2021-10-14
Elogio della fantascienza eretica di Bradbury
Ray Bradbury (Getty Images)
L'autore di «Fahrenheit 451» e «L'albero di Halloween» si è sempre smarcato dallo scientismo di Asimov. La sua cifra, infatti, scivolava nell'apologo morale o nell'horror. Questo, e il suo approccio anarco-conservatore alla realtà, lo rendono così attuale.Ottobre è il mese di Halloween, di cui il cantore fu certamente Ray Bradbury, più americano della torta di mele, benché di padre dalle origini inglesi e madre svedese. Nella sua natia Waukegan, Illinois, fonda provincia americana, campeggiavano le zucche illuminate di Halloween, evocatrici della leggenda di Jack O'Lantern, l'irlandese che gabbò il diavolo convincendolo prima a bere con lui e poi a trasformarsi in un moneta da utilizzare per altre sbronze, quindi in una pianta. Dopo morto, l'uomo fu rifiutato sia in Paradiso, per la sua astuzia indegna di un beato, sia all'Inferno, dove Satana ne aveva già abbastanza di lui. Perciò lo condannò a vagare per sempre sulla terra, con una lanterna di carbone per illuminargli la via.L'iniziatrice di Bradbury all'universo crepuscolare ma fiabesco di cui Halloween è solo un girone fu la zia Neva, che gli leggeva Poe quando lui aveva solo sette anni e lo votava a un'esistenza da attraversare lungo una spirale di invenzioni, fervore creativo e successo letterario. Quindi, Il popolo dell'autunno, Paese d'ottobre e L'albero di Halloween, popolati di adulti e ragazzi dalle sfumature arancioni delle zucche accese, sono vie d'approccio a un narratore che ha riesumato in epoca postmoderna le affabulazioni di Herbert George Wells, Jules Verne ed Edgar Rice Burroughs, definiti peraltro i suoi maestri.Per giunta, Bradbury fu segnato dal soggiorno in Irlanda di sei mesi, nel 1953, quando ve lo trascinò John Huston per scrivere la sceneggiatura di Moby Dick. Alle latitudini gaeliche le peripezie di San Brandano si intridono di retaggi druidici, mescolando due tradizioni antitetiche in un composto fatto di religione missionaria e riti apotropaici.La fantascienza ortodossa gli stava strettissima. Al contrario di Isaac Asimov e Arthur C. Clarke, lui intendeva creare mondi fantastici del tutto svincolati dalle gabbie del rigore scientifico. Per questo la cifra di Bradbury divenne sempre più personale. A volte sfociava nell'apologo morale, altre nell'horror. La società dedita al rogo dei libri che prefigurava in Fahrenheit 451 non ha coordinate future definite. Nemmeno geografiche. Certo, potrebbe essere la Los Angeles dove viveva l'autore. Ma i tratti suburbani del quartiere in cui abita il protagonista Montag, milite del fuoco, sembra più ritagliato sul Middle West di provenienza di Bradbury. Tanto che nell'infedele ma suggestiva versione cinematografica diretta nel 1965 da François Truffaut la location delle riprese fu la periferia di Londra. In realtà, Fahrenheit 451 resta un monito senza precisi ancoraggi. Nemmeno troppo accostabile alla letteratura distopica. Dichiara in proposito Bradbury: «Orwell e Huxley sono due pessimisti: basta guardare come finiscono i libri. Io sono un ottimista. L'epilogo di Fahrenheit è potenzialmente positivo. Ma sia chiaro. Io non scrivo per predire il futuro. Io scrivo per prevenirlo».Questo non è fare fantascienza. Piuttosto, si potrebbe parlare di militanza etica. In proposito, si vada a leggere Siamo noi i marziani, a cura di Gianfranco de Turris e Tania Di Bernardo, un prezioso volumetto edito da Bietti nel 2014, due anni dopo la morte di Bradbury. È una selezione di interviste fra le numerosissime che lo scrittore rilasciò nel corso di una lunga vita (morì a 92 anni, il 6 agosto 2012). In quella sede emerge più che mai il suo pensiero anarco-conservatore o reazionario-progressista, ossimori che si addicono a tutti gli spiriti veramente liberi.Fra le altre cose, non faceva sconti al degrado delle metropoli americane, rivelava che tre delle sue quattro figlie erano state violentate e rapinate da afroamericani. Questo gli creava dei pregiudizi, malgrado riconoscesse che i ghetti fossero focolai di criminalità da affrontare sul piano urbanistico. Bradbury credeva molto nel potere dell'architettura, come Mike Davis, l'autore L'agonia di Los Angeles. Secondo lui, gli edifici dovevano produrre esseri umani non bestie infelici.Quando al politicamente corretto, lo respingeva in toto, affermando che è la summa di due dittature, della maggioranza e della minoranza, entrambe decise a voler imporre modelli di pensiero.Su Internet: «Lo trovo stupido. Va bene per certe cose: se uno deve vendere o comprare. Ma io ho cose più importanti da fare». Quali? Rispondere alla domanda fondamentale: «Perché siamo stati creati, per funzionare come? Il problema risiede in parte nella nostra visione antropomorfica di Dio che sminuisce l'aspetto della Creazione. Non appena dite Lui o Egli mettete la creazione in una scatola per fiammiferi e archiviate - Esso, Lui, o Egli - dentro uno scaffale. L'Universo è certamente grande abbastanza per non dover essere così male classificato. Esso «pensa», per questo noi siamo. Il Cosmo ha bisogno di noi. Non può esistere senza un'audience. Perché disturbarsi ad avere un teatro se non c'è il pubblico? Perché mettere su uno spettacolo se non c'è nessuno che compra il biglietto? Perché dare un grande concerto se nessuno viene a sentirlo?».