2024-10-17
Record di cittadinanze ma la Cei ne vuole di più
Il presidente della Cei Matteo Zuppi (Ansa)
Il nuovo rapporto di Migrantes e Caritas certifica che sappiamo integrare gli stranieri: nel 2023 i «nuovi italiani» sono stati più di 200.000. Eppure i vescovi insistono nel chiedere lo ius soli a tutti i costi: «Urge un aggiornamento legislativo sul tema».«Arrivano già tanti migranti, quindi ce ne vogliono di più». È la paradossale sintesi della Cei su un tema chiave di questi anni, in passato liquidato con la teoria (fallimentare) dell’accoglienza diffusa, poi semplicemente lasciato alla convegnistica accademica o alle omelie. Tutto ciò mentre disperati che pensavano di raggiungere l’Eldorado italiano vivono nella disperazione delle baraccopoli, vagano nella terra di mezzo della criminalità e quando va bene pedalano da schiavi per portare le pizze ai millennials. Una realtà lontana dal nuovo Rapporto (il 33º) sull’immigrazione nel nostro Paese, redatto dalla Caritas e dalla fondazione Migrantes della conferenza episcopale.Pur con tutte le circonvoluzioni possibili, il documento non può negare i numeri e ammette che «sono più di 200.000 le cittadinanze concesse agli stranieri nel 2023», in linea con l’anno precedente quando erano state 214.000. Un dato sostanzioso che conferma come l’Italia sia un Paese che macina documenti a chi ne fa regolare richiesta; a tutt’oggi i cittadini provenienti da nazioni straniere sono 5,3 milioni, il 9% della popolazione (più 3,2% rispetto all’anno scorso), con due milioni e mezzo di contratti di lavoro attivati negli ultimi 12 mesi. Gli alunni con cittadinanza non italiana sono 915.000 (11,2% della popolazione scolastica) e gli studenti universitari 121.000 (6,3% del totale).Uno scenario importante, che conferma come il fenomeno vada monitorato, gestito con prudente saggezza e con l’attenzione assoluta da parte delle istituzioni perché il già problematico percorso di integrazione non alimenti ulteriori conflitti sociali. In questo contesto è fondamentale saper distinguere fra migranti pronti ad adeguarsi alle regole italiane e clandestini senza diritto d’asilo, che nel resto d’Europa vengono respinti. Non a caso Ursula Von der Leyen, nel primo discorso del nuovo corso europeo a Bruxelles aveva sottolineato come priorità continentale «il ritorno alla sicurezza». Dei confini e dei cittadini. Non avendo una ricetta in merito se non un pilatesco liberi tutti, la Cei utilizza il turibolo. E nella prefazione al Rapporto - presentato a Roma alla Pontificia Università Urbaniana e intitolato «Popoli in cammino» -, il presidente cardinal Matteo Zuppi sottolinea che «spesso assistiamo al perdurare di un approccio orientato soltanto all’emergenza che trascura promozione e integrazione: dimentichiamo che l’immigrazione, se ben gestita, può essere una risorsa per la società». Il numero uno della Cei non trova di meglio che prendere a schiaffi chi tenta disperatamente di regolamentare i flussi. «L’eccessiva politicizzazione del fenomeno migratorio, fondata sulla ricerca del consenso e sulle paure, impedisce la creazione di un sistema di accoglienza autentico e non opportunistico».Il mantra delle «porte aperte purchessia», che ormai anche Bruxelles ha deciso di accantonare per la contrarietà di tutti i Paesi membri, rimane così l’unico, velleitario punto fermo della Chiesa ufficiale (nelle parrocchie la pensano un po’ diversamente). Con una sollecitazione in più che va confliggere direttamente con il dato dei 200.000 nuovi cittadini italiani: la necessità, espressa dal Rapporto, di «un aggiornamento legislativo in materia di cittadinanza». Come dire che non basta la legge in vigore ma servirebbero ius soli, ius scholae o ius culturae. Insomma un nuovo provvedimento in chiave progressista, tanto per smentire - solo qualche pagina dopo - la richiesta di Zuppi di limitare «l’eccessiva politicizzazione del fenomeno».Quello che arriva da Caritas e Migrantes è un vero e proprio appello, simile nei toni alle richieste sul tema portate avanti dalla sinistra unita (più una parte di Forza Italia) sull’onda emotiva dei successi azzurri alle Olimpiadi di Parigi. Come se le competizioni sportive fossero l’ultima frontiera della dottrina. Il rapporto dei due organismi Cei evidenzia come «la legge sulla cittadinanza è ferma al 1992 e non risponde più alle esigenze del nostro tempo. La società italiana si sta dimostrando più avanti rispetto alle politiche istituzionali. Le competizioni sportive come i campionati Europei di calcio in Germania e le recenti olimpiadi e paralimpiadi di Parigi hanno messo in luce il talento di tanti atleti italiani con un background migratorio. Questi giovani rappresentano una parte significativa del futuro del nostro Paese, ma norme rigide rischiano di frenarne potenziale e aspirazioni».È curioso leggere in un documento, espressione della profondità di ricerca sociologica della Cei, frasi prese pari pari da commenti di qualche editorialista della Gazzetta dello Sport o del presidente del Coni Giovanni Malagò, che neppure nei sogni più estatici immaginerebbe di essere scambiato per un teologo vaticano. Poi la chiusa fremente, più indicata per un intervento di Elly Schlein da Corrado Formigli che per un rigoroso rapporto statistico: «L’immigrazione non è un’emergenza ma esistono problemi che rischiano di diventare emergenze». Per esempio quello di ritenere campioni italianissimi (Paola Egonu, Mattia Furlani, Andy Díaz Hernandez, Maxcel Amo Manu) solo dei miracolati.
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