2018-09-21
Raffaele Speranzon (Imagoeconomica)
Il senatore di Fdi spera di scongiurare nuovi casi Roggero: «Ddl da approvare per fine legislatura. Copre l’eccesso di difesa, non l’omicidio. Le toghe aiutino».
Mai più casi Roggero. Il gioielliere di Grinzane Cavour che nell’aprile 2021, durante una rapina nel suo negozio, uccise due banditi e ne ferì un terzo, è chiamato a pagare per le sue azioni. A tre giorni dalla condanna in secondo grado a una pena di 14 anni e 9 mesi (in primo grado gliene avevano appioppati 17, senza veder riconosciuta la legittima difesa) siamo però ancora increduli e ci domandiamo come possa essere possibile che, mentre all’anziano spetti il carcere, ai delinquenti e alle loro famiglie sia andata una montagna di soldi di risarcimento.
Nel processo appena conclusosi avevano chiesto quasi 3 milioni, gliene sono stati riconosciuti 480.000. Roggero gliene aveva già pagati 300.000, racimolati svendendo due appartamenti di famiglia. A questi vanno aggiunti altri 300.000 euro per le spese legali. Il senatore di Fratelli d’Italia, Raffaele Speranzon, e altri 18 colleghi dello stesso partito, a luglio avevano presentato un disegno di legge: niente più risarcimenti a chi commette quel genere di reati.
Onorevole Speranzon, il suo disegno di legge intende diminuire o azzerare il risarcimento dovuto all’aggressore in caso di eccesso colposo di legittima difesa. A che punto è?
«Sto aspettando che venga incardinato in commissione, spero che in breve tempo possiamo andare a discussione e approvarlo entro la fine della legislatura».
Il suo obiettivo è quello di colmare una lacuna normativa e ristabilire un criterio di giustizia. Ci spieghi meglio.
«L’obiettivo è quello di evitare che chi ha messo in pericolo qualcuno con violenza e minacce abbia diritto ad un indennizzo. Chi minaccia l’integrità fisica o patrimoniale di un altro individuo deve sapere che, se quell’azione gli andasse male, non riceverebbe un euro di risarcimento».
Potrebbe essere un deterrente.
«Certamente. Qualcuno potrebbe pensare di sistemare la propria famiglia in questo modo: se la rapina mi va bene, porto a casa qualcosa, se mi va male, comunque la mia famiglia otterrebbe un sacco di soldi. Sostanzialmente se non riesco a rapinarlo, lo rapino lo stesso grazie alla legge e quel risarcimento potrebbe addirittura essere superiore a quello che gli avrei potuto rubare. Se il nostro ddl diventasse legge, questo cortocircuito sparirebbe».
Se sei un ladro non puoi chiedere risarcimenti. Sembra una cosa normale.
«Dovrebbe. Se decidi di attentare alla mia incolumità o a quella della mia famiglia o al mio patrimonio, non puoi aver titolo a ricevere alcun risarcimento, anche se l’aggredito ha ecceduto nella sua difesa. La reazione all’offesa di un ladro, un rapinatore o un violentatore, può anche essere eccessiva ma non può dare adito a risarcimenti. Il sistema attuale lo consente, noi vogliamo cancellare questa possibilità».
Poteva servire al povero Roggero?
«Poteva servire se, più coerentemente con i fatti, il giudice, invece di condannarlo per omicidio volontario, lo avesse condannato per eccesso di legittima difesa, un reato più consono a quello che ha fatto».
Invece per il giudice è paragonabile a un assassino.
«Sono andati loro ad aggredirlo nel suo negozio. C’è poi da considerare l’esasperazione di un uomo che era stato rapinato cinque volte, il suo stato psicologico nel lavorare in un contesto come quello, sentendosi continuamente minacciato. Sicuramente ha ecceduto nella legittima difesa, ma certo non è un assassino e non dovrebbe risarcire nessuno. È lui che semmai avrebbe diritto a un ristoro. È lui la vittima».
