono soluzioni concordate. Se si inizia con i diktat si entra in un gioco pericoloso». Italia viva sostiene che sulla riforma della giustizia serve libertà di coscienza.«Non scherziamo! Se pensano di imporre ultimatum del tipo: “O si fa così o rompo", la maggioranza finisce».Addirittura?«Altro esempio. Sul “Sindaco d'Italia" non si può accettare una imposizione».E se Renzi prosegue?(Sorriso). «Allora si prenda atto che quella coalizione è finita».Dice sul serio?«Ma ovvio: servono contrappesi, funzioni di garanzia. Parliamo anche della più delicata architettura della Repubblica».Per lei è una posizione strumentale?«Non mi interessa. Cambiare la Costituzione con un diktat è irresponsabile».Il suo erede al Senato, Andrea Marcucci, dice: «No ai responsabili e alle ingerenze in Italia viva».«Una maggioranza difende il suo perimetro. Un capogruppo deve difendere la maggioranza. E rispettare la libertà di mandato di fronte a senatori degni è un obbligo Costituzionale».Si può arrivare ad una mozione di sfiducia!«Lo so. Ma non mi fa paura».Parla Luigi Zanda, vecchia volpe di tre repubbliche: famiglia liberale, figlio di un grand commis d' État. Inizia la sua carriera da portavoce di Francesco Cossiga, si ritrova al Viminale durante il sequestro Moro. È l'uomo del Giubileo ai tempi di Francesco Rutelli. È stato capogruppo del Pd al Senato, fino alla sua clamorosa rottura con Matteo Renzi. È uno dei king's makers di Nicola Zingaretti, che gli ha dato un ruolo chiave: tesoriere. Lo intervisto durante l'Assemblea del Pd a Roma. Dorme la notte, avendo in mano la cassa del Pd?«Benissimo».Riesce a stare dietro a tutto?«Ho un controllo ferreo. Di questa assemblea posso dirle anche quanto costano i tramezzini».In che stato ha trovato i conti?«Il Pd dopo Renzi era oberato da spese correnti e debiti».E ora?«Non interpreto il ruolo da contabile: ma quando avrò finito il partito avrà le risorse per assolvere la sua missione politica. Cosa oggi impossibile».Ritorniamo al Senato. Crede alla mozione di sfiducia su Alfonso Bonafede?«Sarebbe autolesionismo».Addirittura?«Non prendiamoci in giro. Una mozione di sfiducia promossa da un partito di governo contro un ministro è una sfiducia al governo».Cioè una crisi?«Ma ovvio! Io ricordo un solo precedente: quello del ministro Filippo Mancuso». Lo seguii da cronista: il governo non cadde.«Per forza: cadde il ministro, che aveva contro tutti i partiti e il presidente del Consiglio! Qui è il contrario».Cioè?«Un partito che spara sul suo governo con un voto per farlo cadere. Si può?».E se il governo si salvasse con altri voti?«Se oltre a oscillazioni fisiologiche cambiasse la maggioranza bisognerebbe andare davanti al capo dello Stato».E certificare la nascita del famoso Conte ter?«Se si va da Mattarella decide lui che fare. Ecco a cosa serve un arbitro».Conte deve chiedere la fiducia o reagire solo a un agguato?«Non gli do suggerimenti. È uno sveglio».Da dove viene Zanda?«Mio padre era un liberale, un uomo di centro».Lei è nato in Sardegna, cresciuto a Roma.«Ho fatto il liceo al Tasso. E mi sono laureato a Macerata, tesi In diritto costituzionale sugli atti con forza di legge. Credo di un qualche valore accademico.»Il suo primo voto?«Più a sinistra di mio padre: Psdi».Politica da giovane?«Candidato per l'Ugi».Primo incarico di rilievo?«Con Cossiga nel 1974, portavoce di un ministero. Due anni dopo lo seguo al Viminale».Come era lui all'epoca?«Uomo strepitoso. Grande carattere, solidità di pensiero, cultura enciclopedica».La cosa più incredibile che è accaduta nei giorni di Moro?«I suoi capelli bianchi e la vitiligine, arrivati dopo la notizia del ritrovamento del cadavere di Moro».Possibile?«Sì. Fu uno choc. La vera ragione delle dimissioni era che Cossiga si ritrovò schiacciato dal senso di colpa: “Non sono riuscito a proteggerlo"».Riveli una cosa che non sa nessuno.«Un giorno il presidente mi chiama e mi dice: “Hai una bella cassaforte nel tuo ufficio? Ci devi mettere dentro questa!"».E cos'era?