
Dopo il veto di Downing street, la Scozia porta in tribunale l’Inghilterra per difendere la sua legge iper lassista sul cambio di sesso. Una battaglia ideologica che sta già producendo danni: una scuola consente ai dodicenni di «autodeterminarsi» in barba ai genitori.William Wallace si batteva per l’indipendenza con lo spadone in pugno. I suoi lontanissimi e discutibili discendenti hanno deciso di farlo impugnando la ben più controversa causa transgender. Per tre giorni, dal 19 al 21 settembre, il governo scozzese si presenterà di fronte alla Court of Sessions di Edimburgo per rivendicare autonomia decisionale, e lo farà trasportando lo scontro con l’Inghilterra sull’insidioso terreno delle istanze Lgbt. Tutto è iniziato nel dicembre del 2022, quando il Parlamento scozzese ha approvato una nuova legge sul riconoscimento di genere. Tale norma, spiega il quotidiano The Scotsman, «aveva lo scopo di semplificare e accelerare il processo che le persone transgender devono affrontare per ottenere il riconoscimento legale. Allo stato attuale la legislazione consentirebbe alle persone di autoidentificarsi e di ottenere un certificato di riconoscimento del genere senza dover prima ottenere una diagnosi medica». In buona sostanza, la Scozia aveva sdoganato l’autodefinizione di genere, la cosiddetta Self Id. Nel gennaio di quest’anno, però, è intervenuto Aleister Jack, il segretario agli Affari scozzesi del governo britannico, il quale ha fatto ricorso alla sezione 35 dello Scotland act, il trattato che istituisce il Parlamento scozzese. In estrema sintesi l’esecutivo inglese, in base a questo trattato, può porre il veto sulle norme deliberate dai parlamentari scozzesi. E così è stato per la legge sul riconoscimento di genere. A quel punto il primo ministro scozzese, Humza Yousaf, ha annunciato che avrebbe fatto ricorso contro il provvedimento britannico, ed ecco che - a distanza di alcuni mesi - è stata fissata la data dell’udienza. Che in ballo ci sia l’indipendenza scozzese è piuttosto evidente: si tratta, in fin dei conti, di una disputa sulla sovranità politica. Yousaf lo ha anche detto in maniera abbastanza esplicita. A suo parere, infatti, non opporsi all’uso della sezione 35 vorrebbe dire accettare che «il governo del Regno Unito possa porre il veto a qualsiasi legge con cui non è d’accordo a piacimento». In teoria, dunque, il primo ministro scozzese ha dalla sua molte e ottime ragioni. Dove sta allora il problema? Beh, sta nei contenuti della legge approvata dal Parlamento. Non è difficile immaginare che la Scozia abbia scelto di fronteggiare gli inglesi sui temi gender allo scopo di ottenere sostegno a livello internazionale: la battaglia per l’autonomia diviene «battaglia per i diritti», così da sollecitare la mobilitazione dell’attivismo arcobaleno. Insomma, le istanze Lgbt sono più che altro un pretesto. In questo modo, però, gli scozzesi giocano con il fuoco e rischiano di sdoganare alcune idee piuttosto pericolose, tra cui appunto l’autodeterminazione di genere. Per altro, a presiedere la Corte che a settembre ascolterà le ragioni dell’esecutivo di Scozia sarà Lady Haldane, una signora passata alla storia nel dicembre 2022 per aver cambiato la definizione di donna. Una organizzazione femminista chiama Women for Scotland si era rivolta al tribunale per contestare una norma scozzese promulgata nel 2018 che equiparava i transgender alle «donne biologiche». Ebbene, il giudice Haldane - con una sentenza impressionante - ha stabilito che il sesso non è soltanto quello «biologico o assegnato alla nascita», ma anche quello riconosciuto dai documenti di certificazione di genere. In buona sostanza, un maschio che si dichiara femmina e viene riconosciuto come tale sui documenti ufficiali deve essere considerato una donna. Come è fin troppo facile comprendere, che ad esaminare la legge scozzese sul riconoscimento di genere sia la Haldane non è esattamente una bellissima notizia: c’è da immaginare, infatti, che potrebbe difenderla per partito preso, in nome appunto dei presunti diritti arcobaleno. E quali possano essere le conseguenze del riconoscimento di tali «diritti» è proprio una vicenda scozzese a svelarlo. Il Daily Telegraph, un paio di giorni fa, ha raccontato il caso di una importante scuola privata di Edimburgo, il George Watson’s College. In base al regolamento interno dell’istituto, gli studenti che abbiano almeno 12 anni sono autorizzati a «scegliere un nuovo genere» senza che i loro genitori ne siano informati. Già: un ragazzino nemmeno adolescente, poco più che un bambino, può decidere di identificarsi come bambina. Gli insegnanti del college dovranno rispettare «i desideri del ragazzo utilizzando i nomi e i pronomi da lui scelti». Tutto questo senza che alla famiglia sia richiesto il consenso. Non si tratta, a dire il vero, di una iniziativa ideata dalla George Watson in totale autonomia. Il preside della scuola ha spiegato di aver semplicemente applicato la legislazione scozzese vigente, in particolare le linee guida governative sui diritti trans. In effetti, se la norma sul riconoscimento di genere varata dal Parlamento e poi fermata dall’Inghilterra verrà effettivamente sbloccata, i ragazzini potranno cambiare genere a piacimento. Certo, non è detto che poi decidano di procedere anche alla transizione chirurgica (da cui non si torna indietro se non a prezzo di notevoli sofferenze), ma verranno comunque condotti su quella strada, benché giovanissimi. Ed è piuttosto curioso, a ben vedere, che un dodicenne non sia ritenuto abbastanza maturo per guidare un’auto o votare ma sia considerato perfettamente in grado di rifiutare il proprio sesso biologico senza che i suoi genitori siano coinvolti nella decisione. Ovvio: la Scozia ha tutto il diritto di lottare per la propria sovranità. Sarebbe tuttavia consigliabile che evitasse di farlo sulla pelle dei più fragili.
Volodymyr Zelensky in piedi davanti a un sistema missilistico antiaereo Patriot durante la sua visita a un'area di addestramento militare in Germania dello scorso giugno (Ansa)
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