Ma nel mondo dell’assurdo in cui viviamo, ai familiari di chi muore sul lavoro vanno, sì e no, 12.000 euro; e ai familiari di chi rapina, mezzo milione.
«Una cosa indecente, che dimostra ancor di più la lacuna normativa in ambito civile che va colmata. È la ragione per la quale decisi di presentare questo ddl».
Ma se poi un giudice trasforma un eccesso di legittima difesa in un omicidio volontario plurimo, c’è poco da fare…
«Eh sì, se il magistrato di turno contesta l’omicidio volontario si esce dal confine del ddl. A Roggero non sarebbe servito nemmeno il nostro ddl perché l’interpretazione da parte del giudice di ciò che è accaduto, a nostro avviso sbagliata, lo fa uscire da quel confine».
Cosa c’è dentro quel confine?
«C’è l’eccesso colposo di legittima difesa, per il quale Roggero è giusto che risponda. Non certo per omicidio volontario. Le condizioni psicologiche nelle quali si trovava dovevano portare il giudice a riconoscere solo quella fattispecie di reato».
Non sarebbe il caso di rimettere mano anche alla legge sulla legittima difesa? Non servirebbe un provvedimento che tenesse conto più delle ragioni degli aggrediti che di quelle degli aggressori?
«La riforma è andata in quella direzione, il nostro ddl lo stesso. L’errore nella sentenza sul gioielliere sta alla base. Chi attenta all’incolumità fisica di una persona o al suo patrimonio, deve mettere in conto la possibilità di una reazione anche durissima e fatale nei suoi confronti. Noi sosteniamo che quella reazione non dovrebbe essere sanzionata né dal punto di vista penale, né tanto meno civile».
Uno che reagisce a una rapina finisce in galera per 15 anni e viene condannato a un risarcimento ai parenti di chi lo ha rapinato. Non è pazzesco?
«Chi subisce una rapina vede la propria vita rovinata, indipendentemente dal fatto che la sventi o meno. Noi le leggi le possiamo anche fare, ma serve una cultura giuridica di chi interpreta i fatti, che veda nella difesa dell’aggredito il punto di partenza nella valutazione degli accadimenti».
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Ansa
La protesta degli editori rossi a «Più libri più liberi» è un flop. Momenti di tensione davanti allo stand degli identitari: «Andiamo fuori a risolverla». E poi giù minacce.
Dovevano essere trenta minuti di protesta. Trenta minuti in cui le case editrici di sinistra avrebbero dovuto coprire con dei teli neri, neri come il fascismo ovviamente, i volumi esposti a «Più libri più liberi». Avrebbero: perché poi sono stati utilizzati tutti i colori (del resto non si può essere troppo schizzinosi quando c’è una rivoluzione proletaria da fare) e la protesta è durata solamente la metà: quindici minuti. Perché va bene preoccuparsi del fascismo che sta tornando, va bene combattere gli squadristi, ma bisogna pur star dietro agli affari. La rivoluzione può attendere. Quindici minuti possono bastare. Anche meno, se possibile. Giusto il tempo di un piccolo comizio, di una parata tra gli stand e poi tutti indietro a liberare quei poveri libri coperti dal velo del fascismo.
Così, all’incirca venti case editrici (su oltre 600 espositori, il 3 per cento circa) si sono riunite di fronte agli stand di Bao, che pubblica Zerocalcare e Momo e, dopo un breve discorso programmatico, hanno marciato compatte verso Passaggio al bosco. Immaginiamo il loro stato d’animo: la loro voglia di libertà mentre schiacciano quella altrui; i paragoni con l’Aventino e pure con la lotta partigiana. Si parte, dunque. Si blocca la Nuvola, che ospita a Roma «Più libri più liberi», e si creano disagi agli ospiti. Ma poco importa. Si canta «Bella ciao» e si urla «fuori i fascisti dalla fiera», senza rendersi conto che i primi intolleranti sono loro. Uno dei ragazzi alla testa del mini corteo, non appena arriva di fronte allo stand di Passaggio al bosco, si scontra verbalmente con un signore al quale dice di risolvere la questione fuori (immaginiamo non con una lezione sul Capitale di Marx). Poco prima, Daniele Dell’Orco, fondatore di Idrovolante Edizioni, era rimasto bloccato all’interno del corteo, non proprio una situazione piacevole per una persona finita in mezzo a una campagna stampa d’odio.