«Una lettera di dimissioni scritta a mano con grande pignoleria».Prima che accadesse?«Prima della morte di Moro. Una versione aveva come incipit l'idea che fosse stato liberato. Un'altra che fosse stato ucciso. Una terza immaginava lo scenario di uno scontro a fuoco».E poi?«Tutte si chiudevano con lo stesso esito: le dimissioni».E ora dov'è la minuta?«Nel dramma di via Fani è accaduto di tutto, non so dove sia finita. Forse è ancora lì, se c'è quella cassaforte. Avrebbe un valore storico inestimabile».E politicamente?«Ti spiega come ragionava quella classe dirigente. Altro che oggi!».Poi lei si ritrova a gestire il consorzio Venezia nuova. Ha lasciato il segno in qualcosa?«Il Mose è nato quando io presiedevo il consorzio. Ho fatto in tempo commissionare e a far elaborare il progetto di massima e me ne sono andato via».E lo difende oggi?«È il più grande e imponente progetto di ingegneria idraulica mai immaginato nella storia. Forse il più bello».Lo dice anche oggi?«Sull'esecuzione non ho responsabilità: l'idea è ambiziosa e geniale».E a Lottomatica?«Ho armonizzato la concessione alle regole europee. Abbiamo combattuto, e quasi debellato il gioco clandestino».E all'Agenzia del Giubileo?«Credo che sia il più importante e complesso evento organizzativo degli ultimi decenni che ha avuto un esito positivo».C'è Expo.G»ran bella impresa, certo: ma immagina un evento che dura un anno, in tutte le chiese di Roma, nelle proprietà di un altro Stato! Venti milioni di pellegrini e nemmeno un problema».Più difficile alla Rai?«Eeeeehhhh. Dico solo questo: sono entrato da paladino della televisione pubblica senza se e senza ma. Sono uscito che volevo privatizzare».Non ci credo.«Solo adesso ho ritrovato serenità e sono a metà strada».È stato capogruppo con Renzi e lo ha tradito?«Non penso che lo possa dire. Non c'è stata questione su cui non gli abbia manifestato lealtà, ma anche la mia opinione. Non lo avevo votato alle primarie e lui lo sapeva: sono stato sempre stato corretto».Però poi è passato con Nicola Zingaretti.«Dopo tutti gli errori che ha fatto: ma credo di aver avuto un ruolo decisivo nel garantirgli la maggioranza negli anni del suo governo, fra due nazareni e una scissione».Quando ha rotto?(Sorriso zandiano). «La lealtà non può comprendere la confisca della libertà di pensiero».Mi racconta un dissapore con Renzi?«Voleva le elezioni a marzo del 2017, convinto di stravincere».E lei?«Non sono d'accordo con te».Un altro?«Ero contrario alla commissione sulle banche a ridosso del voto. Lui l'ha pretesa ed è stato un massacro».Possibile non ci avesse pensato?«Renzi più volte ha sbagliato l'analisi politica.»E sul referendum?«È stato una grave errore la campagna elettorale, impostata populisticamente sul “Tagliamo delle poltrone"».E poi?«Subito dopo la sconfitta ha pensato che quel 40% fossero voti suoi. Per me è stato troppo».E ora come si sta comportando?«Ha fatto un altro errore clamoroso con la scissione».Beh, qui la controprova ancora non c'è.«Eccome! Pensava di prendere i voti a destra e a sinistra, invece è al palo».Perché?«L'Italia è stanca di leadership invadenti».E Zingaretti le va bene?«Non è certamente un tifoso della linea dell'uomo solo al comando. È molto inclusivo, un vero uomo di centrosinistra. Non è un estremista, non perde mai di vista il posizionamento politico».Addirittura!«In questo momento è prezioso per il Pd».Non le piace l'idea di Renzi di un governo istituzionale presieduto da Mario Draghi e da Marta Cartabia?(Sospiro. Pausa). «Suggerisco di lasciarli in pace».Esagerato.«So quel che dico. Francamente non meritano di essere tirati dentro per manovre politiche molto infelici e assai poco nobili».Non pensa a un altro governo?«Solo se cade questo. E in quel caso scommetterei sul voto».È sicuro?(Sorriso diagonale). «Credo di avere più fiuto di Matteo».
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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