I prezzi della logistica volano e mettono in ginocchio produzione e distribuzione. Anche perché Pechino chiude i porti principali.
I prezzi della logistica volano e mettono in ginocchio produzione e distribuzione. Anche perché Pechino chiude i porti principali.«È incredibile, sembra di essere dentro a un incubo. Anziché migliorare, il quadro peggiora di giorno in giorno. A questo punto non so se il materiale che mi sarebbe dovuto arrivare a ottobre riuscirà a essere consegnato per tempo». Per Massimo (il nome è di fantasia per proteggerne la vera identità), direttore acquisti di una delle più importanti realtà nel comparto dell'auto, il rientro in ufficio dopo la pausa estiva non poteva essere più stressante. «Se ordini adesso acciaio, non ti arriva prima di marzo-aprile del prossimo anno», spiega, «il lead time, ossia il gap temporale tra ordine e consegna, è arrivato oramai a otto mesi». Se, insomma, da un lato il mese di agosto ha regalato un minimo di raffreddamento dei prezzi di alcune materie prime, come il rame e l'acciaio, in ragione dei timori del mercato sull'effetto che la diffusione della variante Delta possa sortire sull'economia mondiale, il mercato dei noli marittimi non ha fatto altro che produrre un massimo dietro l'altro, complice la parziale chiusura del porto cinese di Ningbo, uno dei più trafficati a livello mondiale, a causa di un focolaio del virus. A scattare con precisione la fotografia è il Baltic dry index, l'indice di riferimento del settore, che lunedì notte, nel corso delle contrattazioni asiatiche, ha superato i 4.000 punti, per la prima volta dal 2011. La tensione nel mercato dello shipping è naturalmente ben riflessa anche dalle ultime quotazioni: il nolo di un container 40 piedi per l'intera tratta che va dalla Cina alla West Coast statunitense è giunto oramai a un passo dai 20.000 dollari. Una vera e propria impennata, dunque, se si considera che solo 12 mesi fa la quotazione non superava i 3.000 dollari e che ora minaccia di pregiudicare sia la produzione delle grandi realtà industriali, sia la stessa presenza sugli scaffali dei beni destinati ai regali di Natale come pc, console, biciclette, giocattoli. Il punto infatti è che il blocco a cui si sta assistendo nel mercato dei noli marittimi produce un effetto a cascata sull'intera supply chain, che non potrà non sortire effetti rialzisti sui prezzi dei beni finali. Anche se non si può escludere l'adozione di pratiche di natura speculativa all'interno di un mercato che è di fatto controllato da un oligopolio di compagnie, le dinamiche che insistono nel comparto dello shipping vanno lette all'interno dell'esplosione dei consumi, soprattutto nordamericani, a loro volta determinati dalle ondate di stimoli monetari e soprattutto fiscali, quest'ultimi per un'entità pari a quasi 6.000 miliardi di dollari. Non bisogna poi sottovalutare anche un altro aspetto, e cioè che lo scoppio della pandemia, costringendo le persone a lavorare da casa e dunque ad aumentare fortemente l'uso di prodotti tecnologici, ha dato il là a una serie di acquisti di beni come pc, webcam, smartphone di cui la Cina è grande produttrice, contribuendo così a ingolfare le rotte di navigazione e a porre le basi di una carenza generale di semiconduttori che sta mettendo in seria difficoltà i produttori di autovetture, come ha dimostrato il taglio produttivo del 40% annunciato pochi giorni fa da Toyota. La dinamica ha lasciato spiazzati gli stessi operatori nel comparto della logistica, i quali si sono affrettati, a partire dal 2020, a ordinare nuove navi e container, che non arriveranno però prima del 2022 (anno a partire dal quale si potrà iniziare ad assistere a un raffreddamento dei noli). C'è però da sottolineare come già prima dello scoppio della pandemia stessero emergendo crescenti problemi anche sul fronte infrastrutturale, legati alle difficoltà dei terminal di accogliere le nuove navi, molto più grandi rispetto agli standard, in grado trasportare fino a 20.000 container da 20 piedi. Insomma, è come se l'esplosione del Covid-19 avesse fatto emergere con chiarezza la questione dell'arretratezza della maggior parte dei terminal sparsi nel mondo. Sarebbe nel complesso un errore, dunque, pensare che l'impatto sui prezzi dei noli derivante dalle strozzature sul lato dell'offerta siano di breve durata, almeno fino a quando la pandemia non sarà totalmente debellata in Asia, dove si persegue strenuamente una strategia Covid zero. La riprova è giunta proprio in occasione della diffusione della variante Delta che sta investendo in queste settimane i Paesi del Sudest asiatico, tra cui Filippine, Indonesia, Malesia, Thailandia e Vietnam: un'area questa che nell'insieme incide per il 5,7% sull'export mondiale. Sarà dunque necessario attendere almeno altri sei mesi prima di assistere a un raffreddamento del mercato. Il concetto di temporaneità dell'inflazione, che continua a essere sbandierato dalle banche centrali, appare insomma sempre più aleatorio. E minaccia anzi di aggravarsi ulteriormente nei mesi a venire, se si considera la crescente probabilità di un'ulteriore accelerazione degli stimoli fiscali da parte dell'amministrazione Biden per far dimenticare agli americani la figuraccia rimediata con il disordinato ritiro dall'Afghanistan.
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