Molto rumore per nulla. I soliti slogan, le solite canzoni. Le solite frangette blu fuori moda e i soliti gonnelloni in tartan. Qualche giorno fa, alcune ragazze hanno raggiunto lo stand di Passaggio al bosco e, indicando uno degli ultimi libri pubblicati - Charlie Kirk. La fede, il coraggio e la famiglia, scritto da Gabriele Caramelli - hanno chiesto all’editore: «Ma tu la pensi davvero come lui?». La risposta, che non si sente, avrebbe dovuto essere «no». Perché la destra italiana è molto diversa da quella americana. Eppure, nonostante le differenze, quella casa editrice «nazista» ha deciso di raccontare un personaggio così diverso da sé. Le due ragazze antifasciste avrebbero dovuto sfogliare il libriccino, almeno fino a pagina 14, dove avrebbero potuto leggere queste parole: «Oggi, invece, il suo compito (del volume, ndr) è quello di illustrare l’importanza del dialogo anche tra poli opposti, perché come diceva Charlie: “Quando le persone smettono di parlare, accadono cose brutte”». Che è proprio quello che è successo a lui. E che tanti vorrebbero replicare ancora oggi, come si vede nelle tante dimostrazioni di intolleranza nei confronti di chi viene bollato con l’etichetta «fascista». E così ci troviamo di fronte a un paradosso in cui Marco Scatarzi, l’editore di destra, dice «stiamo continuando a fare il nostro lavoro in piena libertà. Ognuno è libero di criticare, noi continuiamo a svolgere il nostro lavoro» mentre gli altri vorrebbero imporre la censura. «Ciò che pubblichiamo» - prosegue l’editore - «è anche qui esposto, grazie a tutti. Noi rispondiamo col sorriso, siamo una casa editrice con tantissimi autori, tantissimi collaboratori delle più svariate esperienze e facciamo cultura».
Ecco, forse è questo il punto fondamentale. Per decenni, la cultura, specie quella giovanile, è stata dominata dalla sinistra. I testi che andavano di moda arrivavano da lì. Ora qualcosa è cambiato. I ragazzi vogliono sentire anche l’altra campana e, per questo, si avvicinano a questa casa editrice così diversa, dalle copertine pop e dai titoli taglienti. Non ne condividono tutto, forse. Ma sicuramente trovano ciò che è proibito. Come la ristampa di Decima flotilla Mas. Dalle origini all’armistizio di Junio Valerio Borghese. Oppure Il razzismo contro i bianchi. L’inchiesta vietata di François Bousquet, che racconta, con dati alla mano, il fallimento del multiculturalismo in Francia.
Perché l’unico modo oggi per far leggere qualcosa è dire che è vietato. Era successo con Roberto Vannacci, sta succedendo oggi con Passaggio al bosco. Che, nonostante le minacce e i tentativi di censura, resta a «Più libri più liberi». Giustificando così il nome della kermesse.
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l GNL statunitense in sofferenza sui margini. Le raffinerie private cinesi si aggiudicano il petrolio iraniano. Londra tassa le auto elettriche. L’Ue dà l’addio definitivo al gas russo dal 2027.
In un anno sono aumentate del 18,5% le persone nate fuori dall’Italia che percepiscono un assegno dall’Inps: sono 378.645 e nella stragrande maggioranza incassano prestazioni assistenziali alimentate dalle nostre tasse.
