2020-12-04
Reggio Emilia celebra i macellai Tito e Lenin ma si oppone alla via per la martire Norma
La Cossetto fu uccisa in Istria a 23 anni ed è medaglia d'oro. Il Comune emiliano insinua dubbi sulle circostanze della morteA Reggio Emilia c'è una via dedicata al maresciallo Tito, ma non si può intitolare una strada a Norma Cossetto. In una delle città rosse per eccellenza, dunque, l'infoibatore merita la celebrazione, l'infoibata non ha diritto al ricordo e nemmeno, a quanto risulta, al rispetto. Questi i fatti. Qualche mese fa, un consigliere comunale reggiano del gruppo misto ha proposto di intitolare una via alla ragazza istriana che, nel 1943, a soli 23 anni, fu rapita, stuprata e gettata in una foiba da milizie jugoslave e partigiani italiani. Nel 2005, l'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (non certo un pericoloso reazionario) le conferì la medaglia d'oro al valor civile. Lo scorso settembre, il consiglio comunale di Reggio Emilia ha approvato la mozione per dedicarle una via, anche se il Pd si è astenuto e Leu ha votato contro (tanto per far capire che aria tirasse). Il 27 ottobre, tuttavia, l'iter è stato bloccato dalla commissione toponomastica cittadina, presieduta dalla delegata del sindaco pd Chiara Piacentini. Motivo? Uno dei componenti della commissione, lo storico Massimo Storchi, si è messo di traverso. Ha espresso dubbi sulle circostanze della morte della Cossetto e ha avuto da ridire pure sul conferimento della medaglia d'oro, sostenendo che sia stata attribuita senza «un'istruttoria approfondita». Storchi è il presidente di Istoreco, l'istituto storico della resistenza reggiano, ed è noto soprattutto per le annose polemiche su Giampaolo Pansa, proseguite anche di recente, dopo la morte del grande giornalista. Giova ricordare che proprio a Reggio Emilia, nel 2006, Pansa fu aggredito durante la presentazione di uno dei suoi libri sulla guerra civile da un gruppo di compagni dei centri sociali, che bloccarono la discussione alzando i pugni al cielo ed esibendo striscioni rossi. In seguito, per definire gente del genere, Pansa avrebbe coniato l'espressione «gendarmi della memoria». Mai definizione fu più azzeccata. Ancora adesso questi gendarmi sono in servizio permanente: impediscono che si faccia luce sui lati oscuri della Resistenza e infangano il ricordo delle vittime non riconducibili all'area comunista. Anche Norma Cossetto, purtroppo, è finita nelle grinfie di costoro. La commissione toponomastica reggiana non solo ha fermato l'intitolazione della via alla giovane istriana, ma ha deciso di inviare una richiesta formale di chiarimenti alla presidenza della Repubblica. Capito? Questi vorrebbero addirittura che l'onorificenza alla ragazza infoibata venisse ritirata. La considerano una «fascista» che meritava di essere giustiziata. Forse giova sapere come sia morta, la Cossetto, onde avere tutti gli elementi per giudicare il comportamento degli storici e dei politici reggiani. Norma, poco più che ventenne, nell'ottobre del 1943 fu presa dai titini e trasferita nella scuola della località istriana di Antignana, che era stata adibita a prigione. La violentarono ripetutamente, e una donna che abitava nei dintorni la sentì gridare, piangere e chiamare la mamma. Poi, finito di stuprarla, i comunisti la gettarono - probabilmente ancora viva - dentro una foiba profonda 136 metri. Secondo altre ricostruzioni, la ragazza fu seviziata e mutilata. Le furono tagliati i seni e, quando - mesi dopo, a dicembre - il cadavere fu ritrovato, aveva un pezzo di legno infilato nei genitali. Anche il padre di Norma, Giuseppe Cossetto, fece una brutta fine. Era un dirigente fascista, fu podestà di Visinada, e i partigiani gliela avevano giurata. Quando la figlia fu fatta sparire, non si rassegnò. Si mise a cercarla assieme a un amico: fu ammazzato e infoibato pure lui. Ecco, questa è la famiglia su cui i gendarmi della memoria gettano fango. Una ragazza massacrata a 23 anni e suo padre. Lui italiano e fascista per convinzione, lei italiana e trattata da fascista perché si usava così: chi non era comunista, meglio che finisse nel mucchio delle salme. Gli eredi dei partigiani rossi continuano a pensarla così anche oggi. Motivo per cui si permettono - proprio loro che tanto cianciano di diritti delle donne - di insinuare dubbi e inquinare le acque. E impediscono l'intitolazione di una strada a una giovane italiana in una città in cui si contano, tra le altre, via Che Guevara, la già citata via Tito, via Rivoluzione d'Ottobre, via Stalingrado e persino via Lenin. L'inventore dei Gulag va bene, la povera Norma no. Non per nulla Roberto Dipiazza, sindaco di Trieste, ha definito «aberrante» la decisione del Comune di Reggio Emilia. Mentre i senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri e Enrico Aimi hanno presentato un'interrogazione al presidente del Consiglio e al ministro dell'Interno chiedendo di rimuovere i membri nella commissione toponomastica reggiana, visto che costoro potrebbero aver «violato le leggi dello Stato che impediscono il negazionismo a 360 gradi». Vedremo se e cosa risponderà il governo. Nel frattempo tocca constatare per l'ennesima volta che cosa sia davvero la sinistra emiliana, quanta ideologia le avveleni ancora la mente. Il Pd è il partito che più di tutti si batte, a Roma, per fare approvare leggi liberticide, dal ddl Zan ai vari altri tentativi di mordacchia «antifascista». Nel contempo, a livello locale e nemmeno troppo sotterraneo, continua a portare avanti le peggiori tradizioni del Pci, a partire dalla perversione della Storia. E lo fa con una ferocia che non si ferma nemmeno davanti al corpo martoriato di una giovane uccisa perché italiana.
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