2020-11-18
Regioni all’attacco dell’algoritmo. Speranza però blinda i 21 parametri
Attilio Fontana (Getty images)
I governatori chiedono a una sola voce di ridurre a cinque i criteri per le aree di rischio. Il ministero risponde picche, anche alla Lombardia che vuole più coinvolgimento: ora che l'Rt scende, conta meno. «Non chiediamo la Luna, solo passare da 21 a 5». La sintesi del governatore Massimiliano Fedriga sembra semplice alle sue latitudini (Friuli Venezia Giulia), ma per un governo il cui segno distintivo è la moltiplicazione - di task force, di commissari, di poltrone, di esperti e di fumo negli occhi - fare esercizio di sottrazione dev'essere contro natura. Eppure per le Regioni il pragmatismo sta diventando indispensabile: i parametri che indicano l'accesso alle tre aree d'allarme devono essere ripensati, soprattutto asciugati. Alla fine della Conferenza delle Regioni la decisione arriva all'unanimità, totale e trasversale, compreso Stefano Bonaccini (Emilia Romagna) dalla quarantena. È il coordinatore Giovanni Toti (Liguria) a indicare la via maestra messa nero su bianco in una lettera a Palazzo Chigi. «C'è la necessità di rivedere in un'ottica di semplificazione i parametri. Bisogna procedere a un aggiornamento delle indicazioni sull'utilizzo dei test rapidi antigenici, del test di biologia molecolare e alla modifica degli indicatori per il monitoraggio». I governatori mettono di nuovo pressione all'esecutivo chiedendo un incontro urgente con i ministri Roberto Speranza (Salute) e Francesco Boccia (Affari regionali) per concordare i nuovi punti di riferimento. La risposta però arriva a strettissimo giro, prova che il governo non ha nessuna intenzione di spostarsi di un centimetro. Si rischia un nuovo braccio di ferro. «Il dialogo con le Regioni è sempre aperto», risponde Speranza, «ma per il momento sono da escludere modifiche». Più argomentato Boccia: «Se le richieste delle Regioni sono legate alla ponderazione di alcuni parametri rispetto ad altri possiamo discuterne. Se però si esce dall'oggettività dei dati per entrare nella discrezionalità della politica non ci siamo. O siamo oggettivi o siamo discrezionali. E se siamo oggettivi lasciamo alla scienza definire i parametri».Secondo i governatori c'è confusione nei dati, nei tempi e nei parametri fumosi. I cinque indicatori superstiti e decisivi per definire il rischio di contagio sarebbero: 1La percentuale di tamponi positivi escludendo tutte le attività di screening e re-testing degli stessi soggetti, per evitare che due tamponi alla stessa persona valgano doppio come oggi;2Un Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell'Istituto superiore di sanità; 3Il tasso di occupazione dei posti letto totali e di terapia intensiva per pazienti Covid;4Le garanzie di adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena;5Il numero, la tipologia di figure professionali per numero di abitanti dedicate al contact-tracing. Gli altri 16 indicatori resterebbero, ma entrerebbero in gioco solo in caso di dubbi. Con questo scenario sarebbe più immediata e trasparente anche per gli italiani la promozione verso il giallo o la retrocessione verso il rosso. «Vorremmo essere maggiormente coinvolti anche sulla valutazione e la classificazione dei dati, oggi si sa anche poco su come vengono utilizzati», commenta il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, che vede migliorare l'Rt (il rapporto di contagiosità del soggetto positivo ieri sceso a 1,1, sotto la soglia arancione) e riceve pressioni per cominciare a riaprire. Identica situazione in Piemonte, che a sua volta spinge per vedere la luce in fondo al tunnel. Tecnicamente le due Regioni sono già entrate in zona arancione, ma per sicurezza prima del 27 novembre non dovrebbe accadere nulla.Fra rossi, arancioni e gialli, la tavolozza italiana potrebbe presto regalarci schizzi da Jackson Pollock soprattutto in Lombardia. Un punto giallo in un mare di rosso e ciò che chiedono sempre più con forza i sindaci Giorgio Gori (Bergamo) ed Emilio Del Bono (Brescia), entrambi del Pd ed entrambi rappresentanti di quelle città che nella prima fase erano in trincea ma oggi sono meno incalzate dal contagio. L'ipotesi di un ritorno all'arancione è realistica, i territori sono fra i più strutturati a livello sanitario ed economicamente più fertili. Sul tema, Fontana preferisce prendere tempo: «L'eventuale differenziazione territoriale non comporta un cambio di area ma semplicemente l'allentamento di alcune misure». È comunque singolare che Gori e Del Bono, che accusarono la Regione di non avere chiuso prima, ora che è chiuso spingano per riaprire prima.Davanti alle richieste il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha mostrato un moderato ottimismo. «Aspettiamo qualche giorno e poi si fa un passo indietro, con cautela. Mi auguro che Piemonte e Lombardia possano uscire in fretta dal livello di rischio della zona rossa; spero che i dati mostrino che queste Regioni, come altre, possano tornare a vivere. Sarebbe la più bella delle retrocessioni, diventare arancioni o tornare gialli. E però anche tornare rossi nel caso in cui ce n'è sia bisogno. Uno stop and go che coinvolge tutta l'Italia».Mentre il presidente dell'Iss, Silvio Brusaferro, indica un Rt sotto l'1 come obiettivo prima di affrontare il tema del Natale («Raffreddare il numero è indispensabile, dobbiamo evitare che l'epidemia corra senza controllo»), proprio attorno all'indicatore cominciano a sorgere le perplessità dei tifosi del lockdown. Virologi da talk show e media mainstream, che terrorizzavano gli italiani quando l'Rt era vicino a 2 come se fosse lo spread ai tempi dell'ultimo governo di Silvio Berlusconi, ora che scende cominciano a metterne in dubbio l'attendibilità. Impagabili. «Riporre tanta responsabilità sulle spalle dell'Rt è rischioso», disserta Tito Boeri su Repubblica. Perfino lui, che fece traballare l'Inps, contagiato dalla virologia digitale.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)