Ricordate quando ci dicevano che gli immigrati ci avrebbero pagato le pensioni? Beh, al momento siamo noi a pagarle a loro. Lo rivelano i dati 2024 dell’Osservatorio sugli stranieri presso l’Inps. L’ente previdenziale ha infatti un ufficio che studia l’impatto degli extracomunitari sui conti pubblici. E a sorpresa, scorrendo le statistiche, si scopre che l’istituto eroga già centinaia di migliaia di trattamenti a soggetti stranieri, quasi tutti a carico della collettività, cioè dei contribuenti.
È vero, ci sono quasi quattro milioni di lavoratori che versano i contributi, ma nel bilancio dell’ente figurano 252.000 percettori di prestazioni a sostegno del reddito e 378.000 pensionati (+ 18,5% rispetto all’anno precedente). Nel primo caso non c’è neppure da discutere: si tratta di immigrati che sono o disoccupati o in mobilità e dunque ricevono un sussidio statale. Nel secondo caso basta leggere le spiegazioni che accompagnano i dati per scoprire che più della metà di quei «pensionati» percepiscono un assegno assistenziale, per un importo medio annuo di poco superiore a 7.000 euro. Di questi 195.000 soggetti, 150.000 sono extracomunitari e 45.000 fanno parte della Ue. L’altro 48,5 per cento di pensionati stranieri che non incassa il sussidio è composto invece prevalentemente da chi beneficia di trattamenti previdenziali sempre a carico della collettività in tutto o in parte. Ovvero pensioni di invalidità, di vecchiaia o destinate ai superstiti. In totale, parliamo di 322.000 persone che godono di un trattamento che non è assistito dalla contropartita di una contribuzione. In altre parole, pagano gli italiani. Qualcuno potrebbe obiettare che a fronte di questi 570.000 assegni che ogni mese escono dalle casse dell’Inps senza che in precedenza siano stati versati i soldi che legittimano la quiescenza ci sono quasi quattro milioni di lavoratori iscritti nei ruoli dell’ente previdenziale. Ma se si scorre il valore delle retribuzioni attuali si scopre che su circa tre milioni e mezzo di dipendenti di imprese private il reddito annuo è di poco superiore a 16.000 euro e dunque il versamento dei contributi è conseguente. Cioè basso. Dunque, non soltanto parliamo di cifre ridotte, ma in futuro, quando andranno in pensione, molti di questi lavoratori più che pagare la pensione agli italiani, avranno bisogno di veder integrare la propria da un sussidio statale. Cioè saranno in parte a carico della collettività e riceveranno l’integrazione al minimo, soprattutto se non potranno vantare una contribuzione quarantennale. Del resto non c’è da stupirsi. Le statistiche dell’Istat parlano chiaro: quando si discute di povertà si scopre che negli anni è leggermente diminuita la quota delle famiglie italiane indigenti, mentre è cresciuta quella dei nuclei di origine straniera. Il 35 per cento degli immigrati con moglie e figli vive in quella che in base al reddito è classificata come povertà assoluta. Dunque è difficile che questa quota di popolazione possa in futuro pagare la pensione ad altri. Più probabile che prima o poi chieda che qualcuno gliela paghi e a questo punto dovrà pensarci lo Stato. Dimenticavo: mentre è abbastanza improbabile che i salari bassi di lavoratori extracomunitari possano rifinanziare le casse dell’Inps (già malmesse per le troppe prestazioni non sorrette da contributi: Alberto Brambilla di Itinerari previdenziali calcolò che oltre quattro milioni di pensionati riceve un assegno che non ha maturato), è invece certo che gran parte degli immigrati beneficia di servizi sociali a carico della fiscalità generale. Che vuol dire? Che l’assistenza sanitaria, quella scolastica e tutti gli altri servizi che lo Stato eroga a favore dei cittadini sono sorretti dalle tasse. Ma chi guadagna poco è praticamente esente da ogni imposizione fiscale e dunque il peso di pensioni, cure ed educazione resta a carico di circa 11 milioni di contribuenti che le imposte le versano regolarmente ogni mese. Sono loro a pagare, altro che gli immigrati